---


Nuovi particolari sul massacro in Ituri
R.D. Congo: 08/04/03 - 14:18:40 da M.Fagotto

Una delegazione della MONUC, la missione ONU nella DRC, è finalmente riuscita a visitare la zona di Drodro, teatro giovedì scorso di uno spaventoso massacro dove hanno perso la vita circa 1.000 persone. I delegati della MONUC, accompagnati da rappresentanti degli Hema e dell'esercito ugandese, hanno confermato la morte di 966 persone e la scoperta di circa 20 fosse comuni.

Anche se non è ancora chiaro chi abbia condotto l'attacco, i sospetti si concentrano sulla popolazione di etnia Lendu. Secondo una cinquantina di sopravvissuti, ora ricoverati in un ospedale della zona, tra gli assalitori ci sarebbero stati anche donne e bambini, armati di fucili e machete. Il massacro sarebbe cominciato alle 3 del mattino e sarebbe durato alcune ore.

Nei giorni scorsi portavoce di due gruppi ribelli, l'UPC e il RCD-Goma, hanno accusato l'esercito ugandese di stanza a Bunia di aver partecipato all'attacco, accuse prontamente respinte dagli ufficiali delle UPDF. Ma nuove accuse all'operato ugandese sono state lanciate da Amnesty International, secondo cui i soldati ugandesi starebbero disatribuendo armi ai civili per fomentare il conflitto etnico nella zona e avere un pretesto per mantenere le proprie truppe in Ituri.

E' comunque certo che i soldati ugandesi non stanno contribuendo a mantenere la sicurezza della regione, come afferma anche il Dipartimento di Stato americano. Washington ha invitato le truppe di Kampala a prestare maggiore attenzione, e a monitorare la zona per evitare nuove violenze contro la popolazione.

Tensione nel Sud Kivu

Secondo fonti dell'agenzia MISNA (www.misna.org), nuovi scontri sarebbero avvenuti nei giorni scorsi nella città di Bukavu, nella regione del Sud Kivu. Un gruppo ribelle vicino alle milizie Mayi-Mayi avrebbe attaccato la città, controllata dai soldati del filo-rwandese RCD-Goma. Inoltre, sarebbe stata segnalata la presenza di truppe rwandesi nella zona.

Se la notizia fosse confermata, ciò non farebbe altro che accrescere la tensione tra Uganda e Rwanda. I due stati, una volta alleati nella guerra congolese, sono ormai ai ferri corti da alcune settimane, in particolare da quando le truppe ugandesi hanno invaso l'Ituri. Il giornale filogovernativo ugandese New Vision scrive che altre truppe rwandesi sarebbero entrate nell'Ituri, e sarebbero a pochi chilomentri dalla zona controllata dalle UPDF, l'esercito ugandese. Un eventuale scontro tra i due eserciti avrebbe conseguenze catastrofiche per la regione.

Comincia la transizione

Ieri il presidente della DRC Joseph Kabila ha giurato sulla nuova Costituzione, promulgata lo scorso venerdì dallo stesso capo di stato. Alla cerimonia era presente buona parte dei 362 delegati che hanno partecipato alla firma dei trattati di pace a Sun City la settimana passata. Assenti invece i rappresentanti dei gruppi ribelli, che entreranno a far parte del nuovo esecutivo che dovrebbe essere formato nei prossimi giorni.

Matteo Fagotto

--

3.3 million dead in Congo's 4 1/2-year war: IRC

AP[ TUESDAY, APRIL 08, 2003 07:470 AM ]

NAIROBI: An estimated 3.3 million people have died in Congo since civil war broke out more than 4 years ago in Africa's third-largest nation, most from war-induced malnutrition and disease, the International Rescue Committee said Tuesday.



The relief organisation founded in 1933 to aid people fleeing persecution in Nazi Germany said the conflict in Congo has taken more lives than any other since World War II and is the deadliest recorded in African history.



``This is a humanitarian catastrophe of horrid and shocking proportions,'' George Rapp, president of the New York-based organisation said.



