Candidato del centrosinistra alla presidenza della Provincia di Palermo è un personaggio che una sentenza (di assoluzione) descrive così: un percettore di tangenti che non si accontenta dei soldi, ma vuole anche la valigetta (Cartier) che li conteneva.
di Marco Travaglio
Se il mio vicino esce da casa mia con l’argenteria nelle tasche, io non aspetto la sentenza di Cassazione per gridare «al ladro» e per smettere di invitarlo a cena. Anche se poi magari lo assolvono, o non lo processano nemmeno. Se scopro che l’amministratore del mio condominio ha fatto la cresta sulle spese del riscaldamento a casa di un mio amico, io lo faccio cacciare prima che faccia la cresta pure ai miei danni. E non m’importa se il mio amico non lo denuncia, o se lo denuncia ma poi lo assolvono. perché, ben prima del piano penale, viene quello della decenza, della convenienza, della trasparenza e anche dell’etica (perdoni la parolaccia, professor Fiandaca). perché io posso consegnare una parte di me - dai miei sentimenti di amicizia all’amministrazione della mia casa - soltanto a persone di cui mi fido. E il rapporto fiduciario è tutto, soprattutto quando i rapporti privati diventano pubblici.
È curioso che persone a cui non affideremmo neppure il nostro condominio diventino ottime e abbondanti per gestire un comune, una provincia, una regione o addirittura l’intera nazione. Io non provengo dalla sinistra. Ciononostante, o forse proprio per questo, chi tradisce i lavoratori mi ripugna. E se scopro che c’è un ex sindacalista che una sentenza di tribunale definisce «collettore di una tangente» (350 milioni più valigetta Cartier) «disposto anche a concedere favori sindacali», io non lo invito a cena, non gli stringo la mano, non lo nomino amministratore del mio condominio, non lo voto, faccio il possibile per evitare che ricopra un incarico pubblico, e l’ultima cosa che mi passa per la testa è di fare il suo portaborse (Cartier) o il suo vice alla Provincia di Palermo, casomai lui ne diventasse il presidente.
Perché il problema, caro professor Fiandaca, al di là delle chiacchiere, è solo questo: Cocilovo quei soldi li ha presi o no? Lui dice di no, e ha il pieno diritto di proclamarsi innocente. Si dà il caso però che quattro pubblici ministeri, un gip e tre giudici del tribunale di Palermo non gli abbiano creduto. Hanno creduto all’imprenditore Domenico Mollica, che ha confessato decine e decine di mazzette, compresa quella a Cocilovo. E per questa sua confessione ha rimediato una condanna in primo grado a 3 anni per corruzione. La sentenza, emessa appena 8 mesi fa, dimostra «l’attendibilità intrinseca delle dichiarazioni di Mollica», «solidamente riscontrate», pienamente confermate dal professor Alessandro Musco, consulente dell’ex presidente della Regione Rino Nicolosi, amico e frequentatore abituale di Cocilovo, che accompagnò Mollica nella missione della valigetta nell’ufficio di Cocilovo. L’unica versione ritenuta assurda e inattendibile è proprio quella di Cocilovo, che fra l’altro - scrivono sempre i giudici - «ha prospettato due versioni differenti» di quell’incontro, cadendo in contraddizione.
Ergo, «l’esame del Cocilovo non solo non ha offerto elementi tali da far dubitare dell’attendibilità del Mollica; ma, per il minor grado di verosimiglianza della ricostruzione offerta, contribuisce a rafforzare il convincimento del Collegio circa la piena fondatezza della contestazione». Dunque «risulta confermato che il contributo fu realmente consegnato» e che si trattava di una «dazione a causa mista»: «da un lato era diretta a remunerare i favori del Nicolosi, dall’altro mirava anche a risolvere le questioni sindacali nel cantiere ragusano» di Mollica. Dove gli scioperi Cisl, dopo il pagamento, si spensero d’incanto.
Ma, se fosse stato soltanto per «la compravendita della pace nel cantiere», quella tangente non sarebbe stata neppure reato, e nÈ Mollica nÈ Cocilovo sarebbero stati mai nÈ inquisiti nÈ imputati. Ricordano i giudici che la «corruzione sindacale» è «priva di immediati risvolti penali ma ugualmente riprovata sul piano sociale e giuridico come grave comportamento antisindacale».
Una sentenza garantista, quella di Palermo. Infatti Cocilovo ne esce assolto, pur con la formula dubitativa del comma 2 dell’articolo 530: la stessa di Andreotti, Mannino, Musotto eccetera. E non, come in quei casi, per insufficienza di prove. Ma soltanto per un motivo tecnico: la riforma del cosiddetto "giusto processo", intervenuta nel 1999 (ben dopo i fatti), che ha provocato l’inutilizzabilità della confessione («del tutto attendibile e mai rimessa in discussione») di Mollica, a causa del suo silenzio in aula e del rifiuto opposto dalla difesa Cocilovo a consentirne l’acquisizione. Senza il silenzio di Mollica - spiegano i giudici - la «prova sarebbe stata senz’altro sufficiente ai fini della condanna di tutti e tre gli imputati». Invece due vengono assolti e solo uno, Mollica, condannato. Anche se questo «fatto fra i fatti», in un più «generale quadro di corruzione sistematica», è provato per tutti e tre. E questo lo chiamano "giusto processo".
