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Intervista a p. Samir Khalil Samir, sj, Professore a Roma e Beirut

Roma (Fides) - Il P. Samir Khalil Samir, gesuita egiziano, è nato nel 1938
al Cairo. Si è formato in Francia e da più di 25 anni insegna al Pontificio
Istituto
Orientale (PIO) a Roma. Ha vissuto per 7 anni in Egitto, insegnando e
lavorando come incaricato per lo sviluppo sociale dei villaggi e per
l¹alfabetizzazione.
Attualmente, oltre che al PIO, è impegnato a Beirut (Libano)
nell¹insegnamento islamo-cristiano. Questo corso si tiene in due, un
docente cristiano e uno
musulmano, che insegnano a studenti di entrambe le religioni. Il suo
commento: "Questo lavoro in comune è importante. Non c¹è nulla che tu
insegni che
l¹altro non ascolti. Questo evita i linguaggi ambigui e doppi". Per studio
ed esperienza, il p. Samir è uno dei massimi esperti del rapporto fra
cristianesimo e
Islam. Ecco la trascrizione della conversazione con Fides.

Cristiani in ambiente a maggioranza musulmana: quali difficoltà hanno e
quali le ragioni delle discriminazioni che essi
subiscono?

Parto dalla mia esperienza egiziana, e libanese, dove vivo. La prima
difficoltà è che l¹Islam è insieme politica e religione, senza possibilità
di separazione. Questo porta di conseguenza all¹idea di uno stato islamico,
che in tutti i particolari applichi la sharia islamica, la legge civile
ispirata dal Corano, dai detti e dai fatti del Profeta e dalla tradizione
musulmana dei primi 4 secoli: il che mostra una grande difficoltà
nell¹affrontare la modernità. Il riferimento a tale passato è infatti
difficile: altra cultura, altro contesto, dove il pluralismo non era un
principio,
ma solo un fatto sporadico.

La seconda difficoltà è l¹onnipresenza dell¹Islam nella vita. In Egitto
ovunque vai senti la radio che predica e canta il Corano: in autobus,
nel taxi, per strada; le notizie, i film alla tivù sono interrotte 5 volte
al giorno per la preghiera. I bambini ricevono l¹insegnamento coranico,
imparano il Libro a memoria (con la scusa che è una buona base per la
lingua). Al mattino, a scuola, come sotto le armi, si comincia con
un raduno di 10 minuti per un commento islamico sulla situazione, o per
racconti della storia islamica. Le materie di insegnamento fanno in
tutto riferimento all¹islam. Alcuni corsi storici lo sono in modo ancora
più forte.

L¹Islam influisce anche sui costumi: se due giovani, dignitosamente vanno
mano nella mano, succede un incidente. Se un cristiano porta
la croce al collo, spesso i fondamentalisti gliela strappano. Adesso questo
capita meno ma solo perché i cristiani si auto-censurano per
prevenire scontri. In università quasi sistematicamente gli esami sono a
Pasqua o a Natale. I cristiani quel giorno possono prendere le
ferie. Ma con gli esami, non possono lasciare l¹università.

C¹è dunque una onnipresenza dell¹Islam, che è la sua caratteristica e la
sua forza. L¹Islam è dîn, wa-dunya, wa-dawla: religione, società
e politica. Esso penetra fin nelle minime cose. Sotto l¹influsso
dell¹Arabia Saudita che controlla la distribuzione delle pellicole nel mondo
arabo, il cinema diviene sempre più islamico. Ai registi vengono date
regole precise: le donne devono essere velate; nel film si deve
sentire più volte il muezzin; i giornali hanno sempre una o più pagine di
insegnamento islamico; eccSTutta questa situazione rende
difficile perfino il respirare da parte del cristiano.

Il legame fra religione, società, cultura non è un male di per séS

No, ma questo stile di vita non lascia spazio, è invadente. E i musulmani
dicono: "Perché vi lamentate? Noi siamo la maggioranza. Nei
paesi democratici è la maggioranza che decide". Ma un conto è la
maggioranza politica, e altro è quella religiosa. Quella politica è
contingente, può cambiare da una elezione all¹altra, è legata alle persone.
Ma le religioni sono più permanenti: non le si cambia
facilmente. Ciò rende questo stile di vita islamico oppressivo. Il problema
è che questo stile oppressivo non è codificato da leggi. Così gli
occidentali dicono ai cristiani d¹oriente: "Perché vi lamentate? Non ci
sono leggi oppressive!".

