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    Predefinito Omaggio a Giovannino Guareschi: convegno a Rimini il 31 maggio 2003

    IL CENTRO STUDI "GIUSEPPE FEDERICI" CON IL PATROCINIO DEL CONSIGLIO REGIONALE DELL'EMILIA-ROMAGNA PRESENTA IL CONVEGNO

    "OMAGGIO A GIOVANNINO GUARESCHI"

    CHE SI TERRà SABATO 31 MAGGIO 2003 ALLE ORE 16.00 PRESSO LA SALA DEL GIUDIZIO (MUSEO DELLA CITTà) IN VIA TONINI,1 A RIMINI

    PROGRAMMA

    ORE 16.00 SALUTI E PRESENTAZIONE DEL CONVEGNO
    0RE 16.30 DOTT. MARCO FERRAZZOLI, GIORNALISTA E SCRITTORE "GUARESCHI E IL GIORNALISMO"
    ORE 17.00 PROF. ANDREA ROGNONI "GUARESCHI E LA SUA TERRA"
    ORE 17.30 DON UGOLINO GIUGNI I.M.B.C. "GUARESCHI E IL CONCILIO"
    ORE 18.00 DIBATTITO CON LA PARTECIPAZIONE DI ALBERTO E CARLOTTA GUARESCHI, FIGLI DELLO SCRITTORE

    UNA GRAN BELLA INIZIATIVA DEDICATA ALLO SCRITTORE ANTICOMUNISTA E ANTIMODERNISTA CHE SEPPE COGLIERE, PUR TRA MILLE INCERTI BALUGINII, ERESIE E CONSEGUENTI GUASTI DEL "VATICANO II".
    QUESTO DIVENTERà UN PICCOLO THREAD PERMANENTE GUARESCHIANO, PER RACCOGLIERE LE IMMAGINI E GLI SCRITTI MIGLIORI DI QUESTO GRANDE SCRITTORE.

    UN SALUTO A TUTTI

    GUELFO NERO


  2. #2
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    Predefinito DAL FILM "DON CAMILLO" UN BOZZETTO GUARESCHIANO



    DON CAMILLO CERCA DI FORZARE IL BLOCCO DELLE STALLE, IN SEGUITO AD UNO SCIOPERO INDETTO DAI COMUNISTI, PER SALVARE LA VITA ALLE MUCCHE DA LATTE.
    PEPPONE LO ATTENDE ARMATO MA ALLA FINE LO AIUTERà NELL'IMPRESA.

  3. #3
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    Predefinito Lettera a don Camillo

