Archimandrita Sofronio (discepolo di San Silvano del Monte Athos)

Perfezione cristiana e monachesimo

Nato a Mosca nel 1896, Sofronio (Sakharov) vi studia Belle Arti. A motivo della situazione dominante in Russia fugge all'estero, stabilendosi, nel 1922, a Parigi. Nella capitale francese si dedica alla pittura; lì, soprattutto, al contatto con il Dio personale della fede cristiana abbandona il misticismo orientale degli anni della prima giovinezza.

Nel 1925 raggiunge il Monte Athos, dove si fa monaco nel monastero russo di Haghiou Panteleimonos e dove conosce il futuro san Silvano, che lo segna profondamente e di cui diviene discepolo.

Ordinato diacono nel 1930 e prete nel 1941, ritorna in Francia dopo la seconda guerra mondiale, per trasmettere il messaggio del suo padre spirituale (ne pubblicherà la biografia, che, tradotta in varie lingue, in italiano è apparsa con il titolo: Silvano del Monte Athos - 1866-1938. Vita, dottrina, scritti).

Dopo alcuni anni di permanenza in terra francese, si stabilisce nel 1959 in Inghilterra, dove fonda il Monastero d San Giovanni Battista, nella contea dell'Essex.

Muore l'11 luglio 1993 a 96 anni di età.




Domanda:

In che consiste la perfezione nel monachesimo?


Risposta dell'Anziano Sofronio:

La Provvidenza di Dio, imperscrutabile nelle sue profondità, ha assegnato alla Chiesa russa l'esperienza della confessione e del martirio.
L'umanesimo marxista e' stato inflessibile nella sua lotta contro la fede in Dio: nessun sacrificio, nessun amore ha potuto vincere la persecuzione spietata da parte dei bolscevichi. La Chiesa russa ha vissuto una kenosi particolare nei suoi patimenti per il Nome di Cristo. Ora si pone davanti a questa stessa Chiesa la domanda in ordine alla perfezione, e ciò come conseguenza di quella legge spirituale che stabilisce: «La pienezza della kenosi precede la pienezza della perfezione».
Quando mi accingo a trattare della perfezione cui mira il monachesimo in generale, devo ricordare quanto scrive l'apostolo Paolo in tre passi delle sue Lettere: «Io, fratelli, sinora non ho potuto parlare a voi come a uomini spirituali, ma come ad esseri carnali, come a neonati in Cristo. Vi ho dato da bere latte, non un nutrimento solido, perché non ne eravate capaci. E neanche ora lo siete» (1Cor 3,1-2). «Ora, chi si nutre ancora di latte è ignaro della dottrina della giustizia, perché è ancora un bambino. Il nutrimento solido invece è per gli uomini fatti, quelli che hanno le facoltà esercitate a distinguere il buono dal cattivo» (Eb 5,13-14). «Tra i perfetti parliamo di sapienza» (1Cor 2,6).
Come potete notare, l'Apostolo, pur trasmettendo un insegnamento importante ed elevato, afferma che esso è ancora «latte», mentre il discorso in ordine alla perfezione può essere fatto solo tra i perfetti. Se il cibo solido di questi ultimi non è stato offerto ai Corinzi e agli altri, e nemmeno agli Ebrei, che possiamo dire di noi stessi e della nostra epoca? Cristo dichiara: «Sono venuto a Portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso!» (Lc 12,49). Se il Signore in persona si riferisce al proprio insegnamento come ad un fuoco sceso dal cielo sulla terra, come avremo noi l'ardire di parlare della perfezione? Non ci tratterrà forse la paura di questo fuoco divorante? Capisco la situazione che si è creata nel mondo negli ultimi decenni, la capisco a tal punto che non vedo per noi altra via, se non lo sforzo per penetrare nel mistero dell'insegnamento di Cristo, per conoscere Cristo compiutamente, nella misura accessibile all'uomo.
Tentiamo dunque, con timore e pietà, di parlare del monachesimo come di una ricerca della conoscenza perfetta della realtà cristiana.
Nel secolo scorso è vissuto a Kiev l'asceta straordinario Partenio, amico del metropolita di Kiev Filarete. Al momento della vestizione, pregò la Madre di Dio di rivelargli il significato del "grande abito". Quando ella apparve, gli disse: «Il monaco che indossa il grande abito intercede per tutto il mondo». Sulla base, pertanto, di questa rivelazione, proseguiamo il nostro il discorso sulle vie che conducono alla perfezione.
Il Signore medesimo nell'ultima Cena - nel Mistico Banchetto - disse ai discepoli: «Vi ho dato l'esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi» (Gv 13,15). Ora, cosa osserviamo in Lui? Non conosco i sentimenti altrui ma, nel mio caso, a stupirmi e ad attrarmi è la figura di Cristo che sale sul Golgota, il fatto cioè che Egli, unico tra gli abitanti della terra, abbia voluto prendere su di sé i peccati del mondo intero, consegnare la sua vita a patimenti estremi per affrancare noi tutti dalla maledizione della legge, maledizione che gravava sull'umanità dopo il peccato dei progenitori nel paradiso. Portando in se stesso l'Adamo totale, ossia tutti i popoli di tutti i secoli, il Signore è morto per tutti. Nessuno degli uomini, certo, poteva aiutarlo. Anche nella descrizione evangelica notiamo come l'intero suo pensiero fosse rivolto esclusivamente al Padre.
Quale conclusione possiamo trarre da una simile contemplazione di Cristo? Egli sale sul Golgota per offrire la propria vita; accettando la morte che ha colpito gli uomini, vuole accordare loro una vita divina, secondo le sue parole: «Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi» (Gv 15,12-15).
Vediamo dunque che prima di uscire incontro alla morte sul Golgota il Signore ha deciso di parlare della perfezione ai discepoli.

