Da "l'Unità":
«Sinistra, non in mio nome»
Alberto Asor Rosa


L'astensione dei Ds sulla mozione della maggioranza riguardante l'invio di un contingente militare italiano in Iraq o, per meglio dire, il reciproco favore delle doppie astensioni incrociate di maggioranza e minoranza ripropongono con forza il tema della «separazione». C'è un limite, infatti, oltre il quale la normale dialettica tra maggioranza e minoranza all'interno dello stesso partito supera la soglia della decenza e diventa vergognosa sia per gli uni sia per gli altri.
Per gli uni, veramente non so, per gli altri di sicuro, se così si può definire una minoranza che soggiaccia ai voleri della maggioranza, senza più né margini né capacità di distinzione. Questa soglia è stata abbondantemente superata con il voto di martedì, e ciò per tre motivi, uno soprattutto politico, l'altro soprattutto morale e il terzo soprattutto istituzionale.

1) Dal punto di vista politico nulla è cambiato dal giudizio sulla guerra, una volta che la guerra è finita con l'esito che nessuno, ragionevolmente, poteva pensare che fosse diverso. Anzi. Se è vero, come tutti abbiamo detto più volte, che la guerra rappresentava il frutto perverso e terribile dell'unilateralismo americano, è evidente che l'esito vittorioso della guerra non ha potuto che confermarlo e irrobustirlo. La lotta contro l'unilateralismo americano è dunque più attuale che mai. E se era stato detto onestamente - come ormai più non credo - che bisognava ripassare la palla all'Onu, e più in generale agli organismi internazionali, non c'è traccia, a motivare quel voto, che questo sia, non dico avvenuto, ma neanche per avvenire nei prossimi mesi o anni in base ad una ragionevole previsione. In questa condizione l'Iraq è un paese militarmente occupato, dove si può e si deve sperare (lo dico sul serio) che nasca un qualche governo di Quisling per evitare nuove sofferenze a quella popolazione, ma certo nulla più di questo. Nel frattempo gli Usa hanno ripreso la loro arrogante ginnastica bellicistico-oratoria con la Siria, e poi lo rifaranno con altri, secondo le regole lucidamente teorizzate nel manifesto della «guerra infinita», la cui percezione sembra sparita dalla testa dei nostri politici nel momento stesso, paradossalmente, in cui se ne vedevano di più gli effetti.

2) In queste condizioni noi mandiamo un contingente militare in Iraq, camuffandolo di motivazioni umanitarie, «sì, sì, tre volte sì, purché svolga soltanto compiti umanitari»! Nel frattempo i marines sparano sulla folla musulmana che a Mosul protesta contro l'occupazione. E' l'ipocrisia peggiore, è un'intollerabile presa in giro. All'assistenza umanitaria, doverosa e imprescindibile, si sarebbe potuto provvedere in cento altri modi: per esempio, finanziando lautamente Emergency per consentirle di operare al meglio in questa terribile situazione. L'invio del contingente militare, necessariamente esposto a qualsiasi compito armato, anche di carattere repressivo, oltre che difensivo, significa che l'Italia s'inquadra - sia pure a posteriori, e quindi anche vigliaccamente - nel sistema militare per il controllo di quella parte del Medio Oