14/4/2003
C’è un documento che smentisce qualunque idea che la situazione in Cecenia si stia normalizzando. Proviene dal governo ceceno filorusso e fornisce dati spaventosi sulla violenza che regna in questa regione del Caucaso, dove circa centomila soldati russi sono dispiegati da tre anni e mezzo nel quadro di una «operazione antiterrorista», come continua a chiamarla il Cremlino. Questo rapporto - di cui «Le Monde» ha ottenuto una copia - è stato trasmesso a fine marzo, secondo le nostre fonti, «al più alto livello federale». Cioè al presidente Vladimir Putin. Interrogati su questo punto, i servizi del portavoce speciale del Cremlino sulla Cecenia, Sergej Iastrembskij, dicono di non saperne nulla: «Non possiamo né confermare né smentire. E’ possibile che questo rapporto esista. Forse è stato trasmesso al presidente, ma non è passato attraverso i nostri servizi». Il documento - una trentina di pagine - rappresenta un primo tentativo di bilancio ufficiale dei crimini commessi contro i civili in Cecenia. Una parte del rapporto, intitolata «Informazioni sugli assassinii commessi sul territorio della Cecenia dal primo gennaio al 31 dicembre 2002» censisce un totale ufficiale di 1.314 decessi «tra la popolazione civile» per il solo 2002. Si tratta di morti sopravvenute al di fuori di scontri armati, tiri di artiglieria, bombardamenti o esplosioni di mine telecomandate. Sono conteggiate soltanto le vittime di esecuzioni sommarie. Una media di 109 ceceni ammazzati ogni mese. Il doppio delle stime fornite dall’associazione russa «Memoriale», che tiene una «cronaca» delle violenze in Cecenia ma riconosce che i dati sono incompleti, mancando i mezzi per coprire tutto il territorio. I difensori dei diritti dell’uomo sarebbero così al di sotto della verità. Altra constatazione e ammissione contenuta in questo rapporto: la quantità di fosse comuni, riconosciuta per la prima volta in modo ufficiale. In due pagine intitolate «Dati sulle fosse comuni di civili sul territorio della repubblica cecena, raccolti dal Ministero ceceno per le Emergenze» sono elencate 49 località, con accanto il «numero di cadaveri» esumati dalle fosse comuni. Una di quelle, situata nel cimitero centrale di Grozny, contiene 260 corpi, dice questo documento. Nel «villaggio di dacie di fronte a Khankala», la più grande base militare russa in Cecenia: 43 cadaveri esumati. Nel villaggio di Alkhan Kala: 35. A Proletarskoe: 17. A Aldi, un sobborgo di Grozny: 22. A Ourous-Martan: 13. A Staraia Sounja: 18. Nel villaggio di Berkat-Iourt: 5. E così via. Questo bilancio, di cui non si può stabilire con certezza se risalga al 2002 o al 2003, fornisce una cifra ufficiale: 2.879 cadaveri trovati nelle fosse comune della Cecenia. Così nei documenti burocratici russi sono entrate per la prima volta le fosse comuni cecene. Un’altra parte del rapporto descrive decine di casi di «assassinio», «scoperta di cadaveri con segni di morte violenta», «scoperta di frammenti di corpi» (cioè civili ceceni uccisi e poi fatti a pezzi con l’esplosivo, pratica che da un anno è in uso tra i soldati russi), e poi «rapimenti», «torture», «pestaggi». Prima si cita il crimine, poi il nome della vittima identificata, poi il luogo e, nell’ultima colonna, il numero di Btr (blindati russi da trasporto) presenti nei pressi delle abitazioni cecene al momento dei fatti. Questo dettaglio, all’apparenza insignificante, fornisce in realtà la prova dell’implicazione delle truppe di Mosca nelle violenze contro i civili. Il 2003 non ha portato miglioramenti alla popolazione cecena. Un «quadro di analisi comparata dei crimini gravi commessi sul territorio della Cecenia in gennaio, febbraio e marzo 2003» censisce «70 assassinii, 126 rapimenti, 19 persone scomparse (ma non rapite), due stupri e 25 casi di scoperta di frammenti di corpi umani». Qual era lo scopo di questo rapporto? Al momento del «referendum costituzionale» del 23 marzo scorso in Cecenia - voluto da Mosca per far credere al mondo esterno che era in corso un processo politico - qualcuno ha forse cercato di offrire al presidente russo una visione più realista della situazione cecena, rompendo con le rassicurazioni fornite dalla gerarchia militare. E’ però ipotizzabile che Putin - provenendo dai servizi segreti - avesse già avuto modo di conoscere la vera piega degli eventi. Un’altra spiegazione possibile sta nelle ambizioni del Muftì Akhmed Kadyrov. Il capo dell’amministrazione filorussa, nominato da Mosca, vuole far leva sul «referendum» per essere eletto quest’anno presidente della Cecenia, al posto di Aslan Maskhadov, il capo degli indipendentisti, trincerato nella guerriglia armata. Cosciente che le violenze perpetrate contro la popolazione civile minano la sua base, già fragile, Akhmed Kadyrov avrebbe cercato di allertare il potere centrale sulle derive dei soldati di Mosca? Queste informazioni, stabilite sulla base di dati raccolti localmente dalle autorità governative cecene, costituiscono una confessione che contraddice la posizione ufficiale russa. Sì, dicono queste pagine, l’esercito russo commette crimini di guerra. Sì, la Cecenia è un Paese disseminato di fosse comuni. No, negli ultimi mesi non si è visto nessun miglioramento. E intanto il potere russo mantiene un silenzio totale su questi fatti, che avvengono su un territorio proibito ai media. Copyright Le Monde
Natalie Nougayrède