Può darsi che, non essendo io un luminare del diritto, abbia sbagliato a leggere o a interpretare la sentenza. Perciò ho deciso di pubblicarla sul numero di MicroMega in edicola da ieri: così ciascuno può leggerla, discuterla, farsi un’idea su chi dice la verità e chi racconta frottole. Sarebbe un’ottima cosa se il ticket Cocilovo-Fiandaca la distribuisse alla gente insieme ai santini elettorali, sempre in nome della massima trasparenza.
perché, se si dovesse scoprire che sono il professor Fiandaca e i suoi amici a non averla letta bene, o a non averla letta per niente, allora farebbero bene a leggerla. E poi magari a confrontarsi con i «fatti» in essa contenuti. Nessuno di noi fa il giudice o l’avvocato. Io faccio il cronista, altri i professori, tutti siamo cittadini ed elettori. E sono i fatti, le azioni, i comportamenti dei candidati che ci devono interessare: indipendentemente dalla loro rilevanza penale o dalla utilizzabilità delle prove in tribunale. Forse, se Cocilovo avesse querelato Mollica e Musco (7 anni fa, quando confessarono tirandolo in ballo) anzichÈ un giornalista «reo» soltanto di aver pubblicato una sentenza del Tribunale di Palermo, sarebbe un tantino più credibile. Anche perché restano da chiarire un altro paio di particolari.
1) Cocilovo e i suoi fans insinuano che Mollica avrebbe confessato una tangente mai pagata solo per incastrare Cocilovo: e allora perché si sarebbe beccato 3 anni per corruzione, giocandosi le attenuanti generiche proprio per salvare, con il suo silenzio in aula, Cocilovo? 2) In una vergognosa intervista al Foglio (in cui mi definisce «sicario» di chissà quali «mandanti»), Cocilovo parla di sentenza «definitiva»: strano, perché ad altri giornali, nei giorni precedenti, aveva giurato di aver interposto appello (ammettendo così che il verdetto di primo grado era tutt’altro che l’assoluzione plenaria o liberatoria che vuole far credere).
A questo punto il dibattito sulle cosiddette "primarie" palermitane diventa secondario, quasi accessorio. Anche se qualcuno prima o poi dovrà spiegare che razza di primarie siano quelle in cui si assegna agli iscritti ai partiti (in rappresentanza di 500 mila persone in tutta Italia) la stessa quota di partecipanti che si assegna ai non iscritti (che sono, per l’Ulivo, 15-20 milioni di persone su scala nazionale): non la racconti all’estero, questa storia, professor Fiandaca, se no le ridono dietro. Ma torniamo al punto: un sindacalista che tradisce i lavoratori è come un giudice che si vende le sentenze e un giornalista che si vende gli articoli. A che cosa si è ridotta questa sinistra, se sciopera sull’articolo 18 e poi passa sopra persino a cose del genere?
Sarò fatto male, ma credo che l’impegno politico non sia una carriera, un diritto, un obbligo, una sinecura. La politica è un onore che bisogna conquistarsi rispettando qualche requisito in più di quelli richiesti per circolare a piede libero. L’incensuratezza dà diritto a non entrare in galera, non a entrare in politica. Per entrare in politica bisogna essere incensurati, certo, ma anche insospettati e insospettabili. E questo vale per tutti: per Berlusconi e per i suoi amici, come per i loro oppositori. Direi soprattutto per i loro oppositori, se vogliono essere davvero diversi. Io non voglio avere un presidente del Consiglio che ha avuto rapporti con mafiosi stragisti e massoni piduisti, che s’è tenuto in casa un boss per due anni scambiandolo per uno stalliere, che ha giurato il falso in tribunale sulla P2, pagato tangenti da 21 miliardi a Craxi e guidato un’azienda che corrompeva stabilmente la Guardia di finanza: tutte condotte accertate da altrettante sentenze definitive, nelle quali Berlusconi è sempre uscito prosciolto, o prescritto, o amnistiato (e mai, per la verità, per il motivo tecnico dell’inutilizzabilità degli atti). Eppure, per quel che mi riguarda, uno così non dovrebbe fare nemmeno l’assessore circoscrizionale ad Arcore.
Allo stesso modo, non vorrei essere rappresentato da un deputato regionale che parla con mafiosi consigliandoli di guardarsi dagli «sbirri» ( i carabinieri). Anche se questo non è reato. Io non voglio essere governato da viceministri con lo spacciatore di fiducia, anche se questo non è reato. Io non voglio un presidente della provincia nella cui casa al mare veniva ospitato il pluriassassino latitante Leoluca Bagarella, anche se una sentenza l’ha assolto perché era tutta colpa del fratello e lui quando andava al mare non aveva mai riconosciuto il gradito ospite. Io vorrei vivere in un paese, come l’Inghilterra, dove il capo dei conservatori in parlamento viene cacciato dai suoi colleghi per la dubbia provenienza di una ricevuta d’albergo della figlia dell’ammontare di 3 milioni di lire, prim’ancora di essere arrestato e condannato. O come gli usa, dove un deputato viene espulso dal Congresso perché coinvolto in un sospetto caso di corruzione. O come la Germania, dove un gigante della storia come Kohl finisce la sua carriera per un contributo irregolare (ma nemmeno illecito) di 3 miliardi al suo partito. E penso che molti cittadini abbiano aderito con entusiasmo ai movimenti e ai girotondi proprio perché sognano anche loro una politica così. Il professor Fiandaca è liberissimo di accusarmi di «moralismo giudiziario estremistico» e di istruire un «tribunale improprio del sistema mediatico». Ma poi deve accettare le conseguenze di ciò che dice. Gli piace Cocilovo? Benissimo. Ma allora si tenga anche Berlusconi, Previti e tutti gli altri presunti innocenti, sicuri indecenti. Chi ci sta si accomodi. Io scendo, auguri.