``The worst mortality projections in the event of a lengthy war in Iraq, and the death toll from all the recent wars in the Balkans don't even come close,'' he said. ``Still, the crisis has received scant attention from international donors and the media.''



The IRC report comes less than a week after as many as 900 civilians were reported killed in Ituri province in northeastern Congo in an attack by one ethnic group on another.



The conflict, which began in August 1998 and at one point drew in armies from six other African nations, has exacerbated ethnic rivalries and tensions over land and territory in eastern Congo.



The IRC data was collected late last year to measure mortality among 9.3 million people in 10 districts in rebel-held eastern Congo, the region most affected by the conflict, and among 31.2 million people in 10 districts of government-controlled western Congo, which has been relatively peaceful.



Previous IRC studies put the death toll at around 2.2 million. The report says at least 85 per cent of the deaths were due to easily treatable diseases and malnutrition linked to the forced displacement of people fleeing fighting and the collapse of the country's health system and economy.



But much of the eastern half of Congo had been without basic services long before 30-year dictator Mobutu Sese Seko was ousted in March 1997 in a rebellion from the east backed by neighbouring Rwanda and Uganda.



Rwanda had condemned Mobutu for granting refuge to Hutu militia called Interahamwe who carried out the 1994 genocide in Rwanda in which half a million people, most of them minority Tutsis, were slaughtered on the orders of an extremist Hutu government.



But the IRC said the results of its research also provided grounds for hope because there were indications that deaths from violence had dropped by as much as 90 per cent since a survey carried out in 2001.



The organisation said positive developments like a South African-brokered peace process that has resulted a power-sharing agreement and the withdrawal of most foreign forces have contributed to greater stability and a decline in the previously higher rate of mortality ``in excess of what is normally expected during this time.''



But the IRC said the momentum of the peace process could be lost because of the continued attacks and fighting in Ituri province and urged diplomatic and humanitarian action ``in proportion to the magnitude of this crisis.''



Finally, the group said, the root causes of the war, including the security concerns of Congo, Rwanda and Uganda and the illegal exploitation of natural resources, must be addressed.


---

Colette Kitoga Habanawema

Una dottoressa congolese testimone degli orrori della guerra e impegnata nel curane le ferite. Il valore del suo lavoro e della sua testimonianza

