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Risultati da 1 a 4 di 4
  1. #1
    socialismo tricolore
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    Predefinito Palestina: carriarmati israeliani invadono Jenin e Beit Hanun

    Palestina: carriarmati israeliani invadono Jenin e Beit Hanun
    Mentre l’attenzione del mondo è rivolta verso gli attacchi Anglo-Americani all’Iraq
    , Israele ha commesso ieri (27 marzo ndt) un crimini nei confronti del popolo palestinese inerme ed indifeso. Carriarmati e mezzi corrazzati israeliani, con la copertura di due elicotteri, hanno invaso la città di Beit Hanun a nord della striscia di Gaza, uccidendo 3 palestinesi e ferendone altri 15. Le forze israeliane si sono inoltrate per centinaia di metri all’interno della città ed hanno circondato un centro di sicurezza palestinese, colpendolo ripetutamente con l’artiglieria pesante e con due missili lanciati dagli elicotteri. Inoltre, sono state colpite numerose abitazioni palestinesi e molti abitanti della città. Fonti palestinesi hanno denunciato la deportazione di 5 abitanti da parte dei militari israeliani.

    Nella città di Jenin, le forze militari israeliane hanno fatto irruzione in molte case, deportando 22 palestinesi con l’accusa di partecipazione alla resistenza. Un portavoce militare israeliano ha comunicato la chiusura di un centro di beneficenza musulmano nei pressi della città di Hebron in Cisgiordania per presunti legami con il movimento di resistenza islamica ‘Hamas’.

    Fonte: Al-Wafd, Egitto

    Palestina, 28.03.03

    Israele usa i carriarmati contro i civili con la scusa della guerra al terrorismo

    Approfittando degli eventi iracheni che hanno catalizzato l’attenzione dei media e dell’opinione pubblica mondiale, Israele colpisce duramente i palestinesi usando mezzi corazzati ed elicotteri.

    Traduzione di F.elA.

    http://www.aljazira.it/

  2. #2
    socialismo tricolore
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    Predefinito

    Facciamo un pò di contro-informazione alle tante bugie propinateci dai media nazionali:


    Baghdad brucia abbandonata da tutti

    Abdel Bari Atwan, al-Quds al-Arabi (Gerusalemme araba, GB),.:.21.03.03


    Quando si vedono le fiamme divampare negli edifici e nelle moschee di Baghdad fino bruciarne i bambini e la gente, scrivere analiticamente e razionalmente diventa complicità ed un peccato non minore del coprirsi gli occhi davanti a questa aggressione accusando la leadership irachena e fuggendo dalla responsabilità morale di appoggiare un paese fratello che ha affrontato ed affronta le peggiori carneficine della storia.

    Baghdad brucia, e i “fratelli” arabi che posseggono le forze e gli eserciti, stanno a guardare, facendo zapping fra gli schermi delle tv arabe e quelle mondiali alla ricerca dell’immagine più cruda magari sfogandosi a parole su questo crimine essendo questo l’unica cosa che possono fare. E si mettono l’anima in pace sperando che questa guerra sia veloce, che finisca in pochi giorni dopo i quali riprenderanno a scambiarsi baci e abbracci con i “liberatori americani” e a stendere tappeti rossi per i nuovi alleati israeliani, amici del futuro.

    Non dubitiamo in alcun modo della spaventosa forza distruttrice americana e non siamo così ingenui da aspettarci la vittoria delle truppe irachene, accerchiate ed insidiate, sul più grande impero del mondo. Ma crediamo che la fine della occupazione americana, che continua ad avanzare, sarà come quella di tutte le occupazioni del passato anzi forse ancora più sanguinosa.

    Il presidente iracheno non è stato ucciso nel bombardamento missilistico americano. Le informazioni in possesso del Ministero della Difesa americano erano arrangiate e imprecise perché sono giunte, molto semplicemente, da consiglieri che non conoscono l’Iraq che anzi non conoscono la regione anche quando le appartengono nominalmente.

    Uno di questi informatori che lavora al servizio di Donald Rumsfeld, Ministro della Difesa americano, un “professore”, ha affermato, in un’intervista alla televisione kuwaitiana, che il regime iracheno sarebbe crollato dopo due ore dal primo missile lanciato su Baghdad. Una premonizione scodellata in maniera glaciale su giornalisti e sugli spettatori. Ed eccoli 40 missili colpire Baghdad nella prima notte e tremila altri nella seconda mentre Baghdad resiste e il regime sopravvive.

    La guerra di Rumsfeld ad al-Qaeda e al suo leader lo shaykh Usama Bin Ladin è entrata nel suo ventesimo mese e non è ancora riuscita ad assicurare la protezione al Karzai di Kabul. Chissà di quanti mesi avrà bisogno Rumsfeld per scovare il presidente iracheno ed assicurare la sicurezza al nuovo Karzai iracheno e alla sua banda.