Altro fatto molto pesante, non scritto nelle costituzioni, è la
discriminazione sul lavoro. Essa avviene ormai da decenni. Alcuni settori,
come la ginecologia, sono vietati ai cristiani. Una volta i ginecologi
erano quasi solo dottori cristiani. Ora, siccome i cristiani con mani
"impure" non possono toccare le donne, la quasi totale maggioranza di
essi è musulmana. Nel settore militare un cristiano può arrivare
solo a un certo grado. Se sale troppo, anche se ha 40 anni, si preferisce
mandarlo in pensione piuttosto che promuoverlo. Se si cerca un
lavoro, in base al nome si scopre che uno è cristiano o musulmano. Allora
ai cristiani si dice: "Spiacente, non abbiamo lavoro". Se viene
un altro, il posto invece lo si trova.

E la libertà di convertirsi da una religione all¹altra?

Questo elemento è assoluto. Secondo l¹insegnamento tradizionale islamico,
l¹apostasia va condannata con la pena di morte, spesso
commutata in prigionia. Anche in paesi liberali, come il Libano, è
impossibile abbandonare l¹Islam. In Libano, se una donna musulmana
sposa un cristiano, non può abbandonare l¹Islam. Se una donna cristiana
sposa un musulmano, la legge coranica prevede che lei
rimanga cristiana. Ma se lo fa, per legge non può più ereditare. I figli,
anche se battezzati, sono ufficialmente musulmani.

L¹Islam sembra quindi una religione totalizzante...

L¹Islam è una forza assimilatrice a senso unico: si incoraggia l¹ingresso,
ma si impedisce l¹uscita.

In Egitto, i cristiani - almeno il 10% della popolazione - per costruire
una chiesa devono chiedere il permesso diretto al Presidente della
Repubblica più diversi permessi e condizioni, raggiungibili solo con grande
difficoltà. E pensare che allo stato i cristiani non chiedono nulla,
né aiuti economici, né terreno, ecc. (a differenza di quanto avviene in
Europa per i musulmani). Alla fine, gran parte delle chiese sono
costruite sfruttando appoggi, trucchi legali, usando terreni lontani dalle
città, ecc..

Questa guerra in Afganistan, sta creando più difficoltà ai cristiani e
quali prospettive essa apre?

Questa guerra per me è un errore. Non voglio entrare in politica, ma se lo
scopo di questa guerra è colpire il terrorismo, essa sta
producendo proprio il contrario: sta incoraggiando un terrorismo ancora più
forte. Milioni di musulmani, che prima non simpatizzavano per
Bin Laden, ora sentono il dovere di solidarizzare col suo terrorismo. E
poi, anche se gli Alleati riescono a prendere il gruppo di terroristi in
Afghanistan, nello stesso giorno nasceranno decine di altri gruppi. Questa
guerra serve al massimo per vendicarsi o sfogarsi, ma non
eliminerà il terrorismo.

Osama Bin Laden è un vero rappresentante dell¹Islam?

Il colpire ciecamente e chiunque, non è rappresentativo dell¹Islam. Ma i
principi evocati da Bin Laden creano una larghissima eco nel
mondo islamico. Essi richiamano principi tradizionali dell¹Islam, insegnati
correntemente. Va notato infatti che il terrorismo non è estraneo
all¹Islam, come spesso si ripete per "buonismo". Il terrorismo islamico, o
meglio la violenza islamica, ha radice nel Corano e nella Sunna,
cioè nella pratica del Profeta. I testi coranici a favore della violenza
sono numerosissimi (io ne ho elencati almeno 75). Quelli non violenti
sono molti di meno e appartengono al periodo più antico. Nell¹Islam vi è il
principio interpretativo per cui le ultime rivelazioni cancellano le
precedenti. In tal modo chi promuove un regime islamico basato sul Corano e
la Sharia, ha le carte in regola: la guerra, in casi definiti dal
Corano, è obbligo di ogni musulmano. Maometto, negli ultimi 10 anni di vita
a Medina, ha fatto almeno 19 guerre, una pratica abituale.
Perciò è falso dire che nel Corano non c¹è la guerra, ma solo pace. Vi è un
principio di guerra, ma con delle regole (come era nel diritto
romano): non in qualunque momento, non in certi periodi, non con alcune
personeS Ma quando bisogna difendere i diritti di Dio l¹Islam
contestato o il pericolo di una ribellione la guerra è un obbligo. Tutto
questo rende la tradizione islamica molto ambigua. E tale ambiguità
va detta e affrontata. Va pure affrontato il problema della miscredenza: il
Corano ammette uno spazio ai non musulmani (cristiani ed
ebrei), ma non ai miscredenti, agli atei o agli animisti. Invece di
dialogare con chiarezza su questi problemi, ci si nasconde. Alcuni dicono:
"l¹Islam è solo violenza", e questo non è vero. Altri dicono: "Islam vuol
dire solo tolleranza e pace", ma anche questo è falso.