Colette Kitoga Habanawema, 48 anni, ha scelto di tornare nel suo Kivu, nella Repubblica Democratica del Congo, da dove era partita all’età di 14 anni per venire a studiare nel nostro paese. Ha ottenuto la laurea in Medicina presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma e la specializzazione in Sanità pubblica dello sviluppo a Ginevra. Ha compiuto inoltre studi di bioetica, psicoterapia e medicina tropicale.
Nel momento in cui ha dovuto interrogarsi sul suo futuro, a Colette è sembrato inutile fermarsi a lavorare in Italia, dove i medici sono numerosi, mentre il suo paese, il Congo aveva bisogno di tutto.
“Alla fine dell’’87 – racconta lei stessa in un’intervista rilasciata a Segno nel Mondo (nov. 2002) – rientrai in patria. Ma non fu facile reintegrarmi, pur se congolese o zairese di nascita, perchè avevo una cultura europea. Volevo riandarmene, ma non sapevo dove. Poi capii che il Signore mi aveva chiuso tutte le strade perchè voleva che restassi lì; così ho lavorato come responsabile del reparto di ginecologia e ostetricia in un ospedaletto statale, poi in un altro gestito dai missionari protestanti. E’ in questi anni che sono stata colpita dalla realtà dei neonati orfani. La sopravvivenza delle donne incinte è precaria, specie nelle zone rurali, e i loro bimbi, per mancanza di latte, spesso muoiono qualche mese dopo la morte della mamma. Da qui l’idea di fondare il Centro Madre Misericordiae, per bambini da 0 a tre anni. Prima che il progetto si realizzasse, nel 1996, scoppiò quella guerra di cui poco si sa fuori dal paese e che ancora, nella parte est, sta mietendo migliaia di vittime tra la popolazione, con stragi, violenze sessuali e persone sepolte vive. Il Centro cominciò così ad occuparsi delle vittime del conflitto, per l’85% bambini”.
Dal 1998 ad oggi la guerra in Congo ha portato – lo ricordiamo – oltre tre milioni di morti, tra le vittime dirette di scontri e massacri e quelle decimate dalla fame e dalle malattie.
Attualmente il centro segue oltre 400 ragazzi, orfani, ex bambini soldato, ragazzi sfruttati nelle attività estrattive in miniera (oro e coltan sono le principali ricchezze della regione e la causa principale della guerra che la affligge), e testimoni pericolosi delle stragi e dei massacri. Essi hanno bisogno di tutto: cure mediche, cibo, vestiario e – soprattutto – assistenza psicologica. Alcuni di loro sono ospitati direttamente nella piccola struttura di Bukavu, sede del centro, mentre molti altri vengono affidati a delle famiglie, alle quali, in cambio, viene garantita l’assistenza sanitaria gratuita. “L’accoglienza, per loro, è un gesto quasi eroico – dice Colette – dato che in media una famiglia a Bukavu ha tra i 5 e i sei figli”.
Nell’ambulatorio vengono assistite anche donne e ragazze stuprate e sottoposte a violenze di ogni tipo. Un vero e proprio repertorio degli orrori, di cui le donne sono le prime vittime.
“Quando ci siamo accorti che non riuscivamo a seguire i bisognosi lontani dai centri abitati, ci siamo decisi ad aprire altri due centri più facilmente raggiungibili dalle zone rurali: uno a Uvira, una cittadina ai confini con il Burundi, e l’altro a Kamituga”.
Adesso il sogno di Colette, una donna di piccola statura, dagli occhi pieni di dolcezza, con un sorriso disarmante e ricca di una vitalità interiore poco comune, è quello di mandare a scuola i suoi ragazzi. La guerra ha interrotto infatti tutte le attività, comprese quelle dell’istruzione, un diritto già negato a tanti è diventato proibitivo per tutti.
Durante la sua permanenza di qualche mese in Italia la nostra amica ha avuto molti incontri, interviste, ha partecipato a convegni e dibattiti e non è mancato qualche segno di solidarietà concreta, anche senza che lei lo chiedesse. La sua infatti vuole essere principalmente una testimonianza concreta e diretta degli orrori che la guerra produce e lascia sul campo; ferite indelebili che solo l’amore può con pazienza lenire e parzialmente rimarginare. La sua presenza nel nostro paese ha avuto il grande merito di contribuire a far conoscere il dramma di un paese e della sua gente.
Trovandoci a contatto con Colette ci siamo resi conto che non esistono eroi, ma uomini e donne che hanno il coraggio di parlare, di agire e di affrontare la vita senza risparmiarsi, con i problemi, i timori e le insicurezze di tutti.

Colette Kitoga ripartirà per il Congo il 9 febbraio Chi volesse mettersi in contatto con lei, anche dopo questa data, può scrivere a : cocokifr@yahoo.fr oppure a cbuschi@rm.unicatt.it

Paola Luzzi

---

Le guerre globali: http://italy.indymedia.org/features/guerreglobali/

---

La febbre del coltan

Una sabbia nera luccicante e leggermente radioattiva, fino a qualche tempo fa il coltan valeva poco o niente.Oggi le sue quotazioni sono centuplicate e la sua estrazione in Africa ha scatenato una vera e propria corsa all'oro. Ma cosa c'è dietro il commercio del coltan? Questo articolo tratto da www.diario.it , aprile 2001 ci svela i retroscena.

