La Guerra aerea
Molto s’è straparlato della guerra aerea, durante al Guerra del Golfo e la IV Guerra Balcanica, e fesserie si continuano a sentire anche oggi.
Cercando di non atteggiarmi a stratega da caffè vorrei illustrare brevemente l’evoluzione di questo concetto.
Benché ignorato dai più (come gran parte della nostra storia militare) o accuratamente occultato da chi continua con ipocriti piagnistei sulla scuola di Gorla (dimenticando chi fu a coniare il verbo “coventrizzare”), il bombardamento strategico venne teorizzato, fin dal 1909, in Italia dal maggiore poi generale Douhet, che, insieme a Balbo, fu il padre dell’Aeronautica Militare.
Negli anni venti era chiaro, a chi vedeva le cose al di là della retorica del Piave, del fango e della trincea, che se la guerra fu vinta da chi vi aveva gettato il maggior potenziale industriale e produttivo, allora tutto ciò che contribuisce allo sforzo bellico è obbiettivo militare: i centri decisionali, le infrastrutture di comunicazione, le industrie ma anche le maestranze specializzate senza di cui le fabbriche non servono a nulla.
Il cantiere degli U-Boot è un obiettivo come l’U-Boot stesso e l’arsenalotto come il sommergibilista.
In più il bombardamento doveva spezzare le coesione sociale fomentando disordini e rivolte.
La fissazione che le bombe avrebbero scatenato la rivoluzione comunista nelle città nemiche fu soprattutto tedesca (evoluzione del vagone piombato con cui spedirono Lenin in Russia?), anche Douhet però negli anni ‘30 giunse ad indicare nel terrore una delle armi risolutive della guerra aerea.
In verità si intuirono due vie d’uscita dalla guerra d’attrito: o vanificare il la capacità difensiva della trincea e della mitragliatrice per poter tornare alla guerra di movimento o, come detto, annientare le capacità industriali del nemico.
I tedeschi fecero propria la scelta tattica codificando l’uso dei carri e degli aerei d’attacco al suolo.
I risultati brillanti ma di corto respiro si videro nel Blitzkrieg e nelle guerre arabo-israeliane.
L’altra, strategica appunto, tesa alla distruzione delle capacità produttive del nemico, pensata in Italia, fu portata alla sua massima espressione dagli Anglo-Americani.
Non fu un caso, le potenze marittime, avvezze da secoli a ragionare in termini strategici e senza un esercito ingombrante sul piano politico e sociale optarono per il bombardiere a lungo raggio come logico erede delle potenzialità strategiche di una flotta.
Le potenze continentali, invece, dotate di grossi eserciti che a loro volta necessitavano di brillanti vittorie (tattiche) o di un’analoga minaccia per autogiustificarsi optarono per l’eroico binomio carro armato - caccia d’attacco (a breve raggio).
L’Italia dopo aver elaborato il concetto di “dominio dell’aria” ed essersi dotata (una volta tanto) di mezzi all'avanguardia per esercitarlo (le imprese di Balbo altro non furono che una velata, ma non troppo, dimostrazione delle capacità di bombardamento strategico della Regia Aeronautica), si rimangiò tutto preferendo scarponi di cartone e otto milioni di baionette.
Intanto oltre mare si progettavano i grandi quadrimotori che avrebbero spianato le città dell’Asse e di più, nella III guerra afgana (1920) gli inglesi sperimentarono anche, per la prima volta, il ponte aereo per portare uomini e rifornimenti a Kabul assediata.
È vero che in Germania vi fu chi sostenne con forza questa teoria e la sperimentò a Guernica ma non gli furono mai concessi i mezzi per realizzare aerei veramente adatti allo scopo ed in numero sufficiente (non dimentichiamo che le perdite tra i bombardieri alleati furono spaventose e solo la loro grande capacità industriale permise di ripianarle e di mantenere sempre la stessa pressione sul nemico), solo quand’era ormai troppo tardi e la supremazia aerea perduta per sempre si ripiegò sui missili, la stessa strada seguita dall’URSS negli anni ‘60 quando si rese conto dell’impossibilità di uguagliare la tecnologia aeronautica occidentale.
Se la Germania fu piegata dai bombardamenti e quella contro il Giappone fu la guerra aeronavale per eccellenza dove tutte le mosse furono dettate dalla necessità di conquistare isole ove costruirvi aerodromi da cui potessero decollare le fortezze volanti dirette a Tokio e dintorni, la guerra fredda fu sostanzialmente l’offensiva aero-strategica americana virtuale.
Le tre fasi di riarmo che la contraddistinsero furono tutte imperniate sul potere aereo:
Eisenhower con le portaerei strategiche ed i B52, Kennedy con i missili intercontinentali, Regan con l’aereo Stealth, lo scudo spaziale ed i missili cruise (gli euromissili).
I Russi che per primi nel 1914 costruirono un bombardiere quadrimotore, negli anni trenta ottennero ragguardevoli e preoccupanti successi ma non seppero tradurli in una reale capacità bellica.
Il gap industriale con l’occidente rimase sempre enorme anche se occasionalmente ridotto dalla solerte opera di “ricerca e sviluppo” del KGB.
Anche la dottrina d’impiego ricalcò quella tedesca d’un’aviazione d’appoggio all’esercito il vero fulcro dello sforzo militare sovietico.
Fin dal 1946 Stalin, debitamente impressionato dalla distruzione di Dresda, ordinò una cintura difensiva contraerea attorno alla sua capitale e fu solo l’inizio.
I bombardieri americani solo per il fatto di esistere sottraevano fondi e uomini destinati alle divisioni corazzate o ad aumentare il benessere dei cittadini sovietici il che, alla lunga, annientò il regime più e meglio d’un bombardamento a tappeto.
Mosca investì moltissimo in queste opere difensive e nel contempo fece di tutto perché gli USA rinunciassero ai loro mezzi d’offesa strategica (ricordate Dalema a Comiso?), quando ci riuscì il suo impero raggiunse l’apice (l’ormai lontanissima età brezneviana, la sedicente distensione).
Regan, però, in pochi anni, con i cruise e la minaccia dello scudo spaziale mandò tutto in tilt.
Le caratteristiche dei nuovi missili resero obsoleto il sistema radar sovietico e con la loro precisione insicuri i rifugi che la nomenklatura s’era fatta allestire.
A quel punto l’URSS in piena stagnazione economica doveva aumentare le spese militari o rinunciare alla politica di potenza sciogliendo divisioni corazzate e mandando in disarmo parte della flotta o, se possibile, spingere la crescita economica per far fronte contemporaneamente a tutte le esigenze.
La perestrojka fu la disperata risposta a questi problemi strategici, sappiamo tutti come andò a finire.