Tiberio Graziani




La divergenza USA – Europa
L’inconciliabilità registrata, in queste ultime settimane, tra le posizioni dell’Unione Europea, (dichiarazione del Presidente Prodi), e quelle del Governo statunitense (dichiarazioni di Rumsfeld e Bush), riguardo alla guerra contro l’Iraq e, soprattutto, alla funzione che l’Organizzazione delle Nazioni Unite dovrebbe esercitare nell’attuale critica situazione internazionale, non rientra nella dialettica che normalmente intercorre tra Bruxelles e Washington, sempre contrassegnata da temi e argomenti d’ordine economico-finanziario e monetario. La divergenza si è aperta, infatti, su punti squisitamente militari e politici. A parte qualche eccezione, come nel caso della Gran Bretagna e, in qualche misura, dell’Italia di Berlusconi e della Spagna di Aznar, i paesi membri dell’Unione Europea - pur nella difficoltosa ricerca di un comune atteggiamento da tenersi sulla questione irachena - sembrano essere uniti e decisi almeno sul fatto che l’Organizzazione delle Nazioni Unite riacquisti l’importante ruolo che le compete nelle dispute internazionali. Ciò segnala, in seno alla leadership dell’Unione, non solo la costante preoccupazione per la costruzione della comune politica estera ma, soprattutto, la volontà di rappresentare se stessa – esplicitamente e per la prima volta - di fronte agli USA ed all’ONU, come una vera e propria entità politica. L’Europa “vecchia” e “saggia” di Prodi acquisisce, dunque, seppur a ridosso di una questione, accidentale ed esogena, quale è quella irachena, una sorta di coscienza politica, volta, almeno momentaneamente, a distinguere e a separare il proprio destino da quello dell’Amministrazione Bush. La divergenza tra le posizioni anglo-americane ed europee ha già, tuttavia, generato alcuni effetti non previsti, le cui ulteriori conseguenze potrebbero aumentare il divario tra Washington e Bruxelles e provocare una crisi irreversibile, se non dell’intero sistema occidentale, certamente della sua attuale componente euro-atlantica.

I primi effetti della divergenza
Il primo significativo effetto della divergenza è quello di aver fatto uscire allo scoperto le vere intenzioni espansionistiche degli anglo-americani verso l’Europa orientale. Il Segretario alla Difesa, Ronald Rumsfeld, si è, infatti, subito affrettato a definire i Paesi dell’Europa orientale la “nuova Europa”, il vero alleato atlantico su cui contare. Un secondo importante effetto, scaturito dalla volontà dell’Unione Europea di ridare prestigio e peso all’ONU, col sottinteso fine di rilanciare una nuova stagione di politiche multilaterali e concertate, tende, oggettivamente, ad ostacolare la politica mondialista e unilaterale dell’Amministrazione Bush, da sempre diretta a piegare ai propri voleri gli organismi internazionali (dall’OMC al FMI) ed a svuotare di significato, in particolare, la funzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, umiliandone l’autorevolezza e limitandone l’autonomia. Un terzo effetto, infine, consiste nel riproporre, in seno ai paesi membri dell’U.E., una concreta discussione sul comune sistema di difesa europeo, sui suoi rapporti con la NATO e con alcuni Paesi dell’Europa orientale già attirati nell’orbita anglo-americana, come ad esempio la Polonia (vedi la questione dell’opzione per gli F 16). Tali conseguenze proiettano, sul piano europeo, ed ora, con il supporto della Russia, su quello continentale, le profonde motivazioni che hanno spinto Chirac e Schröder ad attuare lo “strappo” da Washington. Se per l’Unione Europea, che, per quanto concerne le posizioni comuni dei suoi membri, rappresenta il luogo della mediazione e del compromesso tra i singoli interessi nazionali, la disputa con gli USA è una “divergenza”, seppur critica, per la Francia e la Germania essa rappresenta un vero e proprio “strappo” dalla politica euro-atlantica che rinverdisce la mai sopita vocazione “continentale” di Parigi e Berlino.