Che spazio e che seguito ha l¹Islam liberale?

Penso che la maggioranza dei musulmani sia moderata. Nell¹Islam arabo che
conosco meglio la maggioranza dei musulmani vuol
vivere in pace con tutti, con la libertà di praticare la propria religione.
Il problema è che alcuni insistono secondo la tradizione su un
regime islamico, con un governo che garantisca la pratica religiosa islamica.

In questa divisone fra islam moderato e fondamentalista non giocano anche
motivazioni economiche e politiche?

I fondamentalisti pretendono l¹applicazione letterale delle leggi
dell¹Islam, come erano concepite dallo stesso Muhammad. La loro pretesa
è fondata. Ma la maggioranza musulmana è orientata ormai verso una
relazione meno rigida fra politica e religione. Quasi tutti i paesi
musulmani hanno leggi ispirate all¹occidente, modificate là dove erano
proprio incompatibili con l¹Islam. I fondamentalisti idealizzano come
modello il periodo di Maometto e dei 4 califfi. Ma questa applicazione
radicale dell¹Islam non è mai esistita. Secondo il Corano, chi non
crede in Dio non ha scelta: o crede nell¹Islam o viene ucciso. Ma questo
non è mai stato applicato.

Tutte le volte che l¹Islam si è incontrato con altre religioni, con lo
zoroastrismo in Persia, l¹induismo in India, non ha trucidato tutti, ma ha
trovato una via d¹uscita, facendo delle leggi (fatwa) che assimilavano
questi fedeli ai cristiani o agli ebrei. Ad ogni modo, accanto a un
islam moderato, ve n¹è uno "immoderato", che mescola religione e politica.
Questo islam fondamentalista vuole a tutti i costi prendere il
potere. Il suo disegno è anzitutto quello di rovesciare i regimi musulmani
che sono appoggiati all¹occidente e che sono giudicati
"traditori". Se noi domandiamo: dove sono i regimi islamici sognati dai
fondamentalisti? In Arabia saudita? No, dicono, quello è il regime
peggiore perché ha tradito i principi di Maometto. In Iran? No, perché vi è
una base pre-islamica pagana che inficia tutto. In pratica l¹ideale
fondamentalista è un¹utopia inesistente, che però rende impossibile la
convivenza.

In Europa e in Italia cresce la presenza musulmana e la convivenza talvolta
strideS

Qui in Europa un musulmano può praticare la sua religione senza problemi,
Chi dice che vi sono problemi e sono soprattutto gli europei
convertiti, molto zelanti ha un altro scopo, quello di diffondere l¹islam
mettendo in difficoltà altre religioni. È assurdo pretendere che in
una scuola si debba interrompere le lezioni per fare la preghiera
musulmana. Questo non si fa in nessun paese islamico. O di interrompere
il lavoro in fabbrica per la preghiera. Ma anche in Egitto si fanno delle
pause, dei periodi di riposo e dentro quei periodi si prega, anche se
non è l¹ora esatta. Non si può chiedere allo stato di cambiare regole di
vita e di lavoro: garantire la pratica delle religioni non è compito
dello stato. I giuristi musulmani possono emanare una fatwa per permettere
la preghiera nelle ore non canoniche. Approfittando
dell¹ignoranza della gente in Europa, i musulmani pretendono sempre di più.
Di conseguenza, i paesi ospitanti divengono sempre meno
pazienti e reagiscono. In Europa gente che prima era molto tollerante, ora
sta diventando razzista. Ma questo avviene perché essi
vedono che i musulmani sono l¹unico gruppo pieno di pretese.

In Italia, ad esempio, gli immigrati musulmani sono il 30-35% di tutti gli
immigrati. Tutti gli altri, filippini singalesi, peruviani,S non
pretendono nulla in nome della loro religione, fanno la loro vita in
tranquillità. Solo i musulmani pretendono. E in nome di che cosa? Solo
per il fatto che nella loro mentalità religione e politica sono uniti. Un
filippino che viene in Italia non pretende che vi sia una chiesa filippina.
I copti, che digiunano almeno 200 giorni all¹anno, senza bere o mangiare
nulla, non hanno mai chiesto in nessun paese al mondo delle
facilitazioni: il digiuno è un affare personale. Invece per l¹Islam questo
è un affare di politica e quindi di potere. Con questa posizione si
rischia per forza uno scontro.

Di fronte alla polarizzazione fra cristianesimo e islam, qual è la missione
dei cristiani?