    « Reverendo,
    spero che questa mia raggiunga il remoto esilio montano nel quale l’ha confinata quella Sua irruenza che non diminuisce davvero col crescere degli anni.
    Conosco la storia che è incominciata quando il compagno sindaco, Peppone, ha preso a salutarLa in pubblico: “Buon giorno, compagno Presidente!”
    Poi è venuto a farLe visita in canonica assieme allo Smilzo, al Bigio e al Brusco per dirLe che, siccome intendeva abbellire la Casa del Popolo con un bel balcone per i di-scorsi, avrebbe volentieri acquistato le colonnine
    di marmo della balaustra dell’Altar maggiore, nonché i due angeli alloggiati ai lati del Tabernacolo. Questi, Le disse (se il mio informatore è veritiero) avrebbe voluto sistemarli sopra l’arco del portone d’ingresso, per adornare l’emblema del PCI.
    Don Camillo, Lei staccò dal muro la doppietta e la spianò davanti a Peppone e soci facendo loro trovare rapidamente la via della porta. Ma, creda, non fu una risposta, da buon giocatore.
    Lei è nei guai fino agli occhi, Reverendo, ma stavolta il torto è tutto Suo. Il giovane curato che i Suoi Superiori Le hanno inviato per istruirLa sul Rito Bolognese e per aiutarLa ad aggiornare la chiesa, non è un Peppone qualsiasi e Lei non poteva trattarlo così.
    Egli veniva da Lei con un mandato preciso e, siccome la sua chiesa non ha nessun particolare valore artistico o turistico, il giovane quanto degno sacerdote aveva il pieno diritto di pretendere l’abbattimento della balaustra e dell’Altare, l’eliminazione delle cappellette laterali e delle nicchie coi loro ridicoli Santi, nonché dei quadretti ex voto, dei candelabri e, insomma, di tutta l’altra paccottiglia di latta, di legno e di gesso dorati che, fino alla Riforma, trasformavano le chiese in tanti retrobottega da robivecchi.
    Lei, Don Camillo, aveva pur visto alla Televisione il “Lercaro Show” e la concelebrazione della Messa con Rito Bolognese. Aveva ben visto la suggestiva povertà dell’ambiente e la toccante semplicità dell’Altare ridotto a una proletaria tavola. Come poteva pretendere di piazzare in mezzo a quell’umile Sacro desco un arnese alto tre metri come il Suo famoso (quasi famigerato) Cristo Crocifisso cui Lei è tanto affezionato?
    Lei aveva pur visto alla TV, qualche giorno dopo, com’era apparecchiata la sacra Mensa attorno alla quale il Papa e i nuovi Cardinali hanno concelebrato il Banchetto Eucaristico. Non s’era accorto che il Crocifisso situato al centro della Tavola era tanto piccolo e discreto da confondersi coi due microfoni?
    Non aveva visto, insomma, come tutto, nella Casa di Dio, deve essere umile e povero in modo da far risaltare al massimo il carattere comunitario dell’Assemblea Liturgica
    di cui il Sacerdote è soltanto un con celebrante con funzioni di Presidente?
    E non aveva sentito, nel secondo “Lercaro Show” televisivo (rubrica “Cordialmente”), quanto siano soddisfatti, addirittura entusiasti i fedeli petroniani per la nuova Messa di Rito Bolognese?
    Non ha visto come erano tutti eccitati, specialmente i giovani e le donne, dal piacere di concelebrare la Messa invece di assistervi passivamente, subendo il sopruso del misterioso latino del Celebrante, e dalla legittima soddisfazione di non doversi umiliare più inginocchiandosi per ricevere l’Ostia e di poterla deglutire in piedi, trattando Dio da pari a pari come ha sempre fatto l’onorevole Fanfani?
    Don Camillo: quel giovane prete aveva ragione e si batteva per la Santa Causa perché l’aggiornamento è stato voluto dal Grande Papa Giovanni affinché la Chiesa “Sposa di Cristo, potesse mostrare il suo volto senza macchia né ruga”.
    È la Chiesa che, fino a ieri semplicemente Cattolica e Apostolica, diventa (ricordi sempre Lercaro) “Chiesa di Dio”. E lei, Don Camillo, è rimasto indietro di qualche secolo; Lei è ancora fermo all’ultimo Papa medievale, a quel Pio XII che oggi viene pubblicamente svillaneggiato dai palcoscenici con la approvazione (vedi la rappresentazione del Vicario a Firenze) degli Studenti Universitari Cattolici, e che, quando il produttore avrà ottenuto la sovvenzione statale verrà svillaneggiato anche dagli schermi e dai teleschermi.
    Don Camillo: non se n’è accorto nemmeno assistendo, attraverso la TV, alla consacrazione dei nuovi Cardinali?
    Non ha sentito gli applausi fragorosi a scena aperta rivolti al neo Cardinaleoperaio Cardin?
    Non ha udito il Reverendo Presentatore televisivo precisare che il neo Cardinale cecoslovacco Beran è semplicemente uscito dal suo “stato d’isolamento”?
    Don Camillo, non s’è accorto come le Superiori Gerarchie della Chiesa evitino di parlare di quel Cardinale Mindszenty d’Ungheria che, con riprovevole indisciplina, persiste nell’ignorare la Conciliazione fra Chiesa Cattolica e Regime Sovietico e nel ricusare di tributare il dovuto omaggio al cosiddetto “Comunismo Ateo”, ritenendo addirittura valida una Scomunica Papale che è oggi motivo di riso in tutti gli Oratori parrocchiali?
    Don Camillo perché si rifiuta di capire?
    Perché, quando il giovane prete inviatoLe dalla Autorità Superiore Le ha spiegato che bisognava ripulire la chiesa e vendere angeli, candelabri, Santi, Cristi, Madonne e tutte le altre paccottiglie fra le quali anche il Suo famoso Cristo crocifisso, perché, dico, Lei lo ha agguantato per gli stracci sbatacchiandolo contro il muro?
    Non ha capito che sono in gioco i basilari principi dell’Economia? Che sono in gioco miliardi e miliardi e la stessa sacra Integrità della Moneta?
    Quale famiglia “bene”, oggi, vorrebbe privarsi del piacere di adornare la propria casa con qualche oggetto “sacro”? Chi può rinunciare ad avere in anticamera un San Michele adibito ad attaccapanni, o in camera da letto una coppia d’angeli dorati come lampadario, o, in soggiorno, un Tabernacolo come piccolo bar?
    Don Camillo, la Moda è una potenza che muove migliaia di fabbriche e migliaia di miliardi: la Moda esige che ogni casa rispettabile possegga qualche oggetto “sacro” e la ricerca è rabbiosa tanto che, se non immetteremo nel mercato dell’arredamento Santi, Angeli, pale d’altare, candelabri, crocifissi, Tabernacoli, Cristi, Madonne e via discorrendo,
    i prezzi raggiungeranno cifre iperboliche. E ciò pregiudicherà la sacra Integrità della Lira, onorata dagli stranieri con l’Oscar delle Monete.
    La Chiesa non può più estraniarsi dalla vita dei Laici e ignorarne i problemi.
