Salvate il soldato Chirac: il petrolio, il Sudan e la libertà religiosa

Massimo Introvigne

"Come gli Stati Uniti e la comunità internazionale devono rispondere a un
regime brutale e dispotico di un paese arabo che ha evidenti legami con il
terrorismo internazionale? (Š) Che fare se questo regime possiede grandi
ricchezze petrolifere, che rendono i suoi difetti morali invisibili a
coloro che si preoccupano solo dello sfruttamento futuro di grandi riserve
di petrolio e della caccia ai petrodollari? Se questo regime è una minaccia
per i suoi vicini, viola sistematicamente gli impegni internazionali che ha
assunto e attacca regolarmente i suoi stessi cittadini con modalità che
violano la Convenzione di Ginevra, come dobbiamo rispondere?". Così inizia
un editoriale apparso il 2 aprile 2003 sull'International Herald Tribune:
un articolo che non parla dell'Iraq, ma del Sudan. L'autore non è un
commentatore occasionale di problemi sudanesi, ma il professor Eric Reeves,
docente presso il prestigioso Smith College, considerato uno dei maggiori
esperti accademici statunitensi del Sudan. Dopo attacchi feroci contro le
sue lezioni in tema di diritti umani in Sudan e contro la sua università da
parte del governo sudanese e di diverse società petrolifere internazionali
che sono partner commerciali dello stesso governo, Reeves ha deciso di
prendersi un anno sabbatico in cui si dedica a completare un atteso libro
sull'argomento.

La requisitoria di Reeves segue un serrato schema logico, che non è
difficile riassumere. Forse a ragione, forse a torto molti esperti di
petrolio pensano che il Sud del Sudan rappresenti il prossimo grande affare
petrolifero mondiale, con enormi riserve ancora in gran parte inesplorate.
L'attuale regime militare-fondamentalista di Khartoum, dopo avere trattato
soprattutto con industrie canadesi (nel mirino però della loro opinione
pubblica, sensibile ai problemi di diritti umani), ha concesso la maggior
parte dei diritti sul petrolio del Sudan meridionale alla società francese
TotalFinaElf. C'è però un piccolo problema: finché al Sud le minoranze, in
gran parte cristiane, che si oppongono all'islamizzazione forzata non
cessano la loro resistenza armata, le trivelle francesi non possono
cominciare a operare. Anni di pulizia etnica, riduzione in schiavitù di
membri delle minoranze religiose, carestie provocate artificialmente che
ricordano le tattiche staliniane, hanno fatto quasi due milioni di morti,
ma non hanno risolto il problema, nonostante il Sudan annunci
periodicamente che tregue e accordi di pace sono stati sottoscritti e
saranno questa volta rispettati. Per consentire ai petrolieri francesi -
che già rischiano di perdere i lucrosi contratti con l'Iraq a suo tempo
sottoscritti dal governo di Saddam Hussein - di mettere le mani sul
petrolio sudanese, ci vorrebbe una "soluzione finale" del problema delle
minoranze religiose del Sud. Il Sudan ha la forza militare per portare a
termine una guerra di sterminio, ma potrebbe non avere la forza politica di
resistere alle pressioni internazionali. Per gli interessi francesi, è
pertanto obbligatorio che la comunità internazionale si disinteressi del
Sudan. Alla prossima convenzione delle Nazioni Unite sui diritti umani, la
Francia si opporrà al rinnovo del mandato finora concesso annualmente a
ispettori ONU incaricati di verificare la situazione dei diritti umani in
Sudan, e a qualunque condanna internazionale del Sudan. E' probabile che la
Francia ce la faccia, tanto più che l'anno scorso altre manovre francesi
(con l'aiuto di Cina, e Russia) hanno installato alla presidenza della
Commissione diritti umani un rappresentante della Libia, e hanno escluso
dall'esecutivo della Commissione gli Stati Uniti. Così, il governo del
Sudan potrà continuare allegramente a massacrare le proprie minoranze
religiose, senza tema di interventi internazionali: il pacifista Chirac
avrà assicurato al Sudan la "pace" che non ha potuto garantire all'Iraq -
dove "pace" va tradotto dal francese come libertà per l'industria
petrolifera transalpina di operare tranquillamente, al riparo da occhi
indiscreti e senza preoccuparsi di bazzecole come la persecuzione delle
minoranze etniche e religiose.

