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Discussione: L’uomo dei Ghiacci

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    Predefinito L’uomo dei Ghiacci

    L’UOMO DEI GHIACCI
    di Marco Marchetti


    Mercoledì, 18 Settembre 1991: i coniugi Erika ed Helmut Simon di Norimberga, in vacanza in Alto Adige e alloggiati nella cittadina di Madonna di Senales (Val Venosta), decidono di compiere una escursione sulla vetta del monte Similaun (3.599 metri) sulle Otztaler Alpen, al confine fra Italia e Austria.
    L’ascesa si rivela più difficoltosa del previsto e i due raggiungono la vetta solo a pomeriggio inoltrato; di conseguenza la coppia si trova costretta a pernottare in alta montagna e quindi si dirige verso il vicino Rifugio Similaun.

    Giovedì, 19 Settembre 1991: la giornata si preannuncia splendida e i due escursionisti tedeschi anziché ritornare a valle decidono di scalare la non lontana Punta di Finale (3.506 metri); giunti in vetta i due si riposano per un’oretta e poi intraprendono il viaggio di ritorno verso il Rifugio Similaun dove hanno lasciato i bagagli.

    Giunti nei pressi del ghiacciaio Hauslabjoch (a quota 3.210 metri) la coppia si imbatte nel cadavere di un essere umano che emerge solo parzialmente dal ghiaccio; il luogo del ritrovamento si trova al di fuori del percorso segnato cosicché i due si memorizzano la località, scattano una fotografia (l’ultima del rullino) e riprendono la marcia verso il rifugio.

    Al Rifugio Similaun la notizia non desta particolare stupore; qui sanno che i ghiacciai restituiscono sempre le proprie vittime e questo può accadere anche dopo decine di anni. Vengono così avvisate la polizia italiana e la gendarmeria austriaca e sarà quest’ultima ad occuparsi del recupero della salma visto il disinteresse delle autorità italiane.

    Helmut ed Erika concludono così la loro vacanza e il 23 settembre ritornano nella loro casa a Norimberga; qui trovano decine di giornalisti ad attenderli: i due non sapevano ancora di avere fatto una delle più grandi scoperte archeologiche di tutti i tempi. La foto che avevano scattato diventerà ‘foto dell’anno 1991’.



    LA VERA NATURA DELL’UOMO DEI GHIACCI

    Gli inverni 1989/1990 e 1990/1991 verranno ricordati per la scarsità di precipitazioni e una conseguente forte siccità; queste condizioni favorirono uno scioglimento dei ghiacciai fuori dal comune. Nel 1991 lo scioglimento fu ulteriormente favorito da due tempeste di sabbia sahariana avvenute rispettivamente fra il 5 e l’8 marzo e nella seconda metà di luglio; a causa dello strato di sabbia depositatosi sulla neve la luce del sole non veniva più riflessa dal bianco dei nevai ma, al contrario, veniva assorbita facilitando così lo scioglimento dei ghiacci.

    In quell’anno la montagna aveva già restituito i corpi di sei sfortunati escursionisti periti tra i ghiacci e quindi non c’è da stupirsi se, in un primo momento, la notizia del ritrovamento non desta particolare attenzione al Rifugio Similaun. Però, a causa del maltempo e dell’imminente week-end, le operazioni di recupero non partono immediatamente cosicché il corpo rimane semisepolto fra il ghiaccio e molte persone hanno l’opportunità di osservarlo direttamente.

    Inizialmente circola la notizia che possa trattarsi di un certo Carlo Capsoni, di Verona, scomparso in quella zona nel luglio del 1941; subito dopo, però, arriva la smentita: Capsoni è già stato ritrovato nel 1952 e ora riposa nel piccolo cimitero di Madonna di Senales.

    Con il passare del tempo la vera natura del cadavere trovato fra i ghiacci comincia a farsi lentamente strada. Scartata l’ipotesi Capsoni e in generale l’ipotesi escursionista si pensa ad un soldato della prima guerra mondiale; poi il ritrovamento di un’ascia o piccozza di fattezze molto antiche fa pensare ad un individuo vissuto in epoca medioevale e qualcuno fa circolare l’ipotesi che possa trattarsi di un soldato di ventura di ‘Federico dalle tasche vuote’ (1403 - 1439), conte del Tirolo.

    Prima del recupero la salma viene osservata anche da Reinhold Messner e Hans Kammerlander che si trovavano casualmente in zona, impegnati in un giro dell’Alto Adige. Messner rimane molto impressionato dall’abbigliamento dell’uomo, in particolare dai primitivi pantaloni e calzari che si intravvedono nel ghiaccio, e, fra lo scetticismo generale, ipotizza un’età di tremila anni.

    Finalmente iniziano le operazioni di recupero e, in mezzo a mille difficoltà, la salma viene estratta dal ghiaccio e portata all’università di Innsbruck; oltre all’ascia vengono recuperati altri oggetti fra i quali un’arco ancora in costruzione, una faretra e un piccolo pugnale con tanto di fodero. Dai primi esami condotti ad Innsbruck risulta che l’uomo dei ghiacci potrebbe avere anche quattromila anni e quindi appartenere all’Età del Bronzo. Per la vera età della salma bisogna, però aspettare gli esami da effettuare con il metodo del Carbonio-14 (nota 1); prontamente alcuni minuscoli campioni dell’uomo e del suo equipaggiamento vengono inviati a diversi laboratori sparsi per l’Europa e i risultati sono praticamente unanimi: l’uomo dei ghiacci, battezzato ufficialmente come Uomo dello Hauslabjoch, ha un’età compresa fra 5.200 e 5.300 anni.

