Antonio Moscato (2001)
SIONISMO. MITI E REALTA'

I mass media influenzati dai sionisti tendono a creare un'identificazione totale tra "ebraismo" e "sionismo". Vedremo che essa e' storicamente infondata, per molte ragioni, e che ancora oggi molti ebrei si oppongono al sionismo, il quale e' semplicemente una proposta politica specifica, rimasta tra l'altro minoritaria perfino in gran parte delle comunita' ebraiche europee fino a quando l'avvento del nazismo l'ha resa piu' credibile e trasformata in una specie di zattera di salvataggio. Vediamo su quali argomenti si basa questa identificazione.

Gli ebrei - si dice - per secoli hanno pregato e hanno ripetuto: "l'anno prossimo a Gerusalemme". E' vero, ma in realta' la maggior parte di essi, se si spostavano dal paese in cui vivevano, raramente cercavano Gerusalemme. In genere, si trattava dell'auspicio di un "ritorno" (che per molti - abbiamo visto - non lo era affatto) in una terra mitica "di latte e miele", in un regno di pace e di giustizia, che sarebbe stato realizzato dal messia delle profezie: un sogno millenaristico, che trovo' in varie epoche profeti e "falsi messia" che tentarono di realizzarlo, su un terreno puramente religioso; ma non era un concreto progetto politico. Il sionismo, senza alcun fondamento, si presenta come il coronamento di quel sogno. Nel corso dei secoli, per ragioni diverse, alcuni uomini politici hanno proposto l'immigrazione degli ebrei in Palestina, sempre senza successo. Alla meta' del secolo XVI vi aveva provato Jose' Nassi, un ebreo portoghese sfuggito alle persecuzioni e alle conversioni forzate rifugiandosi alla corte di Istambul, e diventato duca di Naxos e signore di Tiberiade; ma gli ebrei a cui offriva rifugio preferivano andare a Istambul, Smirne, Salonicco, Alessandria, non nella misera Tiberiade o in una Gerusalemme in cui la comunita' ebraica era ridotta a poche centinaia di pii rabbini, che facevano discussioni interminabili, ed erano giunti li' soprattutto perche' volevano essere sepolti in quella terra. Anche Napoleone, quando dall'Egitto giunse in Palestina, fece un appello agli ebrei europei perche' vi si recassero: anticipava cosi' il progetto sionista, sperando di costituire una base d'appoggio per la penetrazione francese; ma rimase inascoltato, e vedremo perche'.

Come, dove e perche' nasce il sionismo? Il sionismo nasce negli ultimi decenni del XIX secolo nelle grandi comunita' ebraiche annesse all'impero russo dopo la spartizione della Polonia. La funzione tradizionale (e scomoda) di mercanti e intermediari tra proprietari terrieri e contadini si era esaurita con l'abolizione della servitu' della gleba e l'introduzione accelerata del capitalismo. Il sionismo nasce come risposta alle persecuzioni e ai massacri (i pogrom) organizzati dalla polizia zarista, che considera gli ebrei in blocco rivoluzionari e al tempo stesso li addita ai sottoproletari incolti come sfruttatori e nemici. In realta', rivoluzionari sono diventati alcuni giovani, che hanno rotto con il loro ambiente, la famiglia, la religione, diventando gli "ebrei non ebrei", come Marx, Rosa Luxemburg, Trotskij. Il sionismo inizia come progetto culturale e diventa poi politico quando l'antisemitismo promosso da settori reazionari del potere si estende dalla Russia alla Germania, all'Austria e perfino alla Francia con il famoso processo Dreyfus. Il fondatore del "sionismo politico", Theodor Herzl, propone di cercare una "terra senza un popolo" in cui costruire uno Stato ebraico e in cui rifugiarsi per sfuggire alle persecuzioni. Pensa dapprima all'Uganda, all'Argentina o all'Uruguay, ma alla fine il progetto si trasforma e viene motivato con il "ritorno" in Palestina, la "Terra d'Israele" promessa da Dio al suo popolo. Come gli altri paesi prescelti, non si tratta di "una terra senza un popolo"; ma questo non conta, anzi. Herzl offre il suo progetto a diversi sovrani (dall'imperatore di Germania allo zar, allo stesso Vittorio Emanuele III), ma alla fine trova un punto di intesa con la Gran Bretagna: "saremo un baluardo dell'Europa contro la barbarie asiatica, dichiara, cioe' contro i popoli coloniali. Herzl inoltre chiede appoggio per il proprio progetto, specialmente ai ministri antisemiti dello zar, come Witte e von Plehve, mettendo in evidenza che loro avrebbero il vantaggio di liberarsi degli odiati ebrei, aiutandoli a farsi una patria ben lontano. E' evidente che il sionismo non era un movimento di liberazione, ma era anzi strettamente collegato al progetto coloniale che si affermava in tutta l'Europa negli ultimi decenni del secolo XIX e alla vigilia della Grande Guerra. Herzl discusse il suo progetto col grande razzista britannico Cecil Rhodes, di cui fu amico ed estimatore, e il suo successore Weizman lo concretizzo', smettendo di cercare aiuto indistintamente presso tutti i sovrani, compreso il sultano di Costantinopoli, e puntando decisamente su una stretta alleanza con l'imperialismo britannico.