In cosa consiste il nostro compito?
Nello spiegare come gli uomini siano arrivati a questa forma di vita, il monachesimo.
Il monachesimo non è invenzione umana. Costituisce un imperativo categorico del nostro spirito dopo il suo contatto con lo Spirito Santo: contatto col fuoco dell'amore di Cristo che offre la propria vita perché vivano gli altri, mentre da loro riceve la morte. Ciò è autenticamente il monachesimo nella sua massima profondità, intesa nella prospettiva indicata dallo stesso Signore: «Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo... Chi vorrà salvare la propria vita la perderà, ma chi perderà la propria vita per me la salverà» (Lc 14,26; 9,24).
Dunque, l'amore che Cristo ha manifestato è la perfezione. Quanto a noi, non siamo capaci di un tale amore a causa dell'orgoglio che ci domina; fino ai giorni nostri i cristiani continuano a ignorare ciò che è stato comandato da Cristo. Il Signore si attende che ripetiamo la sua vita sulla terra. E tuttavia quanti si oppongono a una simile vocazione...!
Se dovessi esprimere compiutamente il mio pensiero, farei la seguente affermazione: il mondo potrebbe salvarsi se gli uomini, tutti insieme, seguissero la via dell'imitazione di Cristo, offrendo ciascuno la propria vita per la vita degli altri.
Nel mondo solitamente si svolge una lotta per ottenere il predominio sui più deboli. Spesso, tramite massacri generalizzati, gli uomini impongono il loro potere sugli altri. Questa è la via del mondo lungo i secoli, questa è la storia della nostra esistenza umana. Il dominio sul fratello attraverso la forza fisica, tuttavia, non rappresenta la grandezza dell'uomo. La sua grandezza si rivela, invece, in quella scelta cristiana di cui parla il Signore: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15,13). Ma tale è anche il fine ultimo del monachesimo: assomigliare a Cristo nel modo più completo.
Cristo, il Dio senza-principio, assume nella sua natura tutta la realtà, tutto ciò che il Padre ha fatto tramite Lui e lo Spirito Santo. In ragione di ciò, la vita intera del mondo, in tutte le forme in cui essa si manifesta, costituisce un'esistenza comune, ma in gradi diversi di perfezione. Nella misura in cui conosciamo l'essere del mondo osserviamo in esso un numero infinito di piani, dall'atomo invisibile ad occhio nudo fino al mirabile sistema delle galassie; anche all'interno del monachesimo, che, nella sua ultima dimensione, ha quale scopo - lo si è già detto - la piena somiglianza con Cristo, «per mezzo del quale tutto è stato fatto», rileviamo differenti gradi di perfezione nelle sue diverse espressioni.
Ciò che il monaco racchiude nel suo intelletto manifesta il grado della sua ricettività in ordine alla rivelazione che procede da Dio. Persone di ogni condizione possono accostarsi al monachesimo. Per questa ragione si notano differenziazioni tra i monaci, determinate dalla diversa penetrazione nei misteri celesti. Il Signore, mentre dimorava tra noi sulla terra, parlava al popolo con un linguaggio per nulla complicato, ricco di immagini tratte dalla vita quotidiana, perché anche i più semplici potessero capirlo. Così diceva agli Apostoli: «A voi è dato conoscere i misteri del Regno di Dio, e agli altri in parabole...» (Lc 8,10).
Osserviamo, però, con grande angustia un fenomeno doloroso nella vita della Chiesa: quanti si trovano nella misura spirituale inferiore di comprensione non possono afferrare i pensieri, le preghiere, la forza, la contemplazione, l'amore di quanti sono invece più capaci di assimilare le rivelazioni che discendono dall'Alto. Anche l'apostolo Paolo ha sperimentato in tutta la sua intensità, durante il suo ministero apostolico, il medesimo fenomeno: coloro che meno approfondiscono la conoscenza delle realtà divine interpretano la propria comprensione come la perfezione ultima e combattono per imporla a tutta la struttura della Chiesa. Proprio a causa di ciò affermava (di «aver dato da bere» agli uomini un «latte» spirituale. Quanto alle realtà che li superavano, mentre erano accessibili soltanto alla comprensione dei perfetti, egli ne parla unicamente tra questi ultimi, aggiungendo che «tutti quelli che vogliono vivere piamente in Cristo Gesù saranno perseguitati» (2Ts 3,12), persino dentro la Chiesa, dato che ci sono individui i quali non solo rifiutano la perfezione, ma lottano attivamente contro di essa. Di qui dunque il nostro timore di trattare un tale argomento.
