BRACCIO DELLA MORTE
Arrivato per telefono da FULVIO GRIMALDI e inoltrato da Sandra Paganini
(PER MONDOCANE DEL 21/03/03)

Confine giordano-iracheno. Sto all’ingresso del braccio della morte e non ho più notizie, solo voci di camionisti in sosta, tremori di fuggiaschi in arrivo. Dal deserto arriva un gelido silenzio di tomba. Oggi è mercoledì, chissà se domani il telefono funzionerà ancora, chissà se quando leggerete queste parole il braccio della morte si starà svuotando. A pochi chilometri da qui, nell’angolo dove s’incontrano Iraq, Giordania e Saudiarabia, hanno collaudato le nuovissime B1, figlie obese di quelle “Blue 82” da 10 tonnellate che tanta buona prova hanno dato di sé su pastori e contadini afgani rintanatisi con le famiglie in grotte profondissime. Targhettati a loro insaputa Taliban e Al Qaida, hanno meritato di farsi buttare addosso la montagna. Dell’Iraq gli esperti di olocausti avevano cominciato col fare, con l’embargo, un enorme campo di concentramento, tipo riserva indiana al vaiolo, o Vietnam, o Cile. Grazie all’impagabile opportunità dell’11 settembre, hanno confezionato un braccio della morte per 22 milioni di criminali. Con un modello subito copiato da noi, hanno razionalizzato in un’unica funzione costruttore di carceri, gendarme, pubblica accusa, giudice e boia. 3000 bombe e 700 missili sono il rumoreggiare di mazzi di chiavi, tonfi di passi che annunciano l’arrivo del carnefice. Vengono a prenderci, scudi umani compresi: chi si oppone alla più grande pulizia etnica di tutte, è complice di Saddam. Rachel Corrie, pacifista statunitense, dunque amica di kamikaze, macinata dalla ruspa israeliana a Gaza, è stata l’avvertimento. Sharon, come sempre, da l’esempio. Piangono in tanti nelle loro auto in fuga, sepolte sotto masserizie che sono ruderi di una vita conclusa per sempre. Hanno lasciato pezzi di sé che fra poco sanguineranno e poi si faranno polvere. Hanno lasciato ziggurat e templi, scritte cuneiformi, leoni alati di basalto, moschee dalle cupole dorate e dalle maioliche di lapislazzuli, un paese mille volte devastato e mille volte rimesso in piedi, la speranza della sovranità, la difesa della dignità. I sopravvissuti annasperanno in un oceano tossico e radioattivo. Il generoso ecosistema mesopotamico che, curato per sei millenni da umani tra i più civili del mondo, aveva diffuso nel mondo cultura, sapienza, conoscenza, si sarà ridotto a un fetido lago di petrolio Exxon-Chevron che abbevererà la consigliera Condoleezza e nel quale sguazzeranno i ricostruttori Halliburton del boia Cheney. Adriano Sofri chiede “state col democratico occidentale Bush o con Saddam?” Io vorrei stare a Baghdad, piuttosto che vicino a Sofri.