    Siamo quindi di fronte ad una scoperta di straordinaria importanza e unica nel suo genere: il corpo di un uomo preistorico perfettamente conservato con tanto di abbigliamento ed equipaggiamento.

    A questo punto si interessano della faccenda anche le autorità italiane; c’è infatti il sospetto che il ritrovamento possa essere avvenuto sul suolo italiano. Viene cosi formato un gruppo di esperti appartenenti ai due paesi che si preoccupa di stabilire l’esatta linea di confine e il sospetto diviene realtà. A partire da queste misurazioni risulta che l’Uomo dello Hauslabjoch è stato ritrovato in territorio italiano a 92 metri e 56 centimetri dalla linea di confine fra i due paesi.

    Di comune accordo viene comunque stabilito che il corpo rimarrà ad Innsbruck per tutto il tempo necessario ai primi esami e che i reperti costituenti l’equipaggiamento verranno restaurati presso l’università di Magonza in Germania.

    Oggi l’uomo dei ghiacci continua il suo lungo sonno presso il museo archeologico di Bolzano.



    L’EQUIPAGGIAMENTO DELL’UOMO DEI GHIACCI

    L’Uomo dello Hauslabjoch visse in un’epoca che risale a 3200 - 3300 anni prima di Cristo nel tardo neolitico, l’ultimo periodo dell’età della pietra.

    Il ghiaccio ha conservato molto bene per più di cinquemila anni il cadavere dell’uomo, parti del suo abbigliamentoe soprattutto il suo equipaggiamento al punto che il ritrovamento ai piedi dello Hauslabjoch è una testimonianza di inestimabile valore sul modo di vivere dei nostri lontanissimi antenati che abitavano le zone alpine e subalpine.

    Per capire appieno l’importanza della scoperta bisogna considerare il fatto che le informazioni a disposizione degli scienziati per capire come vivevano gli uomini preistorici di quel periodo provenivano quasi esclusivamente dai corredi funerari trovati nelle tombe. Però i corredi funerari non sono una testimonianza precisa del modo di vivere del defunto poiché sono preparati da altre persone secondo particolari riti e tradizioni. Inoltre tutto il materiale organico tende a decomporsi di modo che solamente una parte del contenuto originario della tomba riesce a vincere la battaglia contro il tempo e a conservarsi.

    Al contrario l’uomo dei ghiacci sembra sia morto in completa solitudine lontano dai suoi cari e il suo equipaggiamento (a parte qualche danno subito dal tempo, dallo spostamento dei ghiacci e dalle operazioni di recupero) è intatto; il suo studio, che terrà impegnati gli studiosi ancora per molto tempo, permetterà di fare luce su molti aspetti della vita quotidiana di cinquemila anni fa.

    Il materiale a disposizione degli scienziati è stato rinvenuto nel sito del ritrovamento nei primi giorni della scoperta, durante il recupero della salma e nel corso di due spedizioni archeologiche condotte nell’ottobre del 1991 e nell’agosto del 1992 durante le quali tutto il terreno circostante è stato accuratamente setacciato. Fra i numerosi oggetti recuperati troviamo, fra l’altro:

    l’asta di un arco ancora in fase di costruzione. Il reperto, realizzato in legno di tasso, è unico nel suo genere poiché fino a quel momento gli scienziati erano venuti in possesso solo di armi finite; di conseguenza il suo studio potrà fare luce su molti aspetti delle tecniche di lavorazione e di costruzione degli archi preistorici.
    l’ascia che tanto aveva impressionato le prime persone che videro la salma. L’arnese è composto da un lungo manico di tasso e da una piccola lama di rame.
    alcuni pezzi di legno di larice e nocciolo che si ritiene formassero lo scheletro di una gerla.
    due frammenti di ossa di stambecco che si ritiene facessero parte di uno o più pezzi di carne affumicata, probabilmente l’ultimo pasto dell’uomo dei ghiacci.
    una prugnola con tanto di polpa; un frutto non molto nutriente ma ricco di sali e vitamine le cui proprietà alimentari erano probabilmente note.
    i resti di due contenitori realizzati con corteccia di betulla. Uno di questi contenitori sembra fosse adibito al trasporto della brace poiché sono stati ritrovati resti di materiale carbonioso in mezzo a foglie di acero ancora verdi le quali fungevano da materiale isolante.
    un piccolo pugnale, composto da un manico di frassino e da una lama di selce, e il relativo fodero; in particolare il fodero è finemente lavorato ed è un piccolo capolavoro di ingegneria tessile.
    un curioso attrezzo a forma di matita che, dopo lunghe discussioni, gli scienziati hanno supposto essere un piccolo ritoccatore.
    un marsupio con i resti di una cinghia nel cui interno sono stati trovati alcuni piccoli utensili che si ritiene servissero ad accendere il fuoco ex-novo nel caso la brace si fosse spenta.
    i resti di una rete che si ritiene venisse impiegata per l’uccellagione; reti analoghe vengono tuttora utilizzate da alcune popolazioni europee per la cattura di piccoli volatili.
    una faretra, realizzata in pelle di cervide, contenente due frecce complete ma spezzate e dodici frecce in fase di costruzione. La faretra si presenta danneggiata in più punti e gli scienziati sono convinti che fosse già così al momento della morte dell’uomo.
    Anche l’abbigliamento dell’uomo dello Hauslabjoch è di straordinaria importanza poiché ci mostra un set quasi completo di abiti neolitici; fino ad allora gli abiti completi più antichi che si conoscevano risalivano all’età del bronzo. Nel sito del ritrovamento sono venuti alla luce un berretto, i resti di una veste a forma di mantellina, i resti di due gambali (primitivi pantaloni), i resti di un pesante mantello, i resti di un grembiule (un indumento utilizzato tutt’ora per la protezione degli organi genitali) e ciò che resta di un paio di primitive calzature.