Comunque la maggioranza degli ebrei europei e la quasi totalita' di quelli del mondo arabo-islamico rimasero contrari o indifferenti al sionismo, fino a quando l'arrivo al potere di Hitler con un programma ferocemente antisemita cambio' la situazione, almeno in Europa. Ci sono molti elementi che lo confermano: ad esempio, nelle numerose elezioni tenutesi in Polonia tra il 1918 e il 1939 i voti della consistente comunita' ebraica si divisero tra comunisti, socialisti e Bund ("Lega", un'organizzazione legata alla socialdemocrazia e che difendeva i diritti culturali ed economici della popolazione di origine ebraica, ma era contraria al progetto di emigrazione dei sionisti), mentre i partiti sionisti restavano nettamente minoritari. Ancora piu' significativo e' il dato delle correnti migratorie nei primi cinquanta anni dopo l'esplosione dell'antisemitismo: tra il 1881 e il 1929 (la prima data e' quella dei primi pogrom, la seconda quella della crisi mondiale del capitalismo e quindi dell'inizio della "resistibile ascesa" di Hitler), 3.975.000 ebrei lasciarono le tradizionali zone di concentrazione tra Polonia, Russia, Romania, ecc. Di essi 2.885.000 hanno scelto gli Stati Uniti, 210.000 l'Inghilterra, 180.000 l'Argentina, 125.000 il Canada, e cosi' via, ma solo 120.000 hanno accolto la proposta sionista andando in Palestina (e molti non hanno retto piu' di un anno in quella terra inospitale, che aveva gia' un popolo che vi risiedeva e non voleva esserne cacciato, e si sono quindi spostati verso altri paesi). Si trattava dunque di un'emigrazione non diversa da quella di italiani, spagnoli, irlandesi, e con forti motivazioni economiche, anche se era stata accelerata dall'intolleranza e dalle persecuzioni. Successivamente i rapporti privilegiati con il colonialismo britannico faciliteranno questa immigrazione in Palestina: durante la prima guerra mondiale lord Rotschild ottiene dal ministro degli Esteri britannico Balfour la famosa dichiarazione che promette un "focolare ebraico in Palestina", sia pure con il "rispetto delle minoranze". Ma i palestinesi non erano una minoranza bensi' la stragrande maggioranza degli abitanti, e la Palestina promessa ai sionisti apparteneva ancora all'impero ottomano. Una promessa senza fondamento giuridico, quindi. Sara' l'ascesa e poi l'avvento del nazismo, che coincide non a caso con la grande crisi economica, a sospingere un maggior numero di ebrei verso la Palestina, sia perche' piu' gravemente minacciati, sia perche' l'enorme disoccupazione fa chiudere le porte dell'immigrazione negli Stati Uniti e in altri paesi. Questa nuova immigrazione comprende anche ebrei tedeschi ricchi (prima il loro sionismo consisteva nel pagare il viaggio in Palestina a quelli poveri), che acquistano terre e imprese di trasporti, allontanando i palestinesi che vi lavoravano. La rivolta araba del 1936-1939 protesta contro le autorita' britanniche, ma anche contro questa conquista economica del paese, e chiede il blocco dell'immigrazione ebraica. Essa viene repressa congiuntamente dalla polizia britannica e dalle milizie sioniste. E' questo che scava un solco definitivo tra le due comunita' e innesca quello che stupidamente viene chiamato dai mass-media "l'odio millenario" tra arabi ed ebrei. In realta', fino a quel momento, in Palestina e in tutto il mondo arabo, i rapporti erano in genere di amichevole convivenza.

Dopo la rivolta palestinese, i britannici, che devono fare i conti con una forte componente araba o comunque islamica nelle loro colonie e protettorati, nel 1939 pongono limitazioni all'immigrazione sionista. Una parte del movimento sionista, guidato da Jabotinskij, Shamir, Begin e a cui si riallaccia poi Sharon, stringe rapporti con Mussolini, che ne ospita un congresso in Italia e addestra militarmente gli ufficiali della futura marina israeliana. Alcuni esponenti, durante la guerra, cercarono contatti persino con i nazisti (in Ungheria), proponendo uno scambio tra l'emigrazione in Palestina della locale comunita' ebraica e una grossa fornitura di automezzi militari. La destra sionista comincia a combattere i britannici (anche in piena guerra), con un feroce terrorismo che fa molte vittime anche palestinesi ed ebree, ad esempio facendo saltare in aria nel 1946 l'hotel King David a Gerusalemme (anche l'ambasciata britannica a Roma viene demolita da un terribile attentato). La stessa maggioranza laburista e' ormai in rottura con i britannici e punta sull'imperialismo USA, ma ha anche uno strano alleato: il Sudafrica razzista, sul cui territorio verra' allestita l'aviazione sionista, che interverra' con forze preponderanti nella guerra del 1948-1949. D'altra parte, anche i paesi del blocco sovietico forniscono armi all'esercito sionista, illudendosi di approfittare delle tensioni con la Gran Bretagna.