Fin qui Reeves, che sarà certamente accusato di non avere tenuto conto nel
suo breve e polemico editoriale delle atrocità nella guerra civile sudanese
attribuite anche ad alcune componenti della coalizione ribelle del Sud:
atrocità probabilmente reali, ma che certamente non giustificano il
genocidio di massa perpetrato dal governo di Khartoum. Se però uno degli
scenari del dramma sudanese è quello di Ginevra e della Commissione diritti
umani dell'ONU, a Reeves - come a molti commentatori che si sono occupati
del dibattito internazionale sull'Iraq - manca un pezzo importante del
mosaico. Uno sguardo ai rapporti annuali del Dipartimento di Stato degli
Stati Uniti, agli stessi rapporti della Commissione diritti umani dell'ONU,
e ai documenti di molte organizzazioni internazionali che si occupano di
libertà religiosa mostra che non sono solo il Sudan e altri paesi a
maggioranza islamica (insieme con la Corea del Nord) a essere accusati di
violazione sistematica della libertà religiosa: certo senza le stragi e gli
eccidi di massa del Sudan, una persecuzione amministrativa di minoranze
religiose impopolari è stata ampiamente documentata anche in altri paesi.
Naturalmente, nessuna persona sensata mette sullo stesso piano un genocidio
e forme di disturbo poliziesco o di persecuzione fiscale e giudiziaria
delle minoranze religiose: ma anche queste ultime non possono essere
tollerate da chi ha veramente a cuore la libertà religiosa. Una ideale
classifica vede ai primi posti (in ordine di gravità di violazioni della
libertà religiosa) la Cina, la Francia e la Russia, seguite (ma a distanza)
da Belgio e Germania. Dietro la bandiera della lotta alle poche "sette
pericolose" accusate di attività terroristiche o di suicidi di massa (che
naturalmente esistono, e di cui nessuno nega la pericolosità) questi paesi
fanno passare la discriminazione di decine e talora centinaia di minoranze
del tutto pacifiche, accusate inoltre - nell'ambito dell'anti-americanismo
forsennato che in misura diverso li caratterizza - di "americanizzare" o
"colonizzare spiritualmente" la cultura nazionale. Anche movimenti
cattolici sono incappati in queste reti insidiose (e in Cina e in Russia è
la Chiesa cattolica nel suo insieme a essere sottoposta a discriminazioni)..

Una mano lava l'altra. Il terzetto Cina-Francia-Russia (con l'appoggio,
oscillante ma non casuale, della Germania e talora del Belgio, a seconda
delle vicende politiche interne di questi paesi) è anche preoccupato di
sfuggire alle condanne internazionali, del resto già formulate in documenti
dell'amministrazione americana, per le sue violazioni della libertà
religiosa. Per quanto Reeves abbia probabilmente ragione, e "petrolio in
cambio di omertà sulle violazioni dei diritti umani" sia il principale
baratto in corso, per la Francia e i suoi occasionali alleati, c'è anche un
altro baratto: evitando le condanne internazionali o comunque misure
incisive oggi contro il Sudan, ieri contro l'Iraq, Chirac e i suoi omologhi
russi e cinesi si creano degli amici che certamente voteranno contro
qualunque censura delle violazioni della libertà religiosa nei loro paesi,
nelle speranze di Chirac portandosi dietro un blocco arabo-islamico e
africano in grado di costituire, nelle commissioni ONU, una chiara
maggioranza. Così non solo saranno salvi i diritti petroliferi delle
industrie francesi in Sudan, ma il soldato Chirac sfuggirà anche alle
censure internazionali per la politica francese in tema di "sette" e
minoranze religiose. Intanto, i pacifisti continuano a sfilare
disinteressandosi del Sudan, e i sudanesi continuano a morire.