l regimi dittatoriali e la proliferazione delle armi di sterminio di massa
Fare la guerra per fermare le guerre
di Giacomo Kahn
C' è forse qualcuno che si ricorda cosa era Osirak? Era un reattore nucleare che stava sorgendo ben 22 anni fa nella località di Tammuz, ad un centinaio di chilometri da Baghdad, e che una volta terminato avrebbe consentito la produzione del plutonio necessario alla fabbricazione della bomba atomica.
Con Osirak si dava inizio al primo indispensabile anello che avrebbe portato nel breve tempo il dittatore iracheno a possedere la più potente arma di distruzione di massa.
Se oggi Saddam Hussein torna a fare paura, ma non costituisce ancora una minaccia atomica, è perché Osirak non fu mai completata: fu distrutta con un ardito raid aereo dall'aviazione militare israeliana che bombardò e distrusse il reattore nucleare il 7 giugno 1981.
Quel bombardamento suscitò la reazione e lo sdegno dei governi europei e, come al solito, Israele fu ferocemente accusata di aver violato le leggi internazionali. I giornali dell'epoca, anche quelli italiani, scatenarono una campagna denigratoria contro lo Stato ebraico e furono pochi a difendere le ragioni di quell'azione militare e a condividere le preoccupazioni degli israeliani che vedevano nell'arma nucleare in mano agli iracheni una terribile minaccia alla loro esistenza.
Il reattore nucleare di Osirak non era però lo sviluppo miracoloso di una obsoleta tecnologia irachena, era il frutto di una cooperazione internazionale con la quale in cambio di petroldollari alcuni Paesi europei, soprattutto Francia e Italia, prestarono al dittatore iracheno assistenza tecnica e scientifica, convinti (o forse solo apparentemente convinti) che il reattore sarebbe servito unicamente per scopi civili.
Né le preoccupazioni di Israele, né le numerose richieste che venivano dall'amministrazione americana guidata dal Presidente Carter che chiedeva maggiori controlli sull'uso del combustibile nucleare, fermarono il progetto.
La minaccia della bomba atomica costrinse il governo israeliano all'azione militare che fu attuata di domenica, scegliendo un giorno festivo in cui non lavoravano gli oltre centocinquanta tecnici stranieri. Una precauzione e una cautela che non servirono però a risparmiare ad Israele critiche e feroci accuse.
Davanti all'ipocrisia dei governi e della stampa europea, solo pochi riconobbero in quell'azione un atto di legittima difesa.
Dieci anni dopo, Saddam Hussein dette avvio ad un secondo programma nucleare nell'agosto del 1990 in contemporanea con l'invasione del Kuwait, che fu però interrotto con la guerra del Golfo.
Ora Saddam Hussein, già in possesso di altre armi letali di massa (gas e agenti chimici), starebbe per portare a termine un nuovo programma nucleare, con ciò riaccendendo nell'opinione pubblica occidentale la polemica sull'uso legittimo della forza e di una azione militare preventiva contro il regime iracheno.
Ma la preoccupazione per l'uso di armi di sterminio di massa vale per tutti i cosiddetti 'Stati canaglia' (definizione coniata dal Dipartimento di stato americano nel 1993): Siria, Libia, Sudan, Cuba, Iran, Iraq e Corea del Nord.
Secondo George Tenet, direttore della CIA, l'Iran che già ha costruito la grande centrale nucleare di Bushehr, avrebbe ottenuto componenti missilistiche per il trasporto di ogive atomiche da diversi Paesi, tra cui Cina, Corea del nord e Russia.
In particolare negli scorsi anni il regime comunista coreano ha venduto a Teheran missili Scud-b (gittata di 300 chilometri circa), missili Hwasong 5 e 6 (gittata 500/700 chilometri) e missili No-dong (ribattezzati da Teheran Shahab-3) con una gittata fino a 1.500 chilometri, in grado di colpire obiettivi in Israele.
Come comportarsi di fronte ad una escalation nella corsa alla proliferazione di armamenti non convenzionali nelle mani di dittature e di regimi totalitari?
Dopo gli attentati dell'11 settembre gli Stati Uniti hanno deciso di non stare più a guardare e, con azioni diplomatiche, con pressioni economiche e con la minaccia di azioni militari, hanno intrapreso un metodo attivo di contrasto, accettando implicitamente l'idea che si possa iniziare una guerra per evitare guerre peggiori.
Oggi per ragioni umanitarie, etiche, di sensibilità religiosa l'Europa (con l'eccezione della Gran Bretagna) è in posizione diversa da quella americana e se fornirà un aiuto logistico alla guerra contro l'Iraq lo farà controvoglia e con fastidio.
Ma se nei prossimi mesi o anni gli scenari di guerra si dovessero allargare anche contro altri Paesi destabilizzanti e sostenitori del terrorismo, come si comporteranno le diplomazie occidentali?
Anche se tutti sono d'accordo nella necessità di fare la guerra al terrorismo, sul piano pratico le cose non saranno facili, perché la guerra alle grandi organizzazioni del terrore impone regole e strategie diverse rispetto alle tradizionali guerre di difesa.
Colpire prima che il nemico ti colpisca è un regola che non tutti i Governi oggi sono disposti ad applicare. Ma domani, se dovessero ripetersi altri spettacolari e terribili attentati sul modello delle Torri Gemelle, forse qualcuno ci ripenserà.