    Don Camillo, non mi faccia perdere il segno. Lei, dunque, è nei guai ma la colpa è tutta Sua.
    Sappiamo ogni cosa: il pretino inviatoLe dai superiori, Le ha proposto, demolito il vecchio Altare, di sostituirlo non con una comune Tavola come quella del “Lercaro Show”, ma col banco da falegname che il compagno Peppone gli aveva vilmente fatto offrire in dono suggerendogliene l’utilizzazione. E ciò ricordando che il Padre Putativo di Cristo era falegname e che il piccolo Gesù, da bambino, spesso lo aveva aiutato a segare e piallare tavole.
    Don Camillo: si tratta di un prete giovane, ingenuo, pieno di commovente entusiasmo. Perché non ne ha tenuto conto e l’ha cacciato fuori dalla chiesa a pedate nel sedere?
    Bel risultato, don Camillo. Adesso, nella Sua chiesa, c’è il pretino che fa quel che gli pare e Lei si trova confinato quassù, nell’ultima miserabile parrocchia della montagna. Un paese senza vita perché uomini, donne e ragazzi validi sono tutti a lavorare all’estero e qui abitano soltanto i vecchi coi bambini più piccoli.
    E Lei, Reverendo, ha dovuto sistemare la chiesa secondo le nuove direttive e poi, dopo aver concelebrata la prima Messa con Rito Bolognese, si è sentito dire dai vecchi che, fino a quando Lei rimarrà in Paese, loro non verranno più a Messa.
    Don Camillo, le cose si vengono a sapere. Lei, ricordando le parole del pretino, ha spiegato perché, adesso, la Messa deve essere celebrata così e il vecchio Antonio Le ha risposto:
    “Ho novantacinque anni, e per quel pocoo tanto che ho ancora da vivere, mi basta la scorta di Messe in latino che mi son fatta in novanta anni”.
    “Roba da matti”, ha aggiunto la vecchia Romilda. “Questi cittadini vorrebbero farci credere che Dio non capisce più il latino!”
    “Dio capisce tutte le lingue”, ha risposto Lei, “la Messa viene celebrata in italiano perché dovete capirla voi. E, invece di assistervi passivamente, voi partecipate al sacro rito assieme al sacerdote”.
    “Che mondo!” ha ridacchiato Antonio. “I preti non ce la fanno più a dire la Messa da soli e vogliono farsi aiutare da noi! Ma noi dobbiamo pregare, durante la Messa!”
    “Appunto; così, pregate tutti assieme col prete”, ha tentato di spiegare Lei. Ma il vecchio Antonio ha scosso il capo:
    “Reverendo, ognuno prega per conto suo. Non si può pregare in comuniorum. Ognuno ha i suoi fatti personali da confidare a Dio. E si viene in chiesa apposta perché Cristo è presente nell’Ostia consacrata e, quindi, lo si sente più vicino. Lei faccia il suo mestiere, reverendo, e noi facciamo il nostro. Altrimenti se lei è uguale a noi, a che cosa serve
    più il prete? Per presiedere un’assemblea sono capaci tutti. Io non sono forse presidente della cooperativa boscaioli? E poi: perché ha portato via dalla chiesa tutte le cose che avevamo offerto a Dio noi, coi nostri sacrifici? Per scolpire quel Sant’Antonio di castagno che lei ha portato in solaio mio padre ci ha messo otto anni. Si capisce che lui non era un artista, ma ci ha impiegato tutta la sua passione e tutta la sua fede. Tanto è vero che, siccome lui e la mia povera madre non potevano avere figli, appena finita e benedetta la statua, Sant’Antonio gli ha fatto la grazia e sono nato io. Se lei vuole fare la rivoluzione la vada a fare a casa sua, reverendo”.
    Don Camillo, io capisco quello che Lei ha dovuto provare. Ma la colpa è Sua, se si è invischiato in questi guai.
    Ad ogni modo, io non Le scrivo solo per dirLe cose cattive, ma per confortarla un po’.
    Il pretino che è ora al Suo posto ha già smantellato la chiesa. Non ha installato al posto dell’Altare il banco da falegname bensì un normale tavolo perché con bel garbo, le Superiori Autorità gli hanno fatto capire che, pure essendo l’idea bellissima e nobilissima, questa preferenza data alla falegnameria avrebbe potuto offendere i fabbri e gli altri artigiani.
    Balaustra, angeli, candelabri, ex voto, statue di Santi, Madonnine, quadri e quadretti, Tabernacolo e tutti gli altri arredi sacri sono stati venduti e il ricavato è servito a sistemare in chiesa l’Altare nuovo, il radiogrammofono stereofonico, i microfoni, gli altoparlanti, l’impianto di riscaldamento, eccetera.
    Anche il suo famoso Cristo è stato venduto perché troppo ingombrante, incombente, spettacolare e profano. Però metta il cuore in pace: tutta la roba non è andata lontano. L’ha comprata il vecchio notaio Piletti, che l’ha portata e sistemata nella cappella privata della sua villa del Brusadone.
    Lei sa che, per quanto mi conosca come un bieco reazionario nemico del popolo, Peppone con me si lascia andare e m’ha fatto capire che sarebbe disposto a trattare. Vorrebbe, in cambio della balaustra, il mitra che Lei gli ha sottratto nel 1947. Dice che non ha la minima intenzione di usarlo perché ormai anche lui è convinto che i clericali riusciranno a fregare i comunisti mandandoli al potere senza dar loro la soddisfazione di fare la rivoluzione. Lo rivuole perché è un ricordo.
    Don Camillo, io sono certo che quando Lei fra poco tornerà (e La faranno tornare presto perché, adesso, in chiesa ci vanno soltanto, e solo per far dispetto a Lei, Peppone, lo Smilzo, il Brusco e il Bigio) Lei troverà tutte le Sue care cianfrusaglie perfettamente sistemate nella chiesetta del notaio.
    E potrà celebrare una Messa Clandestina per pochi Suoi amici fidati.
    Una Messa in latino, si capisce, con tanti oremus e kirieleison. Una Messa all’antica, per consolare tutti i nostri Morti che, pur non conoscendo il latino, si sentivano, durante la Messa, vicini a Dio, e non si vergognavano se, udendo levarsi gli antichissimi canti, i loro occhi si riempivano di lacrime. Forse perché allora il Sentimento e la Poesia non erano
    peccato e nessuno pensava che il dolce, eternamente giovane volto della Sposa di Cristo potesse mai mostrare macchie o rughe.
    Mentre oggi Essa si presenta a noi dal video profano, col volto sgradevole e antipatico del Cardinale Rosso di Bologna e dei suoi fidi attivisti, gentilmente concessi alla Curia dalla locale Federazione Comunista.
    Don Camillo, tenga duro: quando i generali tradiscono, abbiamo più che mai bisogno della fedeltà dei soldati.
    La saluto affettuosamente e Le mando, per Sua consolazione, una immaginetta del Molto Reverendo Pietro Nenni, esperto in Encicliche Papali, chiamato da amici ed estimatori Peter Pan e Salam ».