    CHI ERA L’UOMO DEI GHIACCI?

    Lo studio della mummia e del suo equipaggiamento ha permesso di scoprire molte cose interessanti sull’uomo dei ghiacci e sul suo stile di vita; inoltre gli scienziati hanno fatto alcune congetture sulla sua posizione sociale e sugli eventi che lo portarono ad incontrare la morte ai piedi del ghiacciaio.

    Innanzitutto l’uomo dello Hauslabjoch era effettivamente un uomo; infatti gli organi genitali si sono conservati e non vi è dubbio alcuno sul fatto che siano maschili.


    Dall’analisi delle caratteristiche della mummia, tutte realizzate con metodi rigorosamente non invasivi, si evince che l’uomo, al momento del decesso, era alto circa un metro e sessanta centimetri e aveva un’età compresa fra venticinque e quaranta anni, probabilmente più verso i quaranta. L’equipaggiamento e l’abbigliamento mostrano che l’uomo doveva essere abituato a lunghi soggiorni in alta montagna anche se, al momento della morte, non sembrava essere perfettamente equipaggiato; le svariate tecniche di lavorazione degli indumenti e di costruzione degli altri reperti, nonché la presenza sulla schiena di tatuaggi a scopo terapeutico, mostrano, altresì, che l’uomo doveva avere dei contatti molto stretti con una comunità di suoi simili. Inoltre il ritrovamento di alcuni tipi di cereali (grano e farro) fra i suoi vestiti induce a pensare che l’uomo avesse da poco partecipato ad un lavoro di mietitura.

    Quindi l’uomo dei ghiacci non era un eremita, né un reietto, né tantomeno un sacerdote o uno sciamano come qualcuno aveva inizialmente ipotizzato ma, con tutta probabilità, un pastore. Durante l’estate egli era solito trascorrere il tempo con il suo gregge sugli alti pascoli alpini mentre agli inizi dell’autunno l’uomo scendeva a valle verso il suo villaggio (probabilmente in Val Venosta) dove partecipava ai lavori per il mantenimento della comunità, come la raccolta dei cereali.

    Un evento straordinario e di eccezionale gravità deve avere indotto il nostro uomo ad abbandonare precipitosamente il proprio villaggio e a tentare l’attraversata del crinale alpino in direzione nord, verso l’Otztal (una zona che lui doveva conoscere molto bene), in un periodo (l’autunno) che non era per niente favorevole per un’impresa del genere. Come se non bastasse, da una a tre settimane prima del decesso all’uomo era capitata una disgrazia; ciò è provato dalla presenza dell’arco ancora in costruzione (segno che il precedente era andato perduto), dalla faretra danneggiata, dalle due frecce spezzate e soprattutto dalla presenza di alcune costole fratturate sul fianco destro della mummia. Si può quindi ipotizzare che l’uomo, dopo essere arrivato sul crinale, abbia appoggiato l’arco e la faretra, abbia consumato il suo ultimo misero pasto e, stremato dalla fatica e dal dolore, abbia trovato rifugio in un canalone nel quale si sarebbe coricato sul fianco sinistro per ripararsi dalla bufera di neve in atto e allo stesso tempo per concedersi un po’ di riposo. L’uomo deve essersi addormentato e, purtroppo, in quelle condizioni il passaggio dal sonno alla morte per assideramento è molto breve.

    L’uomo dei ghiacci non si sveglierà mai più; verrà ritrovato in una posizione non troppo diversa cinquemila anni dopo da una coppia di ignari escursionisti.

    Ovviamente queste sono solo ipotesi da prendere con la dovuta cautela; può darsi che un giorno nuove scoperte cambino radicalmente questa interpretazione degli ultimi mesi di vita dell’uomo dello Hauslabjoch ma può anche darsi che lo scenario descritto in precedenza non si discosti troppo dalla realtà.



    EPILOGO

    Molto recentemente i giornali e i mezzi televisivi hanno dato grande risalto alla notizia che, a dieci anni dalla scoperta, un ulteriore esame sulla mummia sud-tirolese ha evidenziato la presenza della punta di una freccia conficcata sotto la spalla sinistra; la freccia non avrebbe raggiunto il polmone e quindi non dovrebbe essere la causa della morte avvenuta, con tutta probabilità, per assideramento.

    Quest’ultima scoperta non inficia minimamente le deduzioni precedenti; anzi l’ipotesi di una fuga precipitosa viene ulteriormente avvalorata poiché si intravvede la possibilità che l’uomo fosse inseguito. L’uomo ebbe la soddisfazione di riuscire a sfuggire ai suoi inseguitori ma chiese troppo al suo fisico ormai provato e, giunto in cima alla sua amata montagna, perse la sua battaglia contro un clima impietoso quando ormai credeva di essere in salvo.

    L’uomo dei ghiacci, comunque, non saprà mai di avere vinto la battaglia piu importante: quella contro il tempo. Infatti oggi, dopo cinquemila anni, lui è qui in mezzo a noi a raccontarci la sua storia.