---------------------------------------------------------------------------------

Metallo ricco mi ci ficco

Il coltan è una specie di sabbia nera radioattiva e preziosissima. È il nuovo business della Repubblica democratica del Congo. Senza, non esisterebbero telefonini, aerei e PlayStation2

di Marina Rini

KINSHASA. Martin Nkibatereza si alza, raccoglie la sua sabbia nera e la mette in un sacchetto di plastica. Sono almeno due ore che scava e spezza le rocce con il piccone sotto il sole cocente. Si asciuga il sudore della fronte con uno straccio lercio e lurido e si ripara all'ombra di un mango per consumare il suo pasto frugale: farina di manioca stemperata nell'acqua. Ciononostante l'uomo è contento. Sa che la sua fatica sarà ricompensata da un buon gruzzolo di dollari. Ha però un po' di paura. La zona è piena di ribelli che ogni tanto, specie quando sono ubriachi, attaccano sparando all'impazzata, senza un obiettivo preciso. Così, per seminare terrore tra i civili. Tutt'intorno ci sono uomini armati che guardano e controllano. L'area da proteggere è strategicamente importante, qui dalle miniere a cielo aperto si estrae il coltan, il minerale più ricercato del momento. Al calar del sole centinaia di uomini come Martin escono dalle buche scavate nel terreno e dalle lunghe trincee che tagliano le colline, trasportando con fatica i loro sacchi di plastica. Siamo nella giungla tropicale della Repubblica democratica del Congo, nella parte orientale del Paese, dove dall'agosto 1998 infuria la guerriglia. Da una parte ci sono i ribelli e i loro alleati, soldati ugandesi e ruandesi che occupano il territorio congolese, dall'altra le milizie hutu che sostengono il governo di Kinshasa. In palio ci sono le immense ricchezze del sottosuolo: oro, diamanti, rame e ora anche il coltan, un minerale raro che contiene tantalio e niobio (che un tempo di chiamava colombite). Per sfruttare le miniere ci si sono messi in tanti: sudafricani, americani inglesi e ora anche i russi e i kazaki, che fanno la parte del leone.

FINO A QUALCHE TEMPO FA NESSUNO LO VOLEVA.

Due volte alla settimana un uomo chiamato Pierre arriva in miniera e compra i sacchetti di sabbia nera a dieci dollari ciascuno. Nessuno di quelli che lo scavano sa perché quell'uomo sia così interessato ad acquistare fango. "Il coltan? Nessuno sa cosa cos'è", risponde Martin asciugandosi il sudore, "è utile?". "Il coltan", spiega il vecchio gestore delle miniere del Congo quando ancora si chiamava Zaire, "veniva sfruttato anche prima della Seconda guerra mondiale, ma è diventato strategico solo da qualche anno. Prima valeva pochissimo e nessuno voleva estrarlo. Spaccare le pietre sotto il sole non è un lavoro piacevole. Ora è richiestissimo dall'industria ultratecnologica e le concessioni si sono moltiplicate". A cosa serve il coltan? A vederlo così non somiglia a niente. Solo fango di sabbia nera con qualche debole scintilla di luce, come se fosse quarzo. Se gli si avvicina una calamita si attacca. In realtà il coltan è un minerale dall'importanza economica e strategica immensa. In particolare, spiegano gli esperti, serve a ottimizzare il consumo della corrente elettrica nei chip di nuovissima generazione. Nei telefonini, per esempio, o nelle telecamere o nei computer portatili dove il problema più difficile da risolvere è quello della durata delle batterie. I condensatori al tantalio permettono un risparmio energetico e quindi una maggiore versatilità dell'apparecchio. Questa la spiegazione ufficiale. Ma parlando con i commercianti che esportano il coltan viene fuori un'altra strana verità. Il coltan è radioattivo e contiene anche un bel po' di uranio. Non è forse che questo faccia gola più della tantalite? Il commerciante che regala una bustina di polvere di coltan a Butembo, nella parte nordorientale del Congo, quella per intendersi controllata dagli ugandesi, consiglia vivamente: "Non la tenga in tasca, per carità! La radioattività potrebbe danneggiare i suoi organi genitali". Oltre a essere l'ingrediente fondamentale nella costruzione dei nostri telefoni cellulari, il coltan è usato nell'industria aerospaziale per fabbricare i motori dei jet, oltre agli air bag, ai visori notturni, alle fibre ottiche. L'anno scorso quando in tutto il mondo occidentale la gente impazziva perché nei negozi la PlayStation 2 era introvabile, si era diffusa la voce che la vera ragione fosse la carenza sul mercato della sabbia nera che ogni giorno Martin Nkibatereza e i suoi colleghi estraggono dalle miniere nella foresta africana. Per alcuni mesi la guerra ha impedito il lavoro nelle miniere e il coltan non ha potuto raggiungere le sedi della sofisticata industria hi-tech. Il prezioso minerale è naturalmente anche la causa della guerra che sta devastando il Paese. I proventi della vendita del minerale servono infatti a pagare i soldati e ad acquistare nuove armi.