    Il Suo parrocchiano
    Guareschi»

    (da Il Borghese anni 1961-68)

  4. #4
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    IL BELLISSIMO BRANO POSTATO DA THEOPHILUS NON ABBISOGNA DI COMMENTO.

    RINGRAZIO L'AMICO THEO PER IL BEL DONO CHE CI HA FATTO

    GUELFO NERO

  5. #5
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    Predefinito PROGRAMMA DEFINITIVO DEL CONVEGNO

    Centro studi Giuseppe Federici, in collaborazione con il Quartiere 1 di Rimini,
    sabato 31 maggio 2003 alle ore 16 alla "Sala del Giudizio" del Museo della Città
    in Via Tonini n. 1 a Rimini organizza il convegno sul tema:


    "OMAGGIO A GIOVANNINO GUARESCHI"


    Programma del convegno:

    - ore 16,00 Saluti e presentazione del convegno

    - ore 16,30 Dott. Marco Ferrazzoli, giornalista e scrittore: ³Guareschi e il giornalismo²

    - ore 17,00 Prof. Andrea Rognoni, direttore del ³Centro di Cultura Lombarda²: ³Guareschi e la sua terra²

    - ore 17,30 Don Ugolino Giugni, dell¹Istituto Mater Boni Consilii: ³Guareschi e il Concilio²

    - ore 18,00 dibattito con la partecipazione di Alberto e Carlotta Guareschi, figli dello scrittore, che saranno a disposizione per le domande del pubblico

    Con il patrocinio del Consiglio regionale dell¹Emilia-Romagna



    Con il patrocinio del Comune di Rimini



    Con il contributo del Progetto Ariete - ARIES (Associazione Ricerche Iconografiche e Storiche)
    __________________________________

    Per informazioni: Centro studi Giuseppe Federici
    via Sarzana 86, 47828 San Martino dei Mulini (RN)
    Tel. 0541.758961 - Fax 0541.757231
    E-mail: centrostudi.federici@libero.it

  6. #6
    Eretico Arrosto!!!
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    Guareschi era un grande, davvero.
    Guardate che manifesti elettorali: stupendi!!!