L'OCCUPAZIONE SIONISTA DELLA TERRA PALESTINESE

Un luogo comune diffusissimo e' che il conflitto sarebbe diventato insanabile perche' "i palestinesi hanno rifiutato una ragionevole spartizione proposta dall'ONU nel 1947". Si tratta di una tesi che non si regge, basata su falsi e forzature. Esaminiamoli. La divisione era ingiusta: i sionisti nel 1947 erano ancora circa un terzo degli abitanti, ma veniva assegnato loro il 56 % del territorio (con una forte minoranza palestinese incorporata), mentre la grande maggioranza dei palestinesi dovevano accontentarsi di un'area frammentata che copriva circa il 40 % del paese; Gerusalemme doveva restare "zona internazionale" sotto controllo dell'ONU. Era comprensibile rifiutare questo piano, che calpestava i diritti dei due terzi degli abitanti. Ma vediamo chi lo ha rifiutato.

Non potevano farlo i palestinesi, che dopo trent'anni di occupazione britannica e la feroce repressione del 1936-1939 non avevano una rappresentanza democraticamente eletta. Il rifiuto venne dai regimi arabi adiacenti, tutti asserviti all'imperialismo britannico: in Giordania, in Iraq, in Egitto, per non parlare dell'Arabia Saudita, c'erano sovrani feudali sotto tutela britannica, e con eserciti diretti da ufficiali inglesi. La Gran Bretagna era interessata a scatenare un conflitto tra arabi ed ebrei, che forniva un buon diversivo ai corrotti sovrani su cui si appoggiava in quell'area. D'altra parte, il metodo era costante: si pensi al conflitto sanguinoso tra musulmani e indu' innescato per tentare di mantenere il controllo sul subcontinente indiano.

Ma i sionisti, oltre a vincere la guerra grazie a una netta supremazia militare sia sul piano dell'addestramento sia su quello dello stesso armamento (supremazia che hanno sempre cercato di occultare presentandosi come David contro Golia), realizzarono i loro fini occupando un'area molto piu' ampia di quella assegnata loro dall'ONU, proprio grazie all'accordo segreto con uno di quei sovrani feudali, Abdallah di Transgiordania, che consenti' la spartizione definitiva lungo i confini rimasti in vigore fino al 1967. In questo modo i palestinesi rimasti fuori da Israele finirono sotto una tutela a loro sgradita. La loro percentuale nello Stato di Israele, in origine vicina al 50%, fu drasticamente ridotta cacciandoli con il terrore e le minacce. I profughi finirono in Cisgiordania e in altri Stati arabi, ammucchiati in miseri campi. Il conte Bernadotte, il rappresentante dell'ONU che aveva proposto tra le condizioni di pace il ritorno dei palestinesi, fu assassinato da un commando sionista.

Se gia' nel 1948-1949 sul piano militare non era Israele ad essere la parte piu' debole, nelle guerre successive il rapporto divenne ancor piu' squilibrato. Nel 1956 l' aggressione israeliana all'Egitto, in appoggio alle forze di invasione colonialiste franco-britanniche che rifiutavano la nazionalizzazione della Compagnia del Canale di Suez, fu all'origine della cacciata degli ebrei dai paesi arabi. In Iraq, dove la maggioranza della ben inserita comunita' ebraica - la piu' antica della diaspora - non voleva partire, una serie di provocazioni e alcune bombe messe nelle sinagoghe da agenti israeliani accelerarono l'esodo, di cui il regime reazionario di Bagdad approfitto' per incamerare le proprieta' di chi partiva (come i sionisti si erano impossessati di terre e case dei palestinesi cacciati).

Quanto alla cosiddetta "aggressione araba" del 1967, si tratta di una leggenda senza fondamento: i regimi arabi, a partire da quello egiziano, facevano dichiarazioni infiammate in difesa dei palestinesi, ma non si erano preparati affatto alla guerra, che duro' solo sei giorni proprio perche' l'aviazione egiziana, siriana e degli altri paesi fu distrutta negli aeroporti senza neppure riuscire a decollare. Fu quella guerra, condotta a tradimento (e presentata in tutto il mondo come difensiva), che porto' all'occupazione della Cisgiordania e della striscia di Gaza, creando le basi delle tragedie successive, compresa quella odierna. Da allora e' sempre stato negato il diritto a ritornare a chi era nato in Palestina e ne era stato cacciato, mentre lo Stato di Israele ha continuato a incoraggiare le conversioni, per compensare la scarsa affluenza dalle piu' grandi comunita' ebraiche, soprattutto degli Stati Uniti. Un caso limite e' quello della comunita' neoebraica sorta spontaneamente tra i contadini cristiani di San Nicandro Garganico negli anni Trenta, spinti poi ad emigrare in Israele negli anni Cinquanta, senza che avessero la piu' lontana ascendenza ebraica (ma servivano braccia.). Anche una parte cospicua degli immigrati provenienti dall'URSS negli anni Settanta e Ottanta non avevano una sicura ascendenza ebraica, e volevano solo sfuggire alla crisi del loro paese.