Il peso della Russia
L’allineamento della Russia di Putin sulle posizioni di Parigi e Berlino rappresenta indubbiamente un fatto nuovo, che, ad una prima e veloce analisi, sembra esprimere da parte del Cremlino:
- una esplicita manifestazione di insofferenza nei confronti degli USA;
- un chiaro tentativo di frenare le pretese egemoniche dei nordamericani sul Vecchio Continente e sull’area vicino orientale;
e, infine,
- la volontà di Mosca di considerare i governi francese e tedesco gli interlocutori privilegiati, come apparentemente, lo era l’Italia di Berlusconi sino a pochi mesi or sono.
Notiamo che l’attuale convergenza degli interessi russi con quelli di Francia e Germania, oltre a fornire sul piano dei rapporti euro-americani un concreto aiuto al governo tedesco e a quello francese, sia in ambito U.E sia in quello ONU, potrebbe - in prospettiva - tradursi nel primo effettivo passo per la definizione di un asse Parigi-Berlino-Mosca, il cui immediato e realistico fine potrebbe essere quello di convincere gli USA e la Gran Bretagna a ripensare la politica euro-atlantica almeno su un piano di ritrovata parità con le nazioni europee nonché con la Russia stessa, e fornire, soprattutto, una coerente identità politica all’Unione Europea.

L’attuale sistema euro-atlantico scricchiola
L’affiancamento della Russia alle posizioni franco-tedesche ha certamente contribuito a spostare il baricentro della leadership dell’U.E., dalle tendenze euro-atlantiche, capeggiate dalla Gran Bretagna, a quelle, in qualche misura, più “pro-europee” e “continentali”, rappresentate tradizionalmente dalla Germania e dalla Francia (ieri De Gaulle con la sua Europa dall’Atlantico agli Urali; in seguito Kohl e Mitterand, oggi Chirac e Schröder). Tale slittamento ha comportato una perdita di prestigio dell’alleato inglese, che ha subito risposto con l’offerta della costituzione di una forza navale europea. Una offerta, vale la pena di sottolineare, poco “continentale”, in quanto privilegiando l’aspetto marittimo della “difesa comune europea” di fatto rafforza il peso dell’unica vera potenza navale dell’U.E.: appunto il Regno Unito! Le frizioni presenti, sul versante politico, all’interno del sistema euro-atlantico si sono trasferite, ovviamente, anche in quello militare, in particolare in ambito NATO. Ma in questo caso le divergenze sono state prontamente ricomposte, anche se, forse, non del tutto risolte. E’ interessante notare che esse si sono manifestate simultaneamente a quelle, più propriamente politiche, sostenute da Parigi e Berlino. La situazione permane insomma critica, anche a causa della questione sugli aiuti da fornire alla Turchia nel caso che inizi la guerra anglo-americana contro l’Iraq. Il continuo balletto di cifre e “controcifre” offertoci dai rappresentanti del governo turco e dall’americano Powell, il fatto che gli USA ad ogni piè sospinto affermino che possono “fare da soli” ci dicono che il Patto Atlantico è vicino al collasso. La questione irachena sembra essere dunque proprio come il vaso di Pandora. Essa ha dato la stura a faccende e incomprensioni mai risolte, tra americani, russi, inglesi e le nazioni dell’Europa occidentale, sin dalla fine del secondo conflitto mondiale. La sua soluzione sarà ricordata nei libri di storia come un punto di snodo per la sopravvivenza del cosiddetto impero americano e della sua sovrastruttura ideologica: l’occidentalismo. Se si volesse fare una analogia, l’Iraq sembra rappresentare per gli USA ciò che ha significato l’Afghanistan per l’Unione Sovietica: l’inizio del suo disfacimento, militare, politico ed ideologico.

