Hey, qua pare che la torta dell'Iraq liberato venga spartita tra tutti tranne che con noi. Americani e inglesi ci saranno sicuramente. I Francesi forse.
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Uomini del Fare, sveglia, che le lobbies americane sono più sveglie, e anche Chirac non sta mica lì con le mani in mano.

Siamo o no una superpotenza che dà del tu a tutti anche noi da due anni in qua?


Corriere, 22.3.03

LOBBY AL LAVORO / Nel 2001 Parigi ha venduto prodotti all’Iraq per 1,5 miliardi di dollari. L’offensiva della stampa anglosassone


Diritti petroliferi e affari con Bagdad, sfida tra multinazionali



DA UNO DEI NOSTRI INVIATI
BRUXELLES - William Safire, autorevole columnist del New York Times , accusa la Francia di aver fornito all’Iraq 22 tonnellate di «Htbp», un componente per armi chimiche, non più tardi di sette mesi fa. Un articolo apparso ieri ha dato nuovi dettagli, pur rendendo nota la secca smentita data da Jacques Chirac a Christiane Amanpour, in un servizio per la «Cbs». Il traffico, assolutamente illegale, sarebbe stato organizzato da un broker e il materiale avrebbe preso la via di Bagdad passando per la Cina e la Siria. Vera, falsa o denigratoria che sia, l’indiscrezione rientra in quella battaglia politico-diplomatica che si è scatenata tra Parigi e Washington sulla scia delle divisioni sul caso Saddam. Dello stesso tenore è la «rivelazione» fatta giovedì a Londra dal ministro dell’Industria, Patricia Hewitt, secondo la quale l’anno scorso la Francia ha esportato in Iraq beni e prodotti per 212,5 milioni di euro, infrangendo le sanzioni fissate dall’Onu.
Gli ambienti politici e la stampa anglosassone non perdono occasione per attaccare il comportamento «pacifista» di Chirac, neppure ora che la guerra è in pieno svolgimento. Che la Francia abbia sempre intrattenuto rapporti economici particolari con Bagdad è cosa nota, così come li ha avuti, frequenti, l’America dei petrolieri che sostiene George Bush. Negli ambienti cinici e pragmatici del business internazionale si comincia già a fare qualche conto sulla ricostruzione dell’Iraq, nessuno vuole perdere accordi o contratti fatti con il dittatore e molti si preparano, nel silenzio, a entrare nella partita.
Le grandi corporation statunitensi sono già in movimento, cinque si sono recentemente aggiudicate un maxiappalto dalla Casa Bianca di 900 milioni di dollari per le infrastrutture e le opere civili che missili e B52 stanno distruggendo. Tra esse anche una società che fa capo al gruppo Halliburton, controllata a suo tempo da Dick Cheney, il vice di Bush, in una situazione di palese conflitto di interessi. Le lobby hanno cominciato a premere su Washington con grande anticipo portando a casa i frutti sperati.
L’Amministrazione Usa ha offerto anche ad aziende straniere di partecipare al consorzio per la ricostruzione. Gli inglesi ci saranno sicuramente. Cosa faranno, invece, i gruppi francesi? Chirac non ne vuole parlare. Ieri, nella conferenza stampa conclusiva del vertice europeo, ha ribadito che le Nazioni unite devono essere l’unica sede per i lavori di ricostruzione, precisando però di intendere «la ricostruzione politica e non economica». «Spero che il conflitto sia meno sanguinoso possibile - ha aggiunto - ma anche che provochi meno distruzione e danni possibile al patrimonio dell’Iraq, anzi degli iracheni».
La spartizione del Paese può diventare un argomento imbarazzante per Chirac. Nel 2001 Parigi ha venduto a Saddam prodotti per 1,5 miliardi di dollari, regolari, secondo il programma alimenti contro petrolio previsto dall’Onu. Alcatel, Peugeot, Renault e soprattutto Total-Elf-Fina hanno una tradizione di commesse lucrose.
Il colosso petrolifero possiede i diritti esclusivi per i giacimenti di Majnoon e di Bin Umar, ritenuti tra i più grandi del mondo con un potenziale di 35 miliardi di barili di greggio. L’establishment francese ora teme conseguenze. Qualora l’Iraq diventasse un «protettorato» angloamericano, almeno nei primi mesi, Parigi potrebbe vedere compromessi gli affari.
Così, se da un lato Chirac si rifiuta politicamente di partecipare a una ricostruzione per una guerra che ha duramente osteggiato e chiede assieme a tutta l’Europa che il compito sia delegato alle Nazioni Unite, dall’altro non potrà rinunciare a fare i conti con l’offensiva delle multinazionali americane pronte a conquistare Bagdad.
clindner@corriere.it
Claudio Lindner