    * * *

    Nota 1 - Il carbonio ordinario è composto da atomi nel nucleo dei quali trovano posto sei protoni e sei neutroni; per questo motivo viene talvolta chiamato carbonio-12. Esiste, però, un altro tipo di carbonio composto da atomi nel nucleo dei quali convivono sei protoni e otto neutroni; questo tipo di carbonio è chiamato carbonio-14.
    Il carbonio-14, molto più raro rispetto al carbonio-12, si forma nell’atmosfera a causa della collisione fra i raggi cosmici e gli atomi di azoto ed è un elemento radioattivo e quindi instabile; tende cioé a decadere secondo una legge ben precisa e a ritrasformarsi in azoto con un periodo di dimezzamento (l’intervallo di tempo necessario affinché una certa quantità di carbonio-14 si riduce della metà) pari a 5568 anni.
    Da un punto di vista chimico il carbonio-14 è indistinguibile dal carbonio-12 e quindi viene metabolizzato dagli esseri viventi; quando l’organismo muore il carbonio-14 continua a decadere ma non viene più rimpiazzato di conseguenza misurando la quantità di carbonio-14 residua presente in un reperto organico è possibile risalire con precisione all’epoca della morte.

  2. #2
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    Predefinito Re: L’uomo Dei Ghiacci

    Originally posted by Pasquin0
    [...] Si può quindi ipotizzare che l’uomo, dopo essere arrivato sul crinale, abbia appoggiato l’arco e la faretra, abbia consumato il suo ultimo misero pasto e, stremato dalla fatica e dal dolore, abbia trovato rifugio in un canalone nel quale si sarebbe coricato sul fianco sinistro per ripararsi dalla bufera di neve in atto e allo stesso tempo per concedersi un po’ di riposo. L’uomo deve essersi addormentato e, purtroppo, in quelle condizioni il passaggio dal sonno alla morte per assideramento è molto breve.[...]
    Non ne è molto convinto l'archeologo Johan Reinhard, secondo il quale l’uomo di Similaun potrebbe essere stato vittima di un sacrificio rituale.

    In un articolo apparso sulla rivista National Geographic nel gennaio dell’anno scorso, Reinhard ha scritto: "Mi rendo conto che è discutibile, ma è ora di riesaminare l'evidenza da un diverso punto di vista. I manufatti che sono stati rinvenuti sul corpo vanno esaminati anche in un contesto sociale, religioso e geografico".

    Reinhard è un affiliato del National Geographic esperto di culture andine, himalaiane e di altre regioni ed una vera autorità in fatto di mummie e sacrifici rituali. Tra le numerose mummie che ha scoperto c'è la Vergine dei ghiacci di origine Inca, ritrovata nel 1995 sulla cima innevata del Monte Ampato in Perù e vittima di un sacrificio. Secondo lo studioso, la ferita - non individuata durante i primi esami - rende evidente come l'uomo sia stato colpito alle spalle. "Potrebbe essere stato ucciso o sacrificato ad una divinità" dice Reinhard.

    Otzi, come è stato ribattezzato l'uomo di Similaun dagli studiosi austriaci, è stato rinvenuto in una depressione naturale del terreno di un passo situato tra due delle più alte cime delle Alpi di Ötzal. "La tipologia del luogo è proprio quella appartenente a luoghi in cui le culture montane facevano offerte agli dei della montagna" dice Reinhard. "Sappiamo che il culto di questo tipo di divinità in Europa era importante in epoche preistoriche durante l'Età del bronzo e anche precedentemente durante l'Età del rame" prosegue lo studioso. Reinhard non è convinto dall'ipotesi che l'uomo sia stato ritrovato in una depressione del terreno perché in quel posto avrebbe cercato riparo dal freddo: "La buca non è abbastanza profonda ed è nel posto più elevato del passo, scelta infausta per cercare riparo dal cattivo tempo"

    Secondo l'archeologo l'uomo è stato seppellito in quella fossa da colui che lo avrebbe ucciso, cosa che spiegherebbe il buono stato di conservazione della mummia, che non sarebbe tale se il corpo fosse stato esposto agli elementi.
    Col corpo è stata inoltre rinvenuta un'ascia di rame intatta. L'assalitore avrebbe portato via uno strumento così utile e prezioso, secondo Reinhard: "L'ascia è stata lasciata vicino al corpo deliberatamente dopo il sacrificio in modo che potesse essere utile al defunto dopo la morte o come pegno agli dei" spiega lo scienziato. Il rame contenuto nell'arma proviene dalle montagne che, come fonte del prezioso metallo, sono state oggetto di adorazione da parte dei minatori di tutto il mondo antico.



    Alcuni attrezzi e il portabrace.


  3. #3
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    La mummia di Similaun è esposta nel Museo archeologico di Bolzano.

    La necessità di garantire le condizioni ottimali per la conservazione dello straordinario reperto ha imposto la realizzazione di una cella frigorifera unica al mondo, in grado di riprodurre il microclima del ghiacciaio. Ideata e prodotta dalle industrie Angelantoni di Milano, la dimora dell'uomo di Similaun si compone di due stanze mantenute costantemente a 6 gradi sotto zero, umidità 98% e totale assenza di impurità. Attarverso un vetro a prova di proiettile, i visitatori possono contemplare il corpo, illuminato da luci a fibre ottiche, le uniche a non arrecare alcun danno. La struttura, provata per un anno e mezzo all'ospedale di Merano con il cadavere di un paziente che aveva espresso la volontà di donare il suo corpo alla scienza, è sorvegliata da due computer che ogni 250 millisecondi effettuano 40 misure di pressione e temperatura. Altre stanze ospitano i laboratori di ricerca e una camera di decontaminazione per i ricercatori.