    Le forze americane sono penetrate nelle sacre terre irachene dal Kuwait e ciò che è più importante è che il Ministero della Difesa kuwaitiano ha parlato di scontri tra le sue “forze” e quelle irachene. Sia lodato il Cielo, le forze kuwaitiane riescono addirittura ad affrontare le truppe irachene! [si riferisce alla propaganda di guerra kuwaitiana. E' risaputo che i kuwaitiani hanno un esercito di poco valore ndt.] Sono segni della fine del mondo. Anzi è la fine del mondo stessa.

    E’ una guerra psicologica che vuole instillare angoscia e instabilità nelle file irachene, civili e militari, iniziata con la diffusione della notizia della fuga di Tareq Aziz, il vice premier iracheno, poi con l’uccisione del presidente iracheno nel bombardamento inaspettato dell’altro ieri [la notte tra il 19 e il 20.03.03 ndt.]. E quando lo hanno visto in televisione hanno detto che era un “sosia” trovando, nelle televisioni arabe, chi ci ha creduto.

    Possiamo capire che ci possa essere un “sosia” che abbia gli stessi tratti, ma non capiamo come faccia ad avere tratti, voce e movimenti identici all’originale. E’ un interrogativo al quale, l’amministrazione americana, i pianificatori della sua campagna propagandistica, i suoi informatori devoti agli arabi e ai musulmani, non daranno mai risposta.

    Ci chiediamo: dov’è l’eroico esercito egiziano, dove gli ufficiali e i soldati siriani in questi giorni? Ci chiediamo a cosa siano serviti le centinaia di miliardi di dollari spese per fornire alle forze saudite i carriarmati e gli aerei da guerra più all’avanguardia. Se gli eserciti arabi non si muovono ora per difendere un paese fratello ed un popolo che muore tra le fiamme, quando si muoveranno?
    Il silenzio è complicità. Far aumentare il prezzo la produzione del petrolio per abbassare i prezzi è più pericoloso di partecipare militarmente. I leader arabi si sono rifiutati di utilizzare l’arma del petrolio per servire le cause arabe, dicendo che il petrolio è una merce i cui ritorni servono allo sviluppo. Ed eccoli ora utilizzare il petrolio ma per servire l’aggressione americana all’Iraq.
    Noi non chiediamo alla monarchia di Abd al-Aziz [l’Arabia Saudita ndt.] di bloccare le esportazioni di petrolio come fece il re Faysal per solidarietà con l’Egitto e la Siria nella guerra del 1973 ma le chiediamo di non aumentare la propria produzione petrolifera di un milione e 200mila barili come sta succedendo attualmente per abbassare e per sostenere l’aggressione americana.
    Ci fa soffrire vedere le forze di sicurezza arabe prendersela con chi manifesta contro quest’ ignobile attacco contro l’Iraq. E sentiamo un groppo alla gola nel sentire i leaders arabi giustificare la loro incapacità dando la colpa alla leadership irachena per non aver consegnato l’Iraq, come pasto pronto, agli invasori e spedendola, incatenata e bendata, ad una nuova Guantanamo.

    L’Iraq diventerà una base della Resistenza, proprio come lo è stato l’Afghanistan e il Libano. Ma la prossima Resistenza sarà più pericolosa per l’Occidente e l’America di al-Qaeda o del regime Ba’th al potere in Iraq.
    Abbattere il regime iracheno non sarà l’inizio della stabilità ma l’incipit di una nuova epoca di caos, di estremismo e un punto di partenza forte per le organizzazioni islamiche che gridano al Jihad, simili ad al-Qaeda.
    Forse, dunque, sarà molto facile invadere e dividere l’Iraq. Ben altra cosa sarà ricostruirlo, governarlo e mantenere la pace.


    http://www.aljazira.it/03/03/23/baghdad_brucia.htm

  3. #3
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    Una guerra nell'interesse di Israele