  7. #7
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    Io sono "culturalmente" cresciuto a "Don Camillo e Peppone", e Guareschi è sicuramente fra i miei autori preferiti. Il suo umorismo, stile, acume non hanno forse pari nella letteratura contemporanea. D'altronde, non bisogna dimenticare che lo stesso Guareschi, seppur a malincuore, ha accettato il Concilio Vaticano II. Ai margini della caricaturale figura del sacerdote Don Chichi (Don Camillo e Don Chichi) , prete animato da buone intenzioni sociali ma privo di una rigida disciplina interiore e quindi di una sana gerarchia di valori, Giovannino fa pronunciare al Cristo dell'altare parole di giustificazione del Vaticano II, affinchè Don Camillo, chiaramente legato al "piccolo mondo antico" disegnato da una potente tradizione, possa comprendere che gli esiti conciliari non hanno intaccato la sostanza della fede. Vero è che forse neanche Guareschi credeva pienamente che in Vaticano fossero state semplicemente introdotti rilievi puramente formali, e che in ogni caso morì prima d'assistere ai veri frutti del Concilio. E' sicuro che il suo legame con la tradizione fosse davvero profondo, ma ciò non toglie che rifiutò di prendere posizione (almeno per quanto ne so io) contro la frattura che si era appena creata in seno alla tradizione stessa.

  8. #8
    cattolico refrattario
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    Giovannino Guareschi & L'Embrione

    di Mario Palmaro

    Con Giovannino Guareschi le sorprese non finiscono mai. Basta frugare con un po’ di amore e di passione nel meraviglioso archivio di Roncole Verdi — curato con pazienza certosina da Carlotta e Albertino Guareschi — e capita di ritrovarsi fra le mani un inedito dello scrittore della Bassa. Un racconto mai pubblicato finora, per motivi di censura. O meglio, di autocensura. E il fatto più sconcertante è che in quel racconto, scritto da Guareschi il 23 marzo 1967, si parla dei diritti dell’embrione. Anzi, lo scrittore della Bassa fa molto di più: mette al centro della narrazione un bambino non nato, e gli lascia la parola. Per dichiarare e difendere i suoi diritti traditi. Con incredibile lungimiranza, Guareschi anticipa di parecchi anni tutto il dibattito bioetico sullo stato giuridico dell’embrione, in un’epoca in cui fecondazione in vitro, clonazione e manipolazione genetica erano ancora vocaboli sconosciuti.
    Nel 1967, quando “il padre” di Peppone e don Camillo scrive questo racconto, in Italia l’aborto è ancora un reato, e il divorzio non esiste, anche se il dibattito comincia ad accendersi. Nonostante le condizioni di salute non siano le migliori — ha il cuore in disordine e l’ulcera che lo tormenta — Guareschi continua a lavorare alacremente, e ad annotare con l’abituale meticolosità i suoi impegni, registrandoli in un lunario. Un po’ come ai tempi della prigionia in Germania, documentata nel Diario clandestino. Accanto al giorno 23 di marzo, nel calendario Giovannino annota di aver inviato il racconto al settimanale “Oggi”, e subito dopo scrive un “No” con tanto di punto esclamativo. Il direttore del periodico Rizzoli, Vittorio Buttafava, seppure a malincuore, ha deciso di non pubblicare la storia destinata alla rubrica “Telecorrierino delle famiglie”. Scrive Buttafava: “Caro Guareschi, al momento di impaginare il tuo ultimo pezzo mi è mancato il coraggio. Figurati se non condivido le tue opinioni, ma come posso pubblicare su questo giornaletto per famiglie un attacco così provocatorio verso i magistrati?”. Il direttore di “Oggi” si riferisce al “vecchio signore in toga intento a consultare certe carte” di cui si parla nel racconto, e che Guareschi definisce un usciere, ma che in realtà incarna proprio la magistratura.
    L’obiettivo della satira guareschiana è, questa volta, la normativa sul delitto d’onore: Giovannino non riesce ad accettare la logica che tende a giustificare l’omicidio compiuto dal coniuge tradito. Soprattutto quando a fare le spese dell’odio e della violenza è un innocente, il più innocente e indifeso essere umano: il nascituro. “Un bambino piccolo piccolo — scrive Guareschi — che pareva fatto d’aria”. E ancora: “Ammazzando mia madre, mio padre ha ammazzato anche me. E di questo si doveva tener conto!”. Buttafava decise di cestinare il racconto, ma il primo a soffrirne fu proprio lui: “Mi spiace usarti una scortesia proprio a Pasqua (quell’anno si celebrò il 26 marzo, ndr), mentre dovrei mandarti centomila auguri e ringraziamenti, ma come posso rischiare così? “Oggi” è sotto milioni di occhi spesso malevoli; i più malevoli (detto tra noi) sono all’interno della stessa Rizzoli”. E qui Buttafava sembra alludere in particolare a un importante giornalista che non vedeva di buon occhio la collaborazione di Guareschi con la Rizzoli.
    Giovannino sarebbe morto un anno dopo a Cervia, una mattina di luglio, tradito dal suo grande cuore.