    La stanza di Ötzi

  4. #4
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    IL DNA RIVELA: PRIMA DI MORIRE ÖTZI UCCISE QUATTRO NEMICI
    di Romeo Bassoli

    Dodici anni fa, quando venne trovato nel ghiaccio, Ötzi, la mummia del Similaun, sembrava un innocuo pastore. Poi, gli scienziati che si sono occupati di lui hanno cominciato a dire che poteva essere, forse, uno sciamano, una vittima sacrificale, un cacciatore morto in un incidente di caccia, colpito per sbaglio da una freccia di un “collega”.
    Ieri, a Bolzano, l'archeologo australiano Tom Loy ha raccontato un'altra straordinaria verità sulla più vecchia mummia europea: Ötzi ha combattuto e colpito altri uomini prima di morire.
    Sulla lama del pugnale, l'asta e la punta della freccia spezzata nella faretra e sulla sopravveste di pelliccia c'erano tracce di sangue che non appartengono a lui, ma ad altri quattro uomini diversi. «Questo significa che c'è stato un combattimento poco prima della morte. Forse tra gruppi di cacciatori. E alla fine Ötzi ha avuto la peggio», spiega Tom Loy.

    L'antropologo ha annunciato i risultati della sua ricerca ieri, al Museo Archeologico dell'Alto Adige a Bolzano, il futuribile museo costruito attorno alla mummia di 5000 anni fa. Tom Loy e il suo gruppo hanno lavorato sul "Dna mitocondriale", cioè sullo stesso tipo di campioni di patrimonio genetico che negli anni scorsi era stato studiato sull'Uomo dei ghiacci. E hanno scoperto che sia Ötzi sia le sue vittime erano gente del Nord, popolazioni che vivevano tra le valli alpine e le zone dell'Europa settentrionale. Niente a che vedere con i primi italici. Dunque, è stata una lotta fratricida quella che ha impegnato l'Uomo dei ghiacci prima della sua morte.

    Come accade ormai da una dozzina d'anni, bisogna ricostruire da capo lo scenario di quel che accadde nella primavera di 5.000 anni fa, in pieno Neolitico, quando è avvenuta la morte dell'Uomo del Similaun. Possiamo immaginare che sia partito, e non da solo, da un villaggio della Val Venosta o della Val Senales. Probabilmente, dicono i ricercatori, da quello che sorgeva su uno sperone di roccia, là dove oggi c’è il borgo medievale di Castel Juval. Avevano preso, lui e i suoi compagni, la via dell'alta montagna, forse per cacciare gli stambecchi che venivano a brucare nei pascoli ad alta quota e a bere nei laghetti che si formano allo sciogliersi dei ghiacci.
    Ma forse si trattava di una spedizione punitiva contro un gruppo di cacciatori rivali. Un combattimento infatti deve essere avvenuto, se quest’uomo, già molto anziano (aveva 46 anni, un’enormità per l'epoca) ha potuto affondare il suo coltello di pietra fissata a manici di legno nel corpo di altri uomini. E si è sporcato il mantello di sangue, ha tirato frecce con le aste di lantana. Forse non con l'arco che gli è stato trovato. Un arco potente, di legno di tasso, simile a quello che 4000 anni dopo avrebbero deciso a favore degli arcieri inglesi una battaglia campale contro i francesi. Ma quell'arco, ritrovato sul Similaun accanto alla mummia, era ancora da terminare. Forse Ötzi l'ha rubato ad un suo rivale ucciso.
    Perché alla fine, se la freccia sporca di sangue era nella faretra, allora c'è stato tutto il tempo per recuperarle dai corpi degli avversari. Quindi, alla fine dello scontro, è il gruppo di Ötzi che ha vinto. Su almeno quattro avversari, ci dice il Dna. A questo punto, sembra che gli scenari si divarichino di nuovo. Può darsi che il vecchio guerriero sia rimasto ferito. Una radiografia ha visto che sotto la sua scapola destra, ben infilata nel corpo, c'è la punta di una freccia lunga 28 millimetri. Una ferita che non gli ha lasciato scampo, ma che sul momento non sembrava così micidiale. L'Uomo del Similaun l'ha ignorata, finché non l'ha indebolito e fatto stramazzare. Non è riuscito a tornare al villaggio con i suoi compagni.

    Ma c'è una seconda possibilità: la veste presenta due fori sul lato sinistro, uno a metà della schiena e l'altro all'altezza della spalla. Entrambi i fori presentano tracce di sangue con lo stesso Dna. Quindi, una persona sanguinante si è abbattuta sulla schiena di Ötzi. Un altro campione è stato preso da un piccolo foro che dovrebbe essere il punto di ingresso della freccia nella scapola di Ötzi e il Dna appare essere un miscuglio tra due diversi. Uno era probabilmente quello di Ötzi, proveniente dal sangue fuoriuscito dalla ferita e l'altro dalla stessa persona che aveva lasciato tracce di sangue sulla veste. Quindi possiamo pensare ad un combattimento che termina con la morte del nostro uomo, che rimane lì sul terreno.

    Cade su un poggio, mentre soffia un vento caldo e secco. Poco dopo la sua morte, la notte, ha nevicato. Il suo corpo è stato così prima essiccato e poi protetto dagli animali predatori di carogne. Ed è arrivato fino a noi per rivelarci pezzo dopo pezzo la sua storia misteriosa.

    Fonte: Il Messaggero di oggi





    Pugnale in selce: faceva parte del corredo di Ötzi

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    UN IGLOO PER NON FAR DIMAGRIRE ÖTZI

    Dal 2 dicembre 2003 Ötzi, la mummia dei ghiacci ospitata nel museo archeologico di Bolzano, ha una nuova “casa”: la cella frigorifera in cui viene conservato, e da cui 250 mila visitatori l'anno possono ammirarlo, è ora un igloo dalle pareti ricoperte da decine di piastrelle di ghiaccio di 15 millimetri di spessore.
    Scopo della nuova cella è quello di rendere il sistema di conservazione il più stabile possibile, con il massimo di umidità, in modo da evitare che Ötzi perda peso per evaporazione.