MORTI DI FATICA PER SFAMARE L'ESERCITO.

Il Congo orientale è la più grossa riserva al mondo di coltan, e in meno di due anni il valore del minerale è cresciuto a dismisura. Fino alla settimana scorsa i ribelli che controllano l'area hanno rivendicato il monopolio sulle esportazioni. "Siamo in guerra", argomenta Bizima Karaha, uno dei leader dell'Rcd, "dobbiamo mantenere i soldati e tutta la logistica a loro necessaria". "La realtà è che la popolazione lavora fino allo sfinimento fisico nelle miniere unicamente per sfamare l'esercito che ha trovato nel prezioso minerale un'inesauribile fonte di arricchimento", risponde Erik Kennes un economista belga che sta studiando le implicazioni economiche e politiche del "miracolo coltan". Prima della guerra il Kivu, la regione orientale del Congo, era un'area molto fertile e aveva la reputazione di essere il granaio del Paese. Riforniva di carne e verdure Kinshasa, la capitale distante 1.600 chilometri. Con l'occupazione ribelle il canale commerciale è stato definitivamente interrotto e la gente ha cominciato a chiudere tutte le attività, comprese quelle agricole e pastorali. Da febbraio a dicembre 2000 interi villaggi - si calcola oltre 10 mila persone - sono stati trasferiti nella zona dei giacimenti del coltan. L'organizzazione svizzera World Conservation Union ha lanciato un grido di allarme chiedendo alla comunità internazionale di boicottare il commercio del minerale. Secondo gli ambientalisti elvetici le miniere a cielo aperto congolesi stanno danneggiando l'ecosistema di due riserve naturali considerate universalmente protette dalla convenzione dell'Unesco World Heritage.

VITTIME TRA LE POPOLAZIONI INDIGENE.