    Mario Palmaro

    (in Avvenire, 15/06/1997)

  9. #9
    cattolico refrattario
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    Giovannino Guareschi



    LA MESSA CLANDESTINA

    «Questo non significa niente d’anormale,» affermò il signor Bianchi. «Anzi è la riprova di un dato di fatto universalmente risaputo: il popolo emiliano e romagnolo è generoso, passionale e di sanissimi principi morali.»
    Gypo, come al solito, sghignazzò.
    Il tema della discussione era stato fornito, quella settimana, dalla conclusione del famoso processo di Bologna, che la signora Bianchi aveva trovato insoddisfacente sia perché era rimasto semplicemente indiziario, sia per la feroce e furibonda ostilità dimostrata dai bolognesi nei riguardi dell’imputato.
    «Mi meraviglio, Maria,» aveva osservato il signor Bianchi. «Tu, moglie e madre, parteggi per un uomo che ha assassinato la madre dei suoi figli.»
    «Io parteggio per la verità,» aveva replicato la signora Bianchi. «Se io fossi stata nella giuria popolare, avrei votato senza esitare per la non colpevolezza. E non mi sarei certo impaurita come è successo a quella donna-giurato che, all’udienza finale, è stata sostituita.»
    «Nigrisoli è un tipo tremendamente antipatico!» affermò la Giusy.
    «Sì,» ammise la signora Bianchi. «Questa era una delle sue più gravi colpe. L’altra, gravissima, era quella d’aver scelto come difensore un avvocato come Delitala che viene chiamato il ‘‘professore’’ proprio perché è in grado di impartire lezioni di Diritto a tutti. E non perde occasione per farlo, approfittando della sua grande cultura specifica e della sua eccezionale abilità dialettica. Ci sono dei processi nei quali il principale obiettivo è quello di battere l’avvocato difensore. E chi ci rimette è l’imputato. In quanto alla generosità del nobile popolo bolognese, basta l’episodio finale del bravo dozziano che, alle 22,15, appena conosciuta la sentenza, telefona alla madre del Nigrisoli: ‘‘Ho il piacere di annunciarle che suo figlio è stato condannato all’ergastolo’’. Non parliamo poi della generosa dozziana che ha dato una pedata in uno stinco a quella Azzali.»
    «Maria, spero che non ti metterai dalla parte d’una ragazza che pratica un uomo sposato!» urlò il signor Bianchi. «Questa è immoralità.»
    «Non si tratta né d’immoralità né di moralità, ma di semplice moralismo,» precisò la signora Bianchi. «Se tutte le bolognesi che hanno praticato o praticano un uomo sposato dovessero ricevere una pedata in uno stinco, Bologna non si chiamerebbe più ‘‘la Dotta’’, ma ‘‘la Zoppa’’.»
    «E poi,» aggiunse la Giusy, «una ragazza che pratica un uomo sposato dimostra saggezza e prudenza perché non corre il rischio di rimanere sposata.»
    «Giusy,» approvò sospirando la signora Bianchi, «nella tua ingenua, candida stupidità, hai sfiorato una verità profonda. Comunque io dico che il processo avrebbe avuto un finale adeguato all’atmosfera in cui s’è svolto solo se, dopo la sentenza, il Nigrisoli fosse stato buttato su una carretta, quindi trasportato nella piazza principale di Bologna, illuminata da torce a vento. Qui, confortato dal Cardinale Lercaro in persona coadiuvato da un funzionario della federazione comunista, il Nigrisoli doveva essere ghigliottinato con presentazione della testa recisa al popolo festante.»
    Gypo sghignazzò divertito: «Più bello ancora se, invece di Lercaro, avesse accompagnato il condannato al patibolo l’onorevole Nenni vestito da Cardinale. Nenni è meno marxista del cardinale Lercaro, però è più popolare perché è romagnolo ed è stato fra i fondatori del Fascio di Bologna. Inoltre, dopo essere stato inviato a New York a commentare l’Enciclica Pacem in terris, Nenni è oggi una colonna della Chiesa cattolico-marxista costruita sulla pietra del nuovo Pietro, adesso che l’altro Pietro è andato in soffitta assieme al Tu es Petrus e alle altre anticaglie latine.»
    Il signor Bianchi insorse: «Non permetterò che si trattino con sì deplorevole leggerezza argomenti gravi come questo! Ricordati che Nenni è vicepresidente del Consiglio e che ora, assieme a U Thant, sta risolvendo importantissimi problemi mondiali.»
    «U Thant,» ridacchiò Gypo. «Quello che ha normalizzato la situazione del Congo. Adesso, se ci si mette assieme a Nenni, sistema anche il Vietnam. Comunque, a me l’idea di Nenni che va in America a illustrare un’Enciclica, con tanto di benedizione papale, non mi va giù. E tanto perché tu lo sappia, papà, domenica io non ci vengo alla Mandata.»
    «Quale Mandata?»
    «La Messa in italiano.»
    «Fino a quando sarò il capo di questa fino ad oggi rispettabile e onorata famiglia, cose del genere non accadranno mai. Tu domenica verrai a Messa con noi!»
