Da La Stampa di ieri (22/3)
www.lastampa.it
Propongo questo articolo come spunto di riflessione. Quando una guerra è motivata (se può essere motivata)? Lo è questa? E quella di Clinton contro la Serbia? Che giudizio dare sugli atteggiamenti delle sinistre italiane nelle due occasioni?
Saluti
Franzele
Pierluigi Battista
NEL 1999 IL GOVERNO ITALIANO DECISE I BOMBARDAMENTI SU BELGRADO SENZA UNA RISOLUZIONE DELL´ONU
STA diventando un´ossessione, e anche un tormento. L´altra sera, durante la fiaccolata pacifista del Colosseo, un gruppo di giovani esagitati si è avvicinato a Massimo D´Alema per gridargli con tono palesemente ostile «Kosovo, Kosovo». Due giorni prima, c´era stato un feroce scontro verbale tra il presidente dei Ds e il ministro Carlo Giovanardi («buffone», «bugiardo», «no, bugiardo tu») e l´argomento, ancora una volta, è stata la partecipazione italiana, governo presieduto da Massimo D´Alema, alla guerra contro la Serbia. Ora ci si mette il calendario a complicare le cose. Giusto quattro anni fa, sera del 24 marzo 1999, si levavano in volo i bombardieri Nato per martellare Belgrado assieme ai missili Cruise lanciati dalle navi militari americane schierate nell´Adriatico. Quattro anni fa, non un secolo fa. Ed è fatale che la coincidenza delle date sia destinata a rinfocolare le polemiche sulle analogie e le differenze tra la guerra di oggi e quella di quattro anni fa, sul diverso comportamento dell´allora presidente del Consiglio e oggi autorevole dirigente dell´opposizione. Polemiche alimentate da date, parole, giudizi, voti parlamentari. Davvero il Kosovo è tanto diverso dall´Iraq? Quella del Kosovo fu una guerra anomala. Talmente anomala che si arrivò a non chiamarla guerra. Non guerra ma operazione di «polizia internazionale», la definì Adriano Sofri, esponente di una sinistra che nella tragedia apocalittica dell´ex Jugoslavia scoprì le ragioni e la necessità di un intervento armato. L´allora ministro delle Giustizia Piero Fassino assicurò che i militari italiani non vanno a «fare la guerra». Non era guerra, ma «intervento umanitario», fondato su una nuova dottrina: il diritto di «ingerenza umanitaria». Se la dottrina Bush della «guerra preventiva» è una novità, anche il diritto di «ingerenza» introdusse una novità concettuale nella storia tradizionale della guerra. Le immagini della «pulizia etnica» di Milosevic in Kosovo diedero alla guerra uno spessore «etico». Si rivendicò il perseguimento di un «Ordine Giusto», alla guerra venne conferito un significato salvifico, destinato a sublimare la orribile concretezza della morte e della distruzione. «Bombe a fin di bene», le definì con amaro sarcasmo Ida Dominjianni sul manifesto. Chiamate a travolgere la vecchia nozione di «Stato nazione», le bombe «etiche» diedero al primo conflitto targato Nato condotto in Italia dagli eredi del Pci la valenza di uno scontro tra Bene e Male. Del resto, Milosevic era dipinto come il «nuovo Hitler («Hitlerosevic», secondo una famosa copertina dell´Espresso), la persecuzione contro gli albanesi del Kosovo equiparata a un «nuovo Olocausto», un «genocidio», dove le masse dei profughi derelitti («la «profuganza», secondo l´icastica definizione dello scrittore Carlo Sgorlon) rappresentavano la figura dei «nuovi ebrei». E di fronte all´imperativo morale di fermare il «nuovo Olocausto», che valore poi poteva avere il richiamo alla «legittimità» e alla «legalità» dell´intervento armato, che invece infiamma l´odierna guerra anglo-americana all´Iraq. E infatti, in Italia, il governo di allora non visse la mancanza di una risoluzione Onu come un insormontabile impedimento alla necessità della guerra. Due giorni dopo che la macchina della guerra si era già messa in moto, esattamente il 26 marzo del 1999, Massimo D´Alema denunciava nel Parlamento della Repubblica chiamato ad autorizzare la partecipazione italiana a una guerra Nato che era già cominciata «la sostanziale paralisi del Consiglio di sicurezza, bloccato nelle sue deliberazioni dai reciproci veti dei suoi membri». Oggi, come allora, la paura del «veto» impedì che l´intervento armato avvenisse «sotto l´egida dell´Onu». Ma allora, a differenza di oggi, il