Nei parchi nazionali di Kahuzi-Biega e Okapi si sono riversate migliaia di persone che stanno alterando l'equilibrio ecologico della foresta abbattendo alberi e uccidendo gli animali per nutrirsi. La febbre di questo nuovo oro nero ha già provocato un numero alto e imprecisato di vittime tra la popolazione indigena della tribù Mbuti, oltre all'uccisione di numerosi elefanti e alcune specie di gorilla. Quando alla Borsa di Londra il prezzo del minerale si è moltiplicato per dieci raggiungendo un picco di 400 dollari al chilo, i guerriglieri del ribelle Rassemblement Congolais pour la Democratie (Rcd), che governa la parte del Congo occupato dalle truppe ruandesi, ha persino ordinato di sospendere l'estrazione dell'oro per cercare il coltan. "Con la vendita dei diamanti riusciamo più o meno a guadagnare 200 mila dollari al mese", dichiara Adolphe Onusumba, presidente della fazione ribelle che controlla anche la regione diamantifera di Kisangani, "con il coltan arriviamo a guadagnare oltre un milione di dollari al mese". I soldi servono a pagare la logistica militare, il carburante degli automezzi e degli aerei, il cibo ai 40 mila soldati attestati su un fronte lungo 1.600 chilometri e, naturalmente, le armi. "In realtà solo una piccola parte di sabbia nera ha un certo valore", afferma Bernard, uno dei 19 comptoir, cioè compratori al dettaglio del Kivu, subito dopo aver chiuso il suo telefono portatile con cui stava parlando a un uomo d'affari tedesco, "una volta acquistati, i sacchetti vanno analizzati e ripuliti". Da qualche mese Bernard ha la tendenza a frenare gli acquisti. È una resistenza passiva, spiega, mostrando le carte che rivelano affari per poche migliaia di dollari. Il malcontento ha investito tutti i compratori locali del minerale da quando l'Rcd, fiutando il business, ha deciso di serrare le briglie e di imporre il monopolio sulle vendite all'estero. I commercianti locali dichiaravano di aver comprato 40 tonnellate al mese e su quelle pagavano le tasse mentre i dirigenti ribelli addetti alle finanze sapevano che ne rivendevano oltre 140 tonnellate in nero. Inoltre mentivano anche sul prezzo: sulla carta dichiaravano otto dollari al chilo, in realtà ne guadagnavano da 30 a 80, secondo la qualità. Dallo scorso novembre tutti i comptoir si sono visti annullare le loro licenze commerciali e sono stati obbligati a rivendere il coltan a una nuova società creata per l'occasione, la Société minière des Grands Lacs (Somigl), di cui il Rassemblement congolese detiene il 75 per cento del capitale. La Somigl versa nelle casse del gruppo di occupazione ribelle dieci dollari per ciascun chilo esportato. Nelle prime due settimane di attività la società ha già esportato più di 30 tonnellate di coltan, per un ricavo di 550 mila dollari, cifre da capogiro. La ragione ufficiale dell'istituzione di un regime di monopolio è quella di "combattere le frodi", controllando l'esportazione. Invece, secondo i comptoirs, i ribelli ruandesi intendono solo riempire le loro casse di denaro.

NIENTE DI NUOVO IN CONGO.

dall'inizio della guerra, nel 1998, tutti i belligeranti stranieri - compresi Zimbabwe, Angola e Namibia, amici del governo di Kinshasa - si sono buttati sulle enormi ricchezze del Congo. "È tornato il Congo di Leopoldo II. Chiunque può venire e prendere la sua parte", ironizza un prete cattolico di Goma. In effetti, prima dell'ordinanza sul monopolio delle esportazioni, i soldi gestiti dai compratori locali circolavano tra la popolazione. Oggi il milione di dollari mensile guadagnato nell'esportazione del coltan rimane solo a disposizione dei leader dell'Rcd. La rabbia dei commercianti è diventata ancora più forte quando i leader dell'Rcd hanno affidato la gestione e la direzione della Somigl a una donna ricca dal passato oscuro e la reputazione solforosa: Aziza Gulamali Kulsum, una meticcia araba e burundese di etnia hutu. Proprietaria di una fabbrica di sigarette a Bukavu, al confine con il Ruanda, la donna dirige anche la propria attività di comptoir con una catena di negozi che acquistano la preziosa sabbia nera direttamente dai minatori. Per anni Aziza è stata la principale finanziatrice della ribellione hutu in Burundi che dispone di basi segrete anche in Congo. La donna ha costruito un impero fondato su un gigantesco contrabbando di sigarette, oro, avorio, diamanti, armi, e ora anche di coltan. "Quando il prezzo del coltan è salito alle stelle", racconta il presidente dell'Rcd, "stavamo cercando una figura che potesse aiutarci a fare dei soldi e gestire il monopolio per il commercio del minerale. Abbiamo pensato subito a madame Gulamali perché conosce ogni canale legale e illegale di questo Paese. E poi da quando collabora con noi ha smesso di vendere le armi agli hutu". Dopo l'allontanamento della ribellione hutu dal Congo orientale, grazie all'occupazione dell'esercito tutsi ruandese, mascherato da ribellione interna, pare che la donna abbia deciso di prendere le distanze dai suoi vecchi amici ed entrare in affari con i nuovi leader venuti da Kigali.

CARNEFICI E VITTIME D'ACCORDO IN NOME DEL COLTAN.