Anzitutto non lasciarsi trascinare dall¹emozione. In Italia vi sono circa
600 mila musulmani. Essi non sono diventati cattivi dopo l¹11
settembre. Dobbiamo continuare a convivere. Purché gli europei siano consci
della loro identità e dei loro valori sulla persona umana, i
suoi diritti, l¹uguaglianza fra uomo e donna, la distinzione fra religione
e politica. Questi sono valori assoluti, umani: sono stati messi in luce
dall¹occidente grazie alla tradizione giudeo-cristiana, ma valgono per
tutti. Fare compromessi su questo, è male perché blocca anche lo
sviluppo dell¹islam. La maggioranza dei musulmani vuole i diritti umani, il
rispetto della persona, una distinzione dei poteri, la libertà per fare
scelte individuali. Purtroppo, la perdita di identità da parte
dell¹occidente, fa male anche ai musulmani, perché li rende insicuri.

C¹è una missione più specifica per i cristiani. I musulmani oggi desiderano
la modernità e nello stesso tempo ne hanno paura. I
fondamentalisti acquistano le tecniche moderne, ma rifiutano la mentalità
moderna. Essa appare loro come atea, antireligiosa (e per certi
versi lo è). Il compito dei cristiani è mostrare che la modernità è
compatibile con la fede. Si può essere insieme credenti e moderni.
Allora la vita cristiana diviene un modello accettabile anche da parte dei
musulmani, come individui e comunità.

Un¹ultima responsabilità dei cristiani è offrire i valori del Vangelo,
validi per tutta l¹umanità, senza fare proselitismo, ma senza nasconderli.
La gioia di vivere e la solidarietà dei cristiani non viene dall¹occidente,
ma dal vangelo. Questo è ciò che i musulmani aspettano. Un
musulmano, anche il più moderato, rimane un credente. Quando viene in
occidente, egli pensa di incontrare altri credenti e rimane sotto
shock perché non li trova - o non li vede. Il musulmano vuole incontrare
l¹occidente non solo nella tecnica o nel cibo, ma anche a livello di
fede. Se, ad esempio, la Caritas che tratta con gli emigrati musulmani,
organizza solo distribuzioni di cibo, senza far percepire la fonte di
questa generosità e disponibilità, manca qualcosa di essenziale. In tal
caso anche dare cibo e ospitalità può essere una
contro-testimonianza. Chi viene alla Caritas deve poter incontrare il cuore
amoroso da cui nasce tutta questa generosità, sull¹esempio
delle suore di Madre Teresa. Se trionfa solo l¹organizzazione, i musulmani
possono blandire tutto questo dicendo: Sono più ricchi di noi; è
chiaro che possono fare cosìSCi ridanno quello che ci hanno rubato nel
periodo colonialeS

Vi sono strumenti politici per aiutare la convivenza islamo-cristiana?

Sì, soprattutto nel momento dell¹accoglienza nei paesi europei. Non deve
dominare solo la richiesta degli imprenditori europei, il bisogno di
manodopera. Occorre aiutare i musulmani a comprendere le regole europee di
convivenza. Lo stato deve prevedere infrastrutture per
accogliere le migliaia di immigrati in Europa e nei paesi di partenza. Nei
paesi di origine (nord Africa, Albania, ecc..), occorrono dei corsi di
integrazione per la convivenza, secondo un progetto chiaro. La
multiculturalità non è quella per cui ognuno arriva e si arrangia. Questa
muticulturalità selvaggia crea soltanto dei ghetti, senza nessun contatto.
Una vera multiculturalità suppone un progetto in cui vi è una
cultura dominante (la leidkultur, come dicono i tedeschi, ma la parola è
stata coniata da un Ghassan Tibi, politologo palestinese
musulmano), intorno alla quale si agganciano le altre culture che
interagiscono con la principale, si arricchiscono ed arricchiscono. È come
una polifonia: vi è una melodia principale, con la quale le altre voci si
integrano.

L¹obbligo del paese ospitante è chiarire la sua cultura fondamentale. In
questi giorni si parla del crocifisso esposto nelle scuole in Italia.
Una maestra l¹ha tolto come segno di rispetto verso uno scolaro musulmano.
Ma questo è violenza. Il crocifisso è un dato importante nella
cultura italiana. Se io mi sento oppresso, ho dei problemi con la mia
identità, non col crocifisso. A Natale, nelle scuole sempre "per
rispetto" si cerca di eliminare ogni riferimento alla nascita di Gesù.
Invece per il Ramadan si offrono tutte le spiegazioni del caso. Tutto
questo mostra che l¹Europa e l¹Italia in particolare soffrano di mancanza
di identità. Per qualcuno c¹è anche la voglia di vendicarsi della
cultura cristiana usando l¹islam. (Fides 13/11/2001)