Se l'affitto è più alto del salario
Un aumento del 200% in soli 10 anni. A farne le spese sono gli
anziani, i giovani, gli immigrati; ma anche le famiglie monoreddito o con un
solo genitore, e quelli che vanno a lavorare in un'altra città. Un affitto
medio «pesa» 882 euro; un salario metalmeccanico medio appena 1.000
FRANCESCO PICCIONI
La «politica della casa» ricompare nell'agenda tematica della Cgil,
trainata da dati ormai inequivocabili sul disastro che stanno delineando le
scelte sciagurate degli anni scorsi e, a maggior ragione, il «progetto
immobiliare» che anima il governo in carica. Occasione del «ritorno» è stata
la presentazione, nella sede di Corso d'Italia, della ricerca condotta dal
Sunia (un tempo famoso come «sindacato inquilini») sul mercato degli affitti
nelle aeree metropolitane. Cifre «che fanno vergognare di essere italiani»,
come ha sottolineato Paola Agnello Modica, che affiancava Luigi Pallotta,
segretario del Sunia, in rappresentanza della segreteria della
confederazione. In molte città, infatti, gli affitti pareggiano o superano
l'intero reddito di coloro che dovrebbero essere i destinatari
dell'«offerta» immobiliare. Basti pensare che nelle 11 aree prese in esame
l'«affitto medio» - tra sud e nord, zone centrali e periferiche - è di 882
euro (vedi il box di fianco alla foto). L'esame, si precisa, è stato
condotto sulla base delle pubblicazioni specializzate, quelle che si trova
davanti il cittadino comune che inizia a cercare un appartamento, e
rappresenta pertanto uno specchio abbastanza fedele della realtà. Non
contenti di rilevare la «quota» raggiunta, al Sunia hanno incrociato questi
dati con le più frequenti fasce di reddito, ottenendo così l'«incidenza»
della voce «casa in affitto» sul reddito disponibile.
La constatazione è semplicemente agghiacciante: per chi dispone di
meno di 7.500 euro (pensione di vecchiaia, insomma) non esiste nessuna
tipologia di appartamento che possa essere presa in affitto ai prezzi di
mercato (un monolocale inciderebbe per l'81% del reddito). Nelle fasce
reddituali superiori la situazione migliora di poco, e anche ai livelli
medio-alti (fino a 37.500 euro l'anno, un appartamento con quattro vani
«pesa» per più del 30% delle disponibilità economiche di una famiglia. Il
tutto senza nemmeno calcolare le spese fisse aggiuntive (riscaldamento,
condominio, ecc).
Sulle ragioni di questo autentico impazzimento della rendita
immobiliare si possono fare considerazioni di diverso tipo, ma è indubbio
che la rendita si è ricavata in questi anni uno spazio enorme ai danni del
salario e - in molti casi - persino del profitto. Di certo, il superamento
dell'«equo canone» (obbligato dalla pura e semplice scomparsa di un mercato
legale degli affitti) non ha portato a una disponibilità superiore di
appartamenti disponibili, e la legge successiva (la 431) si è ben presto
ridotta alla legittimazione ex post delle dinamiche (e delle speculazioni)
del mercato, senza la ricchezza di meccanismi compensativi scritti sulla
carta.
A coronare il disastro è arrivato Berlusconi, re (non decaduto) della
speculazione immobiliare insediato nel cuore dello stato. Il suo governo ha
azzerato - nella recente finanziaria - qualsiasi voce di sostegno
all'edilizia sociale (come «fondo nazionale» per gli affitti o la legge sul
disagio abitativo), e non finanzierà mai più nessun piano di edilizia
pubblica. Se gli enti locali, Regioni soprattutto, vorranno farsene carico,
dovranno farlo a loro spese. E, per riuscirci, dovranno forzosamente
ricorrere anch'esse alle «cartolarizzazioni» del proprio patrimonio
immobiliare, favorendo così - come il tesoro fa a livello centrale - la
speculazione dei grandi gruppi. Con un'aggravante: che dovranno esser
disposte a rivedere anche le «destinazioni d'uso» di molti immobili in modo
da aumentare le proprie entrate e, va da sé, soprattutto quelle delle gradi
società immobiliari.
Il programma di lotta che la Cgil inscrive nella sua agenda è dunque
presto fatto: ripristino di un significativo finanziamento dell'edilizia
sociale (un miliardo l'anno), potenziamento del fondo nazionale di sostegno
all'affitto (500 milioni) e della legge sul disagio abitativo (altri 500),
agevolazioni fiscali per i proprietari che affittano usando il «canale
concordato» e, soprattutto, il blocco o il disincentivo della
cartolarizzazione degli immobili pubblici ad uso abitativo. Perché sarà pur
vero che l'80% delle famiglie vive in case di proprietà, ma la
precarizzazione del lavoro renderà sempre più difficile il ricorso al mutuo
bancario. E con questi livelli degli affitti i giovani saranno sempre più
costretti a «rimanere in casa» oltre i 30 anni di età. Ma anche questo, alla
lunga, cessa di essere una curiosità culturale, buona per i film. E diventa
un segnale del degrado sociale di un paese.