Tuttavia i bene informati rivelano che la società di Aziza, la Shelimed, compra la sabbia nera da chiunque, anche dalle miniere controllate dagli attuali nemici dei suoi soci e dalle milizie hutu ruandesi che hanno bisogno di denaro contante per comprare i kalashnikov. Gli autori e le vittime del genocidio ruandese sembrano così aver inventato un modello di esistenza basato sul commercio. La leggendaria madame si interessa personalmente a tutto. È lei che controlla la merce e si assicura che la sabbia nera sia imbarcata a bordo di aerei protetti dalle squadre speciali dell'esercito ruandese, per essere esportato a Kigali. Nelle zone controllate dagli ugandesi, invece, il monopolio non è mai esistito. A Butembo, per esempio, operano sei grossi compratori stranieri, ufficialmente in concorrenza tra loro. Lo strano, però è che operano in sordina, discretamente. La visita in uno di questi uffici se da un lato lascia insoddisfatti, dall'altra sorprende. Gli impiegati stranieri, a parte un ugandese, sono tutti ex sovietici: russi o kazaki, forse, i quali non vogliono rivelare la loro identità. "Meglio che non le diciamo i nostri cognomi. Io sono Alexiei, lui è Misha. Niente di più. Viviamo in Sudafrica da anni e ora siamo qui solo per seguire il business del coltan". Ma chi lo compra? Solo alla fine di una conversazione che dura più di un'oretta si riesce a strappare a denti stretti: "Il Kazakistan". Informazioni riservate in possesso delle Nazioni Unite rivelano che in Kazakistan è diretta la maggior parte del coltan estratto da queste parti e che a organizzare il traffico sia addirittura la figlia del presidente kazako, Nursultan Nazarbaev, attraverso società di comodo e partner belgi. Particolare inquietante, la figlia di Nazarbaev è sposata con Vassili Mette, direttore generale della Ulba, la società kazaka che si occupa dell'estrazione e della raffinazione dell'uranio e che possiede uno degli impianti più grandi del mondo. Naturalmente non sarebbero estranei al traffico i familiari dei presidente ugandese Yoweri Museveni, e in particolare il fratello Salim Saleh, noto per avere lo zampino in qualunque affare poco pulito che coinvolga il suo Paese.

UN'INCHIESTA DELL'ONU.

Il traffico illegale di materie prime del Congo è diventato talmente drammatico che il Consiglio di sicurezza dell'Onu ha istituito una commissione di inchiesta che sta attualmente indagando sullo sfruttamento illegale delle risorse congolesi, tra cui il coltan, e del collegamento con il conflitto in corso. Un primo rapporto degli esperti delle Nazioni Unite è appena stato pubblicato rivelando che "le attività commerciali dei Paesi stranieri "invitati" da Kinshasa e "non invitati" presenti in Congo oltrepassano la qualifica di "sfruttamento illegale", ma sono diventate un vero e proprio "saccheggio sistematico" delle ricchezze del ricchissimo Paese. I destinatari finali sono, per ordine di importanza, i seguenti Paesi: Stati Uniti, Germania, Belgio e Kazakistan". Lo sfruttamento delle materie prime è una partita di poker che si gioca fra più fazioni su un campo in rovina. Ma fino a quando? A Bruxelles all'Istituto di studi internazionali sulla tantalite, frenano gli entusiasmi sulla frenesia attuale che circonda il miracoloso minerale. La crescita favolosa del prezzo del coltan nel 2000 è stata eccezionale, ma la tendenza attuale è un po' al ribasso. L'Africa deve fare i conti con la concorrenza dell'Australia e del Brasile, che stanno scoprendo giacimenti di colombite-tantalite. Difficile dire se la febbre del coltan rimarrà solo un miraggio. È certo però che la strana sabbia nera è un anello indispensabile della catena lucrativa che è alla base della cosiddetta new economy, e l'industria hi-tech continuerà a finanziare la più grande e sanguinosa guerra africana. Per il momento, senza sapere il perché, i contadini nella foresta congolese continuano a riempire i loro sacchetti di sabbia.