    Dopo quattro anni di ricerca e sperimentazioni - usando anche Ötzi 3, e cioè un cadavere mummificato artificialmente e fornito dall'Università di Innsbruck (come già era successo con Ötzi 2 per la preparazione della cella frigorifera utilizzata sinora) - si è arrivati a questo igloo, con una temperatura di - 6,12 gradi C. Si è cioè trovato il cosiddetto punto di soglia – dew point - da conservare il più costante possibile. L'umidità che si ottiene è del 99,42%. E' un’umidità che consente ad Ötzi, che pesa poco più di 14 chilogrammi, di perdere sei grammi di peso al mese, contro i 5 grammi al giorno persi in precedenza.

    Il fenomeno di perdita di peso - Ötzi è l'unica mummia umida esistente - veniva compensato con vaporizzazioni del cadavere usando una speciale acqua sterile. Questa applicazione sarà fatta ancora, ma molto più raramente: Ötzi non dimagrirà.
    Il sistema di conservazione ad igloo prevede in sostanza una capacità termica aumentata di otto volte rispetto a quella precedente.

    Come ulteriore misura di sicurezza, è stata anche collocata una piccola rete per evitare che le piastrelle di ghiaccio possano - in una improbabilissima ipotesi - staccarsi. Le piastrelle sono state applicate alle pareti di metallo - raffreddate a
    - 7 gradi C. - con la loro temperatura di - 6,12 gradi C., secondo il principio fisico del corpo più freddo che attrae quello più caldo.

    Per la nuova cella è stato studiato anche un nuovo piccolo oblò - da cui i visitatori possono ammirare la mummia - ed un nuovo sistema di illuminazione. Il tutto per evitare al massimo dispersioni energetiche che erano all'origine dell’”evaporazione” di Ötzi. Si è in sostanza lavorato per ricreare una situazione di conservazione della mummia il più possibile simile a quella che aveva sotto i ghiacci del Similaun. Anche le nuove luci ricreano pressoché perfettamente - ma senza infrarossi - quella solare
    che filtra attraverso il ghiaccio. L'operazione è costata 410 mila euro.

    Da un’Ansa del 2 dicembre 2003 (http://www.ansa.it/notiziari/qualita...132773337.html)


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    Ötzi potrebbe essere nato in Italia. Più precisamente nell’odierna cittadina di Velturno (Feldthurns), in Sud Tirolo. A dare la cittadinanza italiana al cacciatore è un team di ricercatori di Australia, Stati Uniti e Svizzera, autori di una ricerca ora pubblicata da Science. L’analisi di alcuni minerali rinvenuti nei denti e nelle ossa della mummia ha permesso agli scienziati di risalire alle diverse zone dove avrebbe vissuto. I biominerali presenti nei cibi, infatti, si depositano in varie parti del corpo a seconda dell’età dell’organismo. Durante l’infanzia, per esempio, si fissano nei denti, mentre in età adulta si accumulano nelle ossa. Dal confronto con campioni di terra e di acqua di varie regioni del territorio alpino, i ricercatori hanno dedotto che l’Uomo dei Ghiacci avrebbe trascorso tutta la sua vita nel raggio di una sessantina di chilometri a sud-est del luogo in cui il suo corpo fu rinvenuto. Molto probabilmente, quindi, Ötzi sarebbe nato nella valle Isarco (Eisack), vicino all’odierna Veturno. Solo successivamente si sarebbe spinto verso nord, fino alla valle di Otz, dove poi morì a una età di circa 46 anni. In alternativa, i ricercatori ipotizzano che Ötzi sia morto nel corso di una migrazione stagionale verso il nord, secondo l’antichissima consuetudine di soggiornare nelle valli durante l’inverno e in montagna durante l’estate.


  7. #7
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    23 ottobre 2004 - Un cacciatore ha ritrovato questa mattina il corpo di Helmut Simon, l'uomo che nel 1991 scoprì Ötzi e che, cinquemila anni dopo, è scomparso come lui nella tormenta. Simon era stato dato per disperso una settimana fa: partito da solo per un'escursione nella zona del Gamskargogel, non ha più fatto ritorno a casa.



    IL GIALLO DEL PAPÀ DELLA MUMMIA

    di Paolo Rumiz


    BAD GASTEIN - Macché vendetta della mummia. In Austria lo sanno. La maledizione che perseguitava Helmut Simon da Norimberga si chiamava Sudtirolo ingrato. L'Europa intera, dai birrai della Baviera ai professori dell'Enciclopedia Britannica, sapeva che lo scopritore dell'Uomo dei ghiacci era lui. Per tutti, Herr Simon era il "papà" della mummia più antica del mondo. Tutti, salvo la Provincia di Bolzano, la quale non gli ha mai voluto tributare questo onore. Anzi, glielo ha sempre ostinatamente rifiutato. E' in questo rifiuto, ti dicono, che devi cercare.

    Nevica, tira un vento bastardo, la cime del Salisburghese sono inghiottite da nubi color topo, in quota nevica, i 120 uomini del soccorso alpino di Gastein hanno sospeso le ricerche da 24 ore. Troppo pericolo. I larici in due giorni hanno perso gli aghi sotto le raffiche, e appena il vento tace senti che la montagna soffia, smotta, trema sotto il peso del manto invernale. Tempo da grappini, non da escursioni. Lo hanno cercato ovunque, il tedesco. Nella valle di Koetschach, sul Graukogel, e anche dall'altra parte della valle, sopra la stazione dove si imbarcano le automobili sul treno-navetta, davanti al tunnel per Mallnitz, Carinzia.