    «No, pater! Non voglio correre il pericolo di trovare sul pulpito un funzionario della Federazione Socialista. Io andrò a Messa sì, ma dove mi pare e piace. Io sono uno dei fondatori dell’ACP.»
    «ACP?, che significa?»
    «Associazione Cattolici Pacelliani. Ci siamo riuniti in trentatrè ragazzi, abbiamo diviso la zona attorno a Milano in settori e ognuno ha compiuto le sue ricerche. Così abbiamo trovato, in un paesino, un vecchio prete di quelli non riformati, che celebra la Messa in Latino, insegna che tutti gli uomini sono uguali davanti a Dio e, quindi, ci sono dei buoni non solo nel proletariato, ma anche fra i borghesi. E spiega che non basta essere brutti, stupidi e poveri per aver diritto al Regno dei Cieli, ma occorre anche essere buoni e onesti. E' un vecchio parroco che crede ancora in Dio, nei Santi, nel Paradiso e nell’Inferno e, quando confessa le ragazze, non fa loro delle disquisizioni sessuali e, quando confessa noi ragazzi, non ci nega l’assoluzione se gli diciamo che siamo liberali, monarchici o missini. E' un vecchio parroco che ritiene ancora valida la Scomunica del comunismo. E poi ha una chiesetta di quelle all’antica, con tanti fiori, tanti ceri accesi e, durante la Messa, c’è il coro che esegue gli antichi canti tradizionali. Uno può accendere un cero alla Madonna o a qualche Santo: lui non dice, come quel famoso parroco sociale che hanno fatto cardinale adesso, che i vassoi coi lumini accesi sono uno spettacolo da rosticceria. E come invece fa sempre quel parroco-cardinale, non fa quaranta milioni di debito per sistemare la parrocchia, dicendo poi ai creditori di farsi pagare dalla Divina Provvidenza. E non userebbe mai i quattrini dei parrocchiani per pagare la rata del motorino al povero compagno in modo che possa continuare a distribuire gli opuscoli di propaganda comunista. Quel povero vecchio parroco non lo faranno mai Cardinale, o Vescovo e nemmeno Monsignore. Sarà fortunato se non lo sospenderanno a divinis per filocattolicesimo antisociale. Abbiamo organizzato ogni cosa: quasi tutti hanno la macchina, si parte la mattina presto, prendendo strade diverse. Bisogna evitare di dare nell’occhio per non metter nei guai quel povero parroco. I montiniani hanno mezzi e, attraverso i preti-operai, sono collegati con le cellule comuniste che controllano tutto e tutti. Siamo già oltre settanta fra ragazzi, ragazze, padri e madri.»
    «Ma,» si preoccupò la signora Bianchi, «vedendo tanti forestieri alla Messa, quelli del paese entreranno in allarme e faranno la spia.»
    «No, mamma,» rispose Gypo; «sono tutti pacelliani e anticomunisti.»
    Il signor Bianchi balzò in piedi: «Qui siamo in piena Vandea!» urlò inorridito.
    «Gypo, fammi tenere il posto, vengo anch’io,» disse tranquillamente la signora Bianchi che, in fondo, aveva sempre fatto il tifo per la Vandea.
    «Règolati come credi,» le disse asciutto il signor Bianchi. «Io continuerò ad andare alla solita chiesa.»
    «Anch’io,» aggiunse la Giusy. «Mi eccitano un pozzo quei pretini giovani che ci fanno la predica e si scagliano contro gli industriali, i capitalisti, i liberali eccetera. Fanno venire in mente la rivoluzione francese, la presa della Bastiglia e via discorrendo. E poi, adesso, hanno incominciato a demistificare la chiesa. Era ora di finirla coi lumini puzzolenti, coi santi di gesso e con le Madonnine caramellate. Dovrà rimanere soltanto la Croce, nuda e cruda. Il simbolo, cioè, del Proletariato sfruttato e torturato dai ricchi.»
    «E Cristo,» domandò la signora Bianchi, «l’hanno sfrattato anche lui?»
    «Cristo rimane sempre, non di legno o di bronzo, ma vivo e operante nei Vangeli, specialmente in quello di Pasolini che è il più in gamba di tutti i Vangeli. Bisogna demistificare, capisci?»
    «Certo che capisco,» rispose Gypo. «Occorre un lavoro di rigida revisione. Per esempio; adesso che s’è scoperto che gli ebrei non hanno nessuna responsabilità nel supplizio di Cristo, bisognerà sdrammatizzare anche l’episodio della Crocifissione. In fondo, si tratta di un normale caso di morte apparente. La Resurrezione...»
    «Non bestemmiare!» urlò il signor Bianchi.
    «Non bestemmio, papà: ragiono secondo la mentalità dei preti nuovi. Vedrai: quelli, durante la Messa faranno cantare Gaber, Maria Monti, la Ornella Vanoni e gli altri cantanti sociali. In fondo, adesso che ha ispirato le sublimi canzonette di Gino Paoli, il canto Gregoriano non ha più ragione di esistere.»
    «Fate vobis,» disse con sarcasmo il signor Bianchi. «Io e la Giusy rimaniamo sulla strada giusta che è quella legale e porta alla Chiesa dell’avvenire.»
    «Fate bene,» ridacchiò Gypo. «Oltre al resto, voi montiniani avete il vantaggio che, quando il confessore vi assegna una penitenza troppo pesante, potete sempre ricorrere alla CGIL. Giusy, se domenica alla Messa vi distribuiscono i santini benedetti con l’immagine di Nenni, portamene uno.»