    Ahmad Amin - al-Khalij (Il Golfo - EAU), .:.16.03.03






    Non è più possibile nascondere il ruolo principale che la lobby sionista, alleata con le grandi compagnie petrolifere americane, gioca nel coinvolgimento degli Stati Uniti nell’aggressione militare contro l’Iraq.
    La guerra contro gli arabi e il controllo diretto sulle loro ricchezze e sull’assetto della regione secondo gli interessi dello Stato ebraico è lo scopo supremo dell’attacco americano che - secondo il ministro della Difesa Donald Rumsfeld - l’Amministrazione Bush affronterà anche senza l’alleato principale, la Gran Bretagna, caso mai il premier Tony Blair rinsavisse e tenesse conto della fortissima opposizione internazionale a questa cieca guerra e dei suoi effetti sul suo futuro politico e sul futuro degli interessi britannici nella zona, e decidesse di non sottomettersi ai piani sionisti per il Medio Oriente e per il mondo.
    L’attuale guerra contro l’Iraq e le guerre che le succederanno contro tutto ciò che “Israele” considera una minaccia alla sua presenza e ai suoi interessi non saranno probabilmente a favore degli Stati Uniti e delle loro strategie su cui si sono basati in passato ottenendo il controllo sugli equilibri di potenza nel mondo diventandone l’unico polo, anzi, è vero il contrario; ed è chiaro che la guerra imminente esporrà la presenza americana a pericoli a cui non era mai stata esposta in passato, specialmente nel Medio Oriente, dove tutti facevano a gara per guadagnare l’affetto di Washington e riconoscevano la superiorità del suo ruolo. Le obiezioni più evidenti che venivano rivolte a molti governi arabi erano di concludere alleanze con gli Stati Uniti, nonostante l’allineamento assoluto di Washington a Tel Aviv.
    Nessuno mette in discussione che l’America abbia tratto dalla ricchezza petrolifera araba il maggior vantaggio negli ultimi cinquant’anni, e la storia delle relazioni tra Washington e Baghdad non denuncia che ci sia un’ostilità profonda tra il regime iracheno e l’Amministrazione americana, poiché lo stesso Rumsfeld è colui il quale incontrò Saddam Hussein nel 1983 per concludere contratti di armi, tra cui armi chimiche usate contro l’Iran e contro i curdi.

    Allora, perché gli Stati Uniti fanno questa guerra, e contro chi e per interesse di chi?
    È chiaro che questa guerra è contro gli arabi e i musulmani prima di tutto, e, secondo, contro l’America e i suoi interessi nella zona… perché?
    Solo perché gli interessi di “Israele” lo richiedono.


    http://www.aljazira.it/03/03/23/interesse_israele.htm

  4. #4
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    Gli shi'iti iracheni rifiutano il protettorato militare americano

    al-Hayat (la Vita, Londra), .:. 07.03.03



    A Tehran, l'opposizione shi'ita irachena si è concentrata sul tentativo di raggiungere una visione compatta in merito al ruolo della Shi'a nella definizione del futuro dell'Iraq.

    Alla conferenza (tenutasi il 6 marzo scorso, n.d.t.) hanno presenziato gli oppositori, sia islamici, tra cui i sostenitori dell''Iran come l'alta commissione per la rivoluzione islamica (al-majlis al-a'la li-l-thaura al-islamiyya) capeggiata da Muhammad Bakir al-Hakim, il partito per la Da´wa islamica (hizb al-da'wa al-islamiyya) e l'organizzazione del lavoro islamico (munazzama al-'amal al-islami), sia liberali e sostenitori di Washington come la conferenza nazionale irachena (al-mu'tamar al-watani al-'iraqi) di Ahmad Jalabi. Erano presenti anche attivisti iracheni, religiosi, kurdi e shi'iti.

    Tra gli scopi della conferenza, i partecipanti hanno incluso l'appello ad un "nouvo governo iracheno pluralista, in grado di preservare l'uguaglianza e lontano dalla discriminazione delle minoranze etniche, religiose o di confessione". La seduta serale si è incentrata sul lavoro delle due commissioni per i diritti degli sci'iti in Iraq, affinché questo gruppo sia compreso e incluso in un'eventuale nuova costituzione del Paese.

    Muhammad Bakir al-Hakim ha richiamato l'attenzione sulla necessità dell'emancipazione dalla dittatura e dell'indipendenza dall'ingerenza straniera oltre all'attuazione della giustizia nel rispetto del pluralismo e dei diritti di tutti i cittadini.

    La forza islamica d'opposizione ha inoltre rifiutato di porre il Paese sotto il protettorato militare americano, nel momento in cui alcuni forze liberali avevano tentato di negare l'intenzione degli Stati Uniti di occupare l'Iraq.

    Jalabi invece ha spezzato una lancia in favore dell'Iran, sostenendo che quest'ultimo ha sempre appoggiato contro la dittatura, il popolo iracheno, che non deve considerarsi un corridoio o una striscia di terra da poter calpestare.

    I partecipanti alla conferenza hanno rivolto messaggi di rassicurazione al resto delle forze, rinvigorendo il richiamo all'amicizia e alla convivenza per la costruzione di un nuovo Iraq.

    Muhsin al-Hakim, fratello del presidente della commissione, ha commentato: "Non vogliamo il monopolio del potere in mano agli sci'iti. Noi crediamo che debbano essere tutti gli iracheni ha decidere la conformazione del nuovo governo, nel nome della pace e della continuità". Ha poi aggiunto: "La designazione di un comandante dell'esercito non iracheno, comprometterebbe la stabilità del Paese, come accadrebbe nel caso di una designazione di un americano".

    "Gli sciiti non sono alla ricerca della divisione, ma della una costituzione di un governo che si appelli ai valori del pluralismo e della legittimità politica".


    A.R.R.


    http://www.aljazira.it/03/03/23/sciiti_in_iraq.htm

 

 

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