    Cascate, alberghi fin de siècle, un fondo valle tetro. All'hotel Bismark, da dove la moglie di Simon pare se ne sia già andata in silenzio, la gente ripete: "Sehr seltsam", molto strano. Strano che un alpinista se ne sia andato via da solo con quel tempo. Strano che non abbia detto alla moglie la sua strada. Strano che un Bergvagabund come lui, un nomade incallito della catena alpina, abbia compiuto un simile errore a 67 anni. "Nein - ti dicono - non può essere un caso che quei due siano finiti alla stessa maniera".

    E' come se se la fosse cercata, il signor Simon. Come se avesse fatto perdere le tracce apposta. Sarà andato davvero verso il piccolo Gamskarkogel, sopra Dorfgastein, da dove col bel tempo puoi goderti una vista fantastica sulle Alpi Orientali? Oppure avrà beffato tutti salendo la muraglia dei Tauri che chiude la valle sopra i tremila metri? Non era forse convinto, Herr Professor, che Oetzi avesse dei fratelli dispersi su quelle montagne lontane 200 chilometri dal Tirolo? E se fosse andato a svegliarle dal letargo? Ma poco importa, perché la chiave di questo giallo non sta a Bad Gastein, ma altrove. A Bolzano. Nei meandri di una contesa legale da ossessione. Da romanzo di Le Carré.

    "Ja. Quella di Oetzi è la storia di un furto". Nella stube surriscaldata del venerando Hoteldorf Gruenenbaum, sotto i trofei ultra-centenari di un certo arciduca Giovanni, il signor Kurt Wodak, un viennese in viaggio verso Klagenfurt, ride delle ipotesi "egizie", delle storie della mummia che si vendica come Tutankamen. "Tutto fumo per occultare la verità". Conosce bene la storia di Simon e azzarda: "Forse in lui ha giocato la delusione".

    La storia dello scopritore negato di Oetzi comincia quando Bolzano intuisce che può fare della mummia un'attrazione miliardaria e al tempo stesso l'antenato della piccola patria sudtirolese. Una partita identitaria da giocare tutta in casa. L'Istituto di medicina legale di Innsbruck, che fa le prime analisi sui resti, viene messo subito fuori gioco. Vengono chiamati carabinieri e geometri e un pezzo di ghiacciaio da sempre "in condominio" con l'Austria diventa italiano dopo meticolose misurazioni trigonometriche. Il corpo viene riportato trionfalmente a Sud del Brennero e l'unità tirolese va in frantumi per un cadavere.

    Ma anche che "l'onesto rinvenitore" sia un forestiero può essere un disturbo. Meglio un grande nome locale come Reinhold Messner, giunto sul Similaun poco dopo col compagno di cordata Hans Kammerlander. Così liquidano il guastafeste, dicendo: "Caro Simon, lei ha trovato solo un corpo, ma non ne ha capito l'importanza. Lei pensava a un caduto della Grande Guerra". Al museo metteranno una targa che è un capolavoro di ipocrisia. Vero: i coniugi Simon "hanno visto" l'uomo del Similaun per primi. Ma la parola "scoperta" viene accuratamente evitata.

    Per tacitarlo, gli offrono 50 mila euro, una somma ridicola per un reperto inestimabile. In fondo, che possono valere quattro ossa e pelle secca, ghignano all'ufficio legale della Provincia. Ma Simon non cerca il conto in banca, non gli importa la cifra. Vuole solo una targhetta al museo, un nome con la data. Ed è lì che si incaponisce. Vuole prima di tutto il riconoscimento di una qualifica; il compenso verrà poi. La Provincia risponde a muso duro. Simon diventa una "non persona". Il presidente Luis Durnwalder lo evita. Il suo nome viene cancellato dagli incontri scientifici sul tema, e i Simon non vengono invitati nemmeno allo strombazzatissimo convegno per il decennale della scoperta.

    Le disposizioni della Provincia più ricca d'Europa sono implacabili: se "quel signore" vuole entrare al museo, paghi il biglietto. Nessuna agevolazione che possa sembrare un riconoscimento. Simon se ne frega, viene lo stesso a Bolzano, porta comitive dalla Germania apposta per far schiattare i bolzanini ingrati. E succede che più negano il suo ruolo, più si allungano le code attorno al museo, più i miliardi grondano sulla Provincia taccagna, e più l'affetto - forse la complicità - con l'uomo rinsecchito nel congelatore aumenta. "Mein Brueder", lo chiama. Non si sente più suo padre, ma fratello di destino. Gli parla, si identifica con lui. Sul biglietto da visita si qualifica non come professore di chimica, ma "scopritore di Oetzi". Si attacca alla giacca una targhetta con la mummia alpina. In fondo, il mondo lo conosce per quello.

    Nasce, forse, una magnifica ossessione. "E se Simon avesse voluto identificarsi con l'oggetto della sua scoperta?", osa al telefono da Merano il direttore del Servizio di salute mentale dell'Alta Val d'Adige Lorenzo Toresini. E si fosse innamorato della sua creatura al punto da cercare la stessa fine? Chissà, magari ha voluto rivivere la salita nella neve, la stanchezza, l'ultimo pasto, fino all'agonia dal "fratello". Oppure sparire nell'elemento dei suoi sogni, la tormenta. Più che la maledizione di una mummia pare il desiderio di immortalarsi. E magari, aggiungiamo noi, di tagliar corto con chi quella immortalità voleva negargli.