Nuovi scenari
La questione irachena non sembra più, dunque, essere una questione confinabile e risolvibile nell’ambito di una guerra lampo. Essa, infatti, ha messo in moto un meccanismo che potrebbe sfuggire al controllo degli anglo-americani e rendere irreversibile la crisi dell’attuale sistema euro-atlantico, a partire da uno dei suoi pilastri: quello militare. La sottolineatura fatta da Rumsfeld sui paesi dell’Europa orientale, ed il successivo atteggiamento filoamericano di questi ultimi sulle iniziative dell’U.E., - peraltro tempestivamente denunciato e censurato da Chirac -, fanno supporre che gli USA stiano già sul punto di creare un sistema di intese militari che dovrebbe supplire alcune funzioni dell’attuale NATO, qualora quest’ultima dovesse collassare o si rivelasse inservibile per gli attriti suaccennati. Questo nuovo sistema avrebbe il suo fulcro in alcuni paesi dell’Europa orientale (principalmente Polonia ed Ungheria, che appaiono essere i più affidabili, ovvero i più filoatlantici) e, ovviamente, nella Gran Bretagna. Assisteremmo, in tal caso, alla creazione di una nuovo sistema euro-atlantico, intenzionato a spezzare, una volta per tutte, la risorgente e, per ora, confusa vocazione “continentale” della Germania e della Francia. Il nuovo sistema isolerebbe infatti la Russia dalla Germania e dalla Francia e contenderebbe al condomino euro-russo quel suo naturale mercato che è rappresentato dai paesi della fascia orientale, mediante massicci aiuti finanziari, pianificazioni economiche secondo il collaudato modello del Piano Marshall e istallazioni militari. In tale prospettiva, gli accordi e le scelte industrial-militari della Polonia sugli F-16 acquistano una significativa importanza. Tale scenario dovrebbe prevede anche la destabilizzazione economico-monetaria dell’U.E. nonché la ridefinizione degli organismi comunitari ad un livello ancor più burocratico di quello attuale. Osserviamo che l’ “opposizione” europea avviene a circa un anno dalla realizzazione della difficoltosa unità monetaria operata dall’Unione. Un’unità, ricordiamo, osteggiata dagli USA e, soprattutto, mal digerita dai circoli finanziari e politici di Londra, che seguita, infatti, a battere la propria moneta ed a condurre politiche finanziarie e monetarie ben distanti da quelle di Bruxelles. L’euro, facciamo notare inoltre, nel corso del 2002 è diventato sempre di più la moneta di scambio preferita dai Paesi del Vicino Oriente a detrimento, ovviamente, della divisa statunitense.

Crisi euro-atlantica e costruzione dell’Eurasia
Indubbiamente per chi, in Europa, sostiene una battaglia di liberazione continentale, in nome delle specificità nazionali, culturali ed etniche, e si spinge fino a proporre una nuova costruzione politica di alleanze in una prospettiva “euroasiatica”, l’attuale crisi euro-atlantica rappresenta certamente una novità foriera di possibilità sino a ieri improbabili, tuttavia il senso di realismo deve far osservare che, mentre esiste uno sperimentato asse Londra-Washington, di contro non ne esiste uno continentale tra Parigi, Berlino e Mosca. La Francia, la Germania e la Russia sono, infatti, interessate ad ostacolare l’iperpotenza americana, ma non a creare accordi per rendere coesa e politicamente efficace la loro attuale convergenza di vedute. Sul piano dei rapporti di forza, le tre nazioni posseggono sicuramente le condizioni minime e sufficienti per ricondurre sia gli USA sia la Gran Bretagna alla ragione. Tutti conosciamo la potenza industriale della Germania; tutti sappiamo che la Francia e la Russia sono due potenze nucleari. Industria e deterrente nucleare, nell’ultimo cinquantennio, hanno avuto sempre un grande peso nelle diatribe del pianeta. Oggi, se all’Eliseo, al Cremlino e a Berlino ci fosse un po’ più di coraggio o, perlomeno, una chiara coscienza del profondo nesso che intercorre tra i propri singoli interessi nazionali e quelli dell’intero continente, l’arroganza anglo-americana riceverebbe sicuramente un colpo mortale.

Tiberio Graziani