La nostra natura corrotta non ci garantisce forze sufficienti per seguire l'esempio di Cristo. Il monachesimo, perciò, nasce come una particolare forma di vita in questo mondo, come un'aspirazione a diventare simili a Cristo che è morto sul Golgota per tutti, «al fine di riunire insieme i dispersi figli di Dio» (Gv 11,52). Attraverso questa via l'uomo, osservando i comandamenti di Cristo, arriva gradualmente alla coscienza di essere Adamo. Custodendo per anni nell'anima, giorno dopo giorno, ora dopo ora, tale idea, acquisiamo progressivamente l'idoneità ad afferrare il comandamento di Cristo nella sua autenticità. Grazie a questo comandamento diventiamo capaci di portare in noi l'essere del mondo intero e la stessa vita divina, una vita, cioè, conforme ai precetti del Vangelo.
Ciò che il Signore si attende da noi è infinitamente elevato, infinitamente grandioso; la nostra religione deve sicuramente distinguersi come religione di un ordine assoluto. Dai cieli è sceso Cristo, il Dio perfetto, il Creatore di quanto esiste, e il cristiano con la sua obbedienza a Lui diviene atto ad accogliere ogni fenomeno che si presenta nel mondo degli uomini. Avviene, in modo mirabile, che la persona, leggendo nella Rivelazione ciò che si riferisce alla caduta di Adamo, si accorga all'improvviso di portare in sé quel peccato.
Il monachesimo comincia con piccole cose, ma il suo termine attinge quella pienezza nella quale l'uomo prega per l'Adamo totale come per se stesso. Nell’ultimo giudizio, quando giudicherà coloro che non si sono posti a servizio dei «più piccoli» mentre si trovavano nel bisogno, il Signore dirà che quei fratelli «più piccoli» erano Lui stesso (cf. Mt 25,45).
L'argomento di cui ora parliamo trascende la misura della comprensione media e sembra completamente inaccessibile, impossibile. Ciò costituisce una conseguenza della riluttanza a seguire Cristo, per quanto doloroso sia tale cammino.
Molti, al tempo della rivoluzione comunista, sono morti di morte violenta. Quando tuttavia non vi è persecuzione è il monachesimo a prendere il posto del martirio. Osserviamo un tale fenomeno dopo la vittoria di Costantino il Grande, nel momento in cui il cristianesimo divenne fede ufficiale dello stato. Allorché, dopo tre secoli di martiri per Cristo, si levò un'era di pace, i membri scelti della Chiesa si rifugiarono nel deserto. Se poi esaminiamo i fatti sulla base di una possibile analogia dovuta al ripetersi della storia, anche in questo caso proprio le persone migliori dovevano volgersi al monachesimo.
Costituiamo qui un piccolo nucleo di monaci e comprendiamo la realtà nei termini in cui l'ho descritta. Ma non arriviamo a toccare la perfezione. Il nostro padre spirituale, Silvano, insegna che la perfezione del comandamento non si raggiunge, sebbene vi siano momenti in cui ad essa ci avviciniamo, ma solo per poco.
Nella nostra epoca i monasteri di tipo classico non corrispondono pienamente alle esigenze dello spirito cristiano, poiché il monachesimo è anzitutto vita spirituale di quell'ordine che il Signore ci ha dato e a cui mi sono appena riferito.
Se nella mia vecchiaia mi permetto di parlare così, non è perché io stesso sia giunto alla perfezione, ma perché capisco che non c'è né ci può essere altra strada per la salvezza dell'umanità se non quella del Vangelo, né un altro Salvatore dell'umanità se non il Cristo.
Molti dicono: «Va bene, ma se tutti si fanno monaci il mondo sparirà...».
No, non sparirà, ma arriverà la risurrezione universale e la storia del mondo avrà termine non con una distruzione, ma con un trionfo gioioso e un passaggio indolore alla vita immortale.


Tratto da: Archimandrita Sofronio, ASCESI E CONTEMPLAZIONE - ed. Servitium - Interlogos