presidente del Consiglio D´Alema riteneva che «l´uso della forza può rivelarsi necessario quando gli strumenti della ragione e della persuasione pacifica si rivelino impotenti». D´Alema, nel suo libro sul Kosovo, rivendicherà a tal punto la legittimità di quella partecipazione italiana da voler precisare: «Vorrei ricordare che, quanto a impegno nelle operazioni militari noi siamo stati, nei 78 giorni del conflitto, il terzo Paese, dopo gli Usa e la Francia e prima della Gran Bretagna». Le componenti più radicali della coalizione del centro-sinistra al governo rumoreggiavano e Armando Cossutta si recava a Belgrado. Ma anche le componenti più radicali dell´opposizione rumoreggiavano e pure Umberto Bossi di recava nella Belgrado di Milosevic. Ma il grosso dell´allora opposizione sostenne la guerra, colmando le lacune dell´allora maggioranza e l´ideologia dell´«intervento umanitario» divenne ben presto ideologia condivisa e bipartisan. E l´Onu? E il mandato mancato da parte delle Nazioni Unite? Walter Veltroni, allora segretario dei Ds, in un´intervista a Repubblica dichiarava l´inutilità di «appellarci all´Onu», per di più «paralizzato dal sistema dei veti» e d´altronde, per Veltroni non reggeva più «la vecchia antitesi ideologica tra la Nato "cattiva" e l´Onu "buona"». L´ideologia dell´intervento «umanitario», al contrario, avrebbe dovuto fondare «un nuovo internazionalismo» con al centro «la difesa dei diritti umani» e capace di superare le vecchie ubbìe non interventiste: «la sinistra delle lacrime non salva una vita». Persino la «sindrome di Monaco», cavallo di battaglia degli interventisti di oggi che non vorrebbero lasciar via libera all´«Hitler» di oggi Saddam Hussein, venne rievocata per giustificare le «bombe umanitarie». La sinistra pagò un prezzo salato per la sua posizione neo-bellicista. Cortei e manifestazioni attraversarono le città e a Roma un gruppetto di estremisti violenti finì addirittura per dare l´assalto a Botteghe Oscure. Tra gli intellettuali, gli artisti, gli anchorman della sinistra si diffusero poderosi sentimenti antigovernativi e restano nella memoria le immagini di Michele Santoro sui ponti di Belgrado battuti dalle bombe «etiche». Un intellettuale come Alberto Asor Rosa espresse il suo disgusto dicendosi «inorridito dalle esternazioni compiaciute di giovani esponenti della sinistra europea contraddistinti dagli spiriti più animali della tradizione capitalistica occidentale». Si criticava che in una sindrome di enfasi eticizzante Tony Blair fosse arrivato a definire «Demonio» il leader serbo. Un intellettuale tedesco molto caro alla sinistra come Hans Magnus Enzensberger sferzò la «retorica universalistica», «la teologia dei diritti dell´uomo», le «illusioni di una morale onnipotente». Ma per sottolineare l´aspetto «etico» della guerra Nato si sottolineò tra gli interventisti il ruolo «umanitario» della «Missione Arcobaleno» pubblicizzata in trasmissioni a reti unificate condotte da Bruno Vespa e Maurizio Costanzo tanto da configurare la guerra, scrisse ironicamente il Foglio, come un «Live Aid condotto con altri mezzi». Ma la guerra era rivendicata come «giusta» e sacrosanta al punto da innescare inusitate corse al primato bellicista. E quando il ministro della Difesa del governo D´Alema, Carlo Scognamiglio, sottolineò che solo con quel governo la Nato aveva trovato un interlocutore affidabile, l´ex premier Romano Prodi si inalberò assai e dovette puntigliosamente precisare: «Ancorché dimissionario, fu il mio governo il 12 ottobre del `98 ad assumersi la responsabilità di decidere a favore dell´Activation Order. E fui io stesso, come presidente del Consiglio, a firmare il relativo provvedimento». Il «provvedimento» in questione riguardava la possibilità di usare le basi militari in Italia: ben cinque mesi prima dello scoppio della guerra vera e propria e quando ancora, con il fallimento dei negoziati di Rambouillet, l´«emergenza umanitaria» assunta come base etica dell´intervento armato, non aveva raggiunto il suo acme. Quattro anni fa, soltanto. Senza l´Onu ma «eticamente» giustificata. Ecco perché il ricordo della guerra del Kosovo suona ancora come un´ossessione.