    "Con tutti questi titoli dei giornali sullo scopritore di Oetzi, in Italia saranno nervosi" sorride ironico un turista tedesco con zainetto sulla stradina per il vecchio hotel Ruebezahl, un posto un po' sinistro. "Non so se Simon se la sia cercata, ma in tre giorni ha ottenuto quello che voleva: il riconoscimento definitivo della scoperta. Ci pensi. Non si parla che di lui. E ora, se la vedova avrà quello che le spetta, sarà una bella vendetta postuma per Austria e Germania. La degna fine a sorpresa della storia di Oetzi, la mummia scippata due volte".


  8. #8
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    Immagine tratta dal sito http://www.aref.de/

  9. #9
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    LA MALEDIZIONE (?) DELL'UOMO VENUTO DAL GHIACCIO


    BOLZANO - "Dunque la prossima vittima dovrei essere io?". Con il sano scetticismo dello scienziato, aveva risposto così, il professor Konrad Splinder, a chi gli chiedeva un commento sulla cosiddetta "maledizione" della mummia Oetzi. Che si vendicherebbe di chi l'ha "risvegliata" da un sonno lungo cinquemila anni, riportandola alla luce nel 1991 dai ghiacci del Similaun. Spindler era stato il primo a studiarla, le sue ricerche ebbero eco mondiale. Adesso, a 66 anni, vittima di una forma aggressiva di sclerosi, l'archeologo, docente all'università di Innsbruck, è morto. Proprio come altre quattro persone che, come lui, avevano avuto a che fare direttamente con Oetzi.

    La chiamano "la maledizione dell'uomo venuto dal ghiaccio". E fra quelli che a Oetzi si sono avvicinati, Spindler è solo l'ultimo in ordine di tempo ad aver perso la vita, primo a cogliere l'importanza della scoperta, uno degli scienziati di punta del team di specialisti che da anni studiano il reperto per ricavarne informazioni di carattere paleontologico.

    Il professore, con un suo libro dedicato a "Frozen Fritz" - così gli americani chiamano Oetzi - aveva ottenuto notorietà mondiale. Il volume ha venduto oltre 600 mila copie, ma, a causa della prematura scomparsa, Spindler non potrà godersi i frutti del suo lavoro.

    L'ipotesi dell'ombra di una maledizione prese corpo in occasione della morte di Helmut Simon, l'uomo che assieme alla moglie, durante un'escursione sul ghiacciaio del Similaun nel settembre del 1991 trovò il corpo del progenitore dei tirolesi. Grande appasionato di montagna, Simon scomparve durante una gita su un ghiacciaio austriaco, e venne ritrovato solo parecchie settimane dopo, sepolto sotto una massa di neve. Proprio come Oetzi.

    E altre persone sono morte, in circostanze drammatiche, dopo aver "conosciuto" la mummia del ghiacciaio. Ad esempio, Rainer Henn. Era il medico che aveva materialmente spostato la mummia in occasione del ritrovamento. Morto anche lui: si è schiantato con la sua vettura contro un'altra auto, un anno dopo la scoperta, mentre si recava a una conferenza scientifica dedicata, guarda caso, all'uomo di cinquemila anni fa.

    E ancora, Kurt Fritz. Guida alpina di professione, accompagnò il famoso alpinista altoatesino Reinhold Messner in un'ispezione sul Similaun, subito dopo la scoperta della mummia. Due anni dopo perse la vita cadendo nel crepaccio di un ghiacciaio.

    Ultima vittima della maledizione, nella lista fin troppo lunga, è un operatore della televisione di stato austriaca Orf, Rainer Hoelzl, ucciso da un tumore fulminante al cervello. Era stato lui che aveva filmato le operazioni di recupero della mummia sui monti dell'Alto Adige.

    Oggi, Oetzi riposa in una cella frigorifera all'interno di un museo costruito per lui nel centro di Bolzano, meta di migliaia di turisti che ogni anno giungono dai più svariati angoli del mondo. Incuranti della maledizione. Proprio come quei commercianti, ristoratori ed albergatori, per i quali il museo dedicato alla mummia rappresenta una cospicua fonte di guadagni. Come dire, una benedizione.


  10. #10
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    Avevamo lasciato l'uomo di Similaun con la teoria dell'archeologo australiano Tom Loy, secondo il quale Ötzi sarebbe morto dopo un brutto incontro a valle: una lotta drammatica, forse contro quattro avversari, e un inseguimento finito tragicamente sul ghiacciaio. Una morte violenta ma lenta, causata dal dissanguamento dovuto a una ferita di freccia.

    Ora una nuova ipotesi contraddice questa teoria: secondo il paleontologo Walter Leitner, docente all'Università di Innsbruck, Ötzi non fu aggredito a valle, non fu inseguito, ma fu ucciso in un agguato direttamente sul ghiacciaio. Leitner sostiene che, sulle radiografie effettuate sulla mummia, ci sono tracce di profonde lesioni vascolari: il che indicherebbe una morte immediata.

    E non è l'unica novità: Ötzi potrebbe essere a rischio di decomposizione. I raggi X mostrano macchie grigie sospette su un ginocchio, che indicherebbero la presenza di batteri. Eduard Egarter Vigl, l’ufficiale responsabile della mummia, suggerisce quindi la necessità di una biopsia.

    Ma c'è di più: per lo studioso ceco Jiri Vojacek, la mummia sarebbe piena di batteri pericolosissimi, portatori di malattie terribili e sconosciute ( ). Secondo Vojacek, ogni intervento su Ötzi potrebbe scatenare una vera e propria tragedia e l'unica soluzione sarebbe quella di riportarlo tra i ghiacci...


    Beh, se fosse per farlo finalmente riposare in pace, io sarei d'accordo...

 

 
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