Da Rinascita Nazionale


Non tutti lo ricordano, ma già la prima aggressione all’Iraq, nei 1991, era stata fatale ad una grande potenza (“democraticamente scorretta”?) occidentale, il Giappone. Il Paese del Sol Levante, allora sull ‘onda di una crescita economica che sembrava inarrestabile e che stava producendo molti sconquassi nell ‘economia mondialista made in Usa, dipendeva quasi completamente, allora dalle importazioni di petrolio dal Golfo. La chiusura di quei rubinetti, come è ora possibile affermare con dati - e numeri - di fatto, comportò l’improvviso arresto dello sviluppo della Grande Tigre e l’inizio di una sua crisi su tutti i mercati mondiali.
Ora la seconda aggressione all ‘Iraq allontana quella che sembrava una iniziata ripresa dell’economia giapponese. Il conflitto nel Vicino Oriente ha contribuito a ridurre le già modeste aspettative di crescita dell’economia giapponese. Il Pil che sarebbe dovuto salire sulla base delle proiezioni del Fmi dell’1,5-2 per cento nel 2003 potrebbe addirittura contrarsi dell’uno per cento nel corso dell’anno. Continuerebbe, così, la lunga serie di andamenti negativi che hanno caratterizzato l’ultimo decennio.
La disoccupazione è in aumento (5,8 per cento) gli indici della produzione industriale sono stagnanti e il livello dei prezzi interni continua a diminuire, con effetti a dir poco negativi sui profitti delle imprese. Il debito pubblico supererà il 160 per cento del PiI nei prossimi mesi e potrebbe addirittura raggiungere il 180 per cento alla fine del prossimo anno. Il sistema industriale si regge sulle esportazioni che hanno però cominciato a contrarsi a causa del protezionismo degli Stati Uniti e della crisi mediorientale.
In questi due anni di guida del Paese, il governo di Junishiri Koizumi - un premier inviso all ‘altra sponda del Pacifico per il suo risoluto ancoraggio alle tradizioni ed alle radici nipponiche, storiche e culturali: non è da dimenticare che è stato 1 ‘unico primo ministro del dopoguerra a commemorare ufficialmente " i martiri della guerra contro gli Usa" nel tempio dedicato a loro, ai kamikaze e al generale Tojo (giustiziato dagli americani come ‘criminale” di guerra) - non è riuscito a far passare le riforme sociali che nelle sue intenzioni avrebbero fatto uscire il paese dalla lunga stagnazione: unica possibile novità la decisione di consentire alla Banca centrale a partire da maggio di acquisire azioni di imprese più o meno decotte che pesano sui bilanci delle banche. Contro di lui si sono infatti schierate tutte le lobbies filo-americane delpartito di governo.
Entro settembre ci saranno nuove elezioni e la sconJìtta di Junichiro Koizumi e dei liberali di cui lui rappresenta l’ala più innovatrice viene data per scontata. Il potere - con grande soddisfazione dei “protettori” d ‘oltrePacifico - dovrebbe tornare ai gruppi più filoamericani del Partito liberale, favorevoli a una politica di mercato iperliberista e contrari a nuove riforme tendenti a rendere più trasparente il sistema economico e a risolvere il problema dell ‘eccessivo indebitamento interno.
Non potendo stimolare la domanda interna, ormai ferma da oltre un decennio, e con il rischio di una ulteriore chiusura dei loro mercati tradizionali, la ricetta delle lobbies filo-americane è che la Banca centrale svaluti lo yen per “aiutare le esportazioni “. Una politica del genere potrebbe però generare una serie di svalutazioni competitive in tutta l’Asia rendendo ancora più difficile una soluzione ai problemi del momento.
Il primo ministro, con l’appoggio della Banca centrale e del ministero delle Finanze ha per ora cercato di tenere sotto controllo la situazione, evitando scossoni eccessivi al sistema dei cambi. Ma lavorano contro di lui le centrali finanziarie dell ‘usura giapponesi che, mantendo relativamente alto il valore del dollaro, e da qua/che tempo quello dell’euro, riescono ad ottenere, per i loro investimenti finanziari negli Stati Uniti un interesse dell ‘1.53 per cento, trenta volte più alto di quanto non percepiscono in Giappone. Gli investimenti di imprese, banche e privati giapponesi in America sono stimati attorno ai 5-6000 miliardi di dollari, pari alla metà circa del Pil americano.
Così il cappio dell ‘usura viene saldamente stretto dai padroni e dalle banche d’affari di Wall Street. E il Giappone viene chiamato a “normalizzarsi”, a piegarsi cioè alle convenienze finanziarie dei padroni del mondo.