IL CASO / Ogni «dotazione» di divisa da usciere della Regione costa quasi 2000 euro, in proporzione le spese di Palazzo dei Normanni «pesano» 8 volte di più del Senato
Otto deputati in 6 minuti, così la Sicilia approva il bilancio
L’usciere che per decenni rifiutò la divisa perché «allergico al blu», meno male, è ormai in pensione: buttare 1.984 euro per il suo abito da commesso sarebbe stato un delitto in più. Con quei soldi vai in via Montenapoleone da Mariano Rubinacci, forse il più celebre sarto del mondo, e ti fai un vestito su misura di vicuña. Eppure, non ci crederete, quei 4 milioni di lire sono proprio la cifra spesa per ogni dipendente in divisa dall’Assemblea Regionale Siciliana. È scritto nel nuovo bilancio, approvato umma umma , mentre tutti erano distratti dalla guerra, da un commando di consiglieri. E la richiesta del numero legale? Respinta: per presentarla avrebbero dovuto firmarla in cinque. Ma in aula erano in otto. Su novanta. Era la mattina del 26 marzo scorso. Tutti i tiggì e i giornali erano stracolmi delle cronache sul massacro di civili al mercato di Bagdad.
«Minchia: il giorno perfetto!», si sono detti quei 7 deputati incursionisti delegati al colpo di mano. Erano le 8 e 58 minuti: la seduta più mattiniera dell’intera storia dell’Ars. Dove solitamente se la prendono comoda comoda dandosi appuntamento alle undici, a mezzogiorno o nel pomeriggio. Nella leggendaria Sala d’Ercole c’erano: il vicepresidente Salvo Fleres, un berlusconiano catanese che nel 2002 aveva cercato d’infilare all’ultimo istante due righine d’emendamento alla finanziaria che avrebbero fatto assumere 4.000 precari delle sue parti (blitz sventato dall’allarme di un esponente della stessa maggioranza), più i 5 consiglieri dell’ufficio di presidenza che avevano messo a punto il bilancio interno, più un parlamentare dell’Udc, più Roberto De Benedictis, un diessino messo lì a coprire in solitudine le vergogne d’una opposizione troppo spesso assente.
Una battaglia solitaria e votata alla sconfitta. L’uomo dice che il documento in votazione non è mai stato visto da nessuno, che lui ne ha chiesto copia e gli hanno risposto che ce n’era una sola, che la seduta è una farsa e che è necessaria almeno la verifica del numero legale. Risposta di Fleres: «La verifica del numero legale deve essere richiesta da cinque deputati». «Ma se siamo in otto!». Richiesta respinta: «Non avendo alcun altro deputato chiesto di parlare, dichiaro chiusa la discussione generale e pongo in votazione...». Pronti, via, «chi è d’accordo resti seduto, chi è contro si alzi». Tutto approvato. «La seduta è sospesa».
Record mondiale: sei-minuti-sei per decidere come spendere nel 2003 la bellezza di 138.547.000 euro, pari a 260 miliardi di vecchie lire. Un sacco di soldi. Basti dire che l’assemblea di Palazzo dei Normanni succhia lo 0,6 dell’intero bilancio regionale: otto volte di più di quanto pesa, su quello dello Stato, Palazzo Madama. Un paragone obbligato: non ci viene ripetuto da anni, ogni volta che deflagra uno scandalo sui privilegi dell’Ars, che questa assemblea siciliana non è un consiglio regionale come tutti gli altri tanto è vero che ha per statuto la dignità, gli stipendi e le prebende del Senato della Repubblica? Bene: facciamolo tutto, questo confronto tra le due istituzioni. Primo: il funzionamento di Palazzo Madama costa ad ogni italiano 7,9 euro l’anno, quello di Palazzo dei Normanni ne costa a ogni siciliano 28,4. Secondo: un senatore, con tutto il contorno di uffici e segretari e commessi e servizi vari, costa a ogni italiano 2 centesimi e mezzo, un deputato regionale a ogni siciliano 31. Terzo: dal 25 luglio 2001, giorno in cui si insediò, il parlamento isolano presieduto dal finiano Guido Lo Porto si è riunito 135 volte (una ogni 5 giorni) contro le 362 sedute (una ogni due, scarsi) dell’Aula guidata da Marcello Pera. Il che, fatto salvo il lavoro delle Commissioni che tuttavia è maggiore a Roma che a Palermo, porta alla conclusione che un senatore costa 1.250 euro a seduta, un deputato dell’Ars 3.140. Non il triplo, ma quasi.
Gli squilibri più clamorosi, che sarebbero esilaranti se le difficoltà di cassa della Regione non avessero già fatto saltare gli stipendi ai deputati dello scorso novembre e non avessero portato pochi giorni fa al blocco di tutte le novanta carte di credito date ai parlamentari e ormai senza copertura, sono però alle voci «minori». Come quella citata all’inizio: il «vestiario di servizio» costa 929 euro per ogni dipendente in divisa (commessi, cuochi, camerieri...) a Palazzo Madama e più del doppio, quei 1.984 euro di cui si diceva, a Palazzo dei Normanni. Una sproporzione ribadita alla voce «noleggio autoveicoli»: 293.229 euro spende il Senato, 210.000 l’Ars. Certo: a Roma spendono altri 121 mila euro per l’«autoparco», e sono soldi da sommare al conto del leasing. Ma se si tratta soprattutto, come è presumibile, di «auto blu» per presidenti, vicepresidenti, capigruppo, capi-Commissione e così via, la differenza è comunque abissale: 1.290 euro di spesa per ogni senatore, 2.333 per ogni deputato siciliano.
Per non parlare delle bollette telefoniche. Ammesso e non concesso che tutti i 970 dipendenti del Senato e tutti i 296 dell’Ars abbiano il diritto a usare liberamente il telefono alla pari coi senatori e i deputati, ogni inquilino di Palazzo Madama spende 1.800 euro l’anno, ogni inquilino di Palazzo dei Normanni 3.886. Oltre sette milioni e mezzo di vecchie lire. Addio, antico mito del siciliano silente...
Gian Antonio Stella
Politica