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    Originally posted by ZENA
    Io sono "culturalmente" cresciuto a "Don Camillo e Peppone", e Guareschi è sicuramente fra i miei autori preferiti. Il suo umorismo, stile, acume non hanno forse pari nella letteratura contemporanea. D'altronde, non bisogna dimenticare che lo stesso Guareschi, seppur a malincuore, ha accettato il Concilio Vaticano II. Ai margini della caricaturale figura del sacerdote Don Chichi (Don Camillo e Don Chichi) , prete animato da buone intenzioni sociali ma privo di una rigida disciplina interiore e quindi di una sana gerarchia di valori, Giovannino fa pronunciare al Cristo dell'altare parole di giustificazione del Vaticano II, affinchè Don Camillo, chiaramente legato al "piccolo mondo antico" disegnato da una potente tradizione, possa comprendere che gli esiti conciliari non hanno intaccato la sostanza della fede. Vero è che forse neanche Guareschi credeva pienamente che in Vaticano fossero state semplicemente introdotti rilievi puramente formali, e che in ogni caso morì prima d'assistere ai veri frutti del Concilio. E' sicuro che il suo legame con la tradizione fosse davvero profondo, ma ciò non toglie che rifiutò di prendere posizione (almeno per quanto ne so io) contro la frattura che si era appena creata in seno alla tradizione stessa.
    Caro Zena,

    ricordo bene quel passo di "Don Camillo e Don Chichì": infatti anch'io nel primo post di questo thread avevo parlato solo di "mille incerti baluginii".
    Ci sono del resto altri innumerevoli passi di senso meno "conciliante" (penso ad esempio ad alcuni articoli di Guareschi su "Il Borghese") : alcuni sono stati riportati nel numero 54 di Sodalitium (edizione italiana) nell'articolo a firma di Don Ugolino Giugni.
    Non si può comunque richiedere ad un romanziere ( tra l'altro morto solo 3 anni dopo la chiusura del "vaticano II" ) la lucidità ed il rigore del teologo ma certamente gli si può domandare un buon uso del "sensus fidei", anche di fronte alle eresie "teoriche e pratiche" del periodo conciliare e postconciliare.
    Le conclusioni sul rigetto dell'autorità dei "Papi" conciliari sono state tratte da altri: a Guareschi non si poteva chiedere di più di quanto nobilmente ha fatto.
    Da sedevacantista quale sono, leggo sempre il Guareschi degli anni '60 con profondo interesse e molta passione: averne avuti cento come lui, la "riforma liturgica" non sarebbe passata.


    un caro saluto alla tua Liguria e a presto

    Guelfo Nero

 

 
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