Articolo del grande Lottieri, risalente al periodo precedente allo scoppio della guerra ma sempre validissimo.
Direi che, emotività a parte (i pacifisti sono incoerenti e ci stanno sulle balle per principio), non si può appoggiare entusiasticamente questo intervento. Solo augurarsi, per il bene di chi combatte e di chi ha la sola colpa di essere nato irakeno, che finisca prima possibile.
Alle radici della guerra
e dell'umanitarismo democratico
di Carlo Lottieri
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Sembra ormai deciso. La guerra dell'Occidente 'liberale' contro l'Iraq tirannico di Saddam Hussein si farà, e tutto questo perché George W. Bush Jr. ha dichiarato al mondo che il califfo di Baghdad potrebbe possedere armi distruttive del tutto simili, anche se molto meno potenti, a quelle che vi
sono negli arsenali americani.
Sulla base di una folle dottrina che vorrebbe legittimare l'aggressione preventiva e che, a rigore, dovrebbe autorizzarci ad uccidere chiunque possieda un'arma (salvo ricordarsi che, per uccidere, noi stessi dobbiamo essere armati.), Bush sta oggi tessendo la trama di alleanze che dovrebbero
permettergli di avere l'assenso della Russia, della Cina, dell'Europa, dei paesi arabi.
Il copione è già noto e siamo certi che non vi sarà nulla di edificante in questo ennesimo conflitto tra il Bene (democratico) ed il Male (assoluto). Vedremo cieli verdognoli ripresi dalla Cnn e solcati da bombe intelligenti; saremo sopraffatti dagli interventi televisivi di esperti capaci di descrivere ogni ordigno nei minimi dettagli, mentre ben pochi spenderanno una parola sul destino degli innocenti condannati a morte dall'attacco militare; sentiremo racconti a ripetizione sulle atrocità (indubbie) del
regime irakeno, mentre troppi negheranno la tragedia di un conflitto in cui vi è un esercito che aggredisce civili la cui unica colpa è di essere nati in terra irachena.
Nessuno, soprattutto, ci spiegherà quali colpe abbiano quanti moriranno sotto le nostre bombe. Né tanto meno ci verrà spiegato perché si è deciso di colpire, ancora una volta, il 'novello Hitler' del golfo Persico, e non già il regime russo o quello cinese, responsabili di analoghe atrocità: in Cecenia, in Tibet ed in molte altre regioni. Ed ugualmente implicati in loschi traffici di materiali bellici.
Il terrorismo è bestiale ed intollerabile, come la tragedia delle Twin Towers ha mostrato ancora una volta. Ma esso si distingue dalla guerra soprattutto per il suo rifiuto di ogni norma morale, per quel suo sparare nel mucchio che sacrifica i diritti dei civili. Esattamente per tale ragione non dovremmo accettare che all'attacco terroristico di Al Qaeda si facciano seguire bombardamenti che replicano le atrocità già commesse dall'alleanza occidentale in Iraq alcuni anni fa e poi, più di recente, in Serbia ed in Afghanistan.
Oltre a ciò, va aggiunto come sia stupefacente l'assenza di veri argomenti in chi vuole condurre una guerra che - come sempre - è destinata a lasciare dietro di sé una lunga catena di lutti. Si legge che Baghdad deve essere aggredita per dare a quel paese un vero sistema democratico, perché quel
regime ha aiutato i fondamentalisti (o potrebbe aiutarli in futuro), perché rappresenta un elemento di disturbo al Nuovo Ordine Mondiale in costruzione. Nessuno di questi argomenti, però, riesce persuasivo.
In primo luogo va detto che la democrazia, in quanto tale, non è un valore. È comprensibile che vi sia chi l'apprezza, ma anche in quel caso in genere essa è gradita solo come strumento in vista di qualcosa d'altro (un ordine di diritto e libertà, ad esempio). Il che non deve fare dimenticare come nel corso del Novecento si abbia conosciuto democrazie che hanno portato al potere, attraverso regolari elezioni, un autentico criminale come Hitler. In altri casi, abbiamo visto governi democraticamente eletti fare ricorso ad armi distruttive intrinsecamente immorali, come appunto le bombe atomiche sganciate a Hiroshima e Nagasaki. Quando dal monopolio "democratico" dell'
atomica si è passati ad un ordine internazionale con più potenze nucleari (l 'Unione Sovietica, la Cina, l'India, e così via), nessuno ha più osato fare ricorso a quell'arma tanto distruttiva.
Lo Stato democratico, per giunta, è un qualcosa di tipicamente moderno ed occidentale: un tratto tipico dell'ordine post-giacobino ed un tassello importante di quella "socializzazione del potere" che ha aperto la strada al totalitarismo nazista e comunista.
Non basta poi affermare che Baghdad avrebbe aiutato i fondamentalisti islamici. Soprattutto, questa accusa non può muoverla Washington, che da decenni puntella il regime più islamista che mai si sia conosciuto (eccezion fatta per l'Afghanistan talebano), quello saudita, e che ha in vario modo sostenuto organizzazioni che hanno usato in modo sistematico la violenza e l
'intimidazione.
La stessa retorica del Nuovo Ordine Mondiale non è difendibile, dato che si alimenta della pretesa progressista di eliminare il male e presume che l' America e, più in generale, l'Occidente abbiano il diritto di imporre la loro volontà ad ogni comunità politica. Va detto a chiare lettere che questa unificazione politica perseguita dalla politica statunitense (dai due Bush, ma anche dal democratico Clinton) non ha in sé nulla di liberale ed anzi prefigura quell'atmosfera monolitica e liberticida tipica delle utopie rovesciate descritte da George Orwell, Ayn Rand, Ray Bradbury e molti altri.
L'ossessione che anima la volontà occidentale di 'esportare' le proprie istituzioni non già con la persuasione, ma con la guerra e il ricorso alla violenza, ha le proprie origini nel programma wilsoniano ed in quel moralismo che tanto ha avvelenato la storia contemporanea. Come Carl Schmitt ha mostrato in alcune pagine straordinarie, è proprio un certo umanitarismo moralizzatore che ha aperto la strada alla guerra totale e che ha trasformato l'avversario in un nemico, da negare nella sua identità e quindi da distruggere. In questa folle "guerra contro la guerra", i nemico viene trasformato in "un mostro disumano che non può essere solo sconfitto ma dev'essere definitivamente distrutto, cioè non deve essere più soltanto un nemico da ricacciare nei suoi confini", ma un Male da annientare, negare, dissolvere.
È la democratizzazione progressista, liberal e moralistica della politica moderna statuale che ha prodotto questo esito criminogeno, da cui proviene il terrorismo di Stato (le bombe sui civili). Una larga parte della sinistra americana da tempo coltiva il sogno di veder trionfare ovunque le proprie
istituzioni. Quel che è più grave, però, è che la migrazione da sinistra a destra dei cosiddetti 'neo-conservatori' alla Irving Kristol (ancora socialisti sulle questioni economiche, ma fortemente militaristi ed aggressivi in politica estera) ha in qualche modo favorito il radicarsi anche a destra della vecchia logica liberal.
Per i guerrafondai di destra e di sinistra, in effetti, vale ormai la logica che espresse molto nettamente - negli anni Quaranta - quello strano conservatore ex-trotzkista che fu James Burnham, per il quale "ogni diritto individuale o libertà è propriamente da riconoscere solo a quanti accettano le regole fondamentali della democrazia". Entro questo quadro, negli Stati Uniti odierni gli unici ad interpretare la tradizione isolazionista sono i libertari di tradizione liberale (eredi dello spirito di Murray N. Rothbard), i conservatori old style e qualche radical irriducibile e non pentito (uno come Gore Vidal, ad esempio): ormai ultimi difensori dell'idea che se l'esercito americano ha una funzione da assolvere essa consista solo nel tutelare la popolazione degli States da effettivi attacchi militari provenienti dall'esterno.
Questa, va precisato, fu per lungo tempo la teoria prevalente nelle ex colonie inglesi. Per Thomas Jefferson, ad esempio, l'America doveva intrattenere rapporti di "pace, commercio ed onesta amicizia con tutte le nazioni, senza stringere alleanza con nessuna di esse"; e, soprattutto, senza impicciarsi nei suoi affari interni. Ma lo stesso spirito si ritrova in The Proclamation on Neutrality, promulgata da George Washington il 22 aprile 1793 mentre l'Europa stava precipitando in una più che decennale lotta contro l'imperialismo francese. I padri fondatori dell'America originaria non si proponevano di salvare il mondo con la lama delle loro baionette ed anzi avevano una concezione molto ben definita dei compiti del potere federale.
Oggi, purtroppo, le cose sono cambiate, anche se nell'America profonda continuano a permanere nuclei di resistenza di fronte alla politica di potenza statunitense ed in questo senso è significativo che i sondaggi ci informino che il numero di quanti sono favorevoli all'intervento cala sempre di più.
Ci sono anche elementi 'strutturali' che giocano a favore di una rinascita dello spirito isolazionista. Fausto Bertinotti può anche continuare a ripetere - se la cosa gli dà soddisfazione - che questo conflitto da tempo annunciato proviene dalle logiche intrinseche al capitalismo, ma nell' America di Wall Street e dell'azionariato popolare tutti possono ogni giorno constatare come i mercati si inabissino ogni volta che la guerra si fa più vicina, mentre le quotazioni tornano a salire se per un momento prevalgono le colombe e i tamburi smettono di rullare.
L'America lontana da Washington (quella delle tradizioni più autentiche, del dinamismo imprenditoriale, dell'individualismo libertario) rigetta la guerra e quell'inarrestabile tendenza a moltiplicare i poteri pubblici che ogni militarizzazione della società finisce per comportare.
Questa America esiste e resiste, ma riuscirà davvero a sopraffare l'élite politica dominante se riuscirà ad emergere una nuova capacità di nutrire scrupoli dinanzi alla drammaticità dell'esistenza.
Uno dei massimi protagonisti della letteratura del Novecento, Gilbert K. Chesterton, spiega l'abilità di padre Brown nell'individuare i colpevoli dei delitti mettendogli in bocca queste parole: "Ecco, sono io che ho commesso quei delitti: e così, naturalmente, sapevo in che modo erano stati commessi". Soltanto se ci si conosce in qualche modo complici del male (come insegna il realismo cattolico di Chesterton) è possibile superare il manicheismo moralistico e le sue inevitabili derive - queste sì - 'terroristiche'.
La consapevolezza che ognuno di noi è al tempo stesso buono e malvagio, e che il male non ci è quindi così estraneo, sembra però del tutto mancare all 'umanitarismo guerrafondaio delle democrazie armate, potenzialmente in lotta con il mondo intero. È tale esperienza del nostro essere umani che va in primo luogo riguadagnata, se non ci si vuole lanciare verso immani avventure belliche con l'illusione (certamente criminale) di essere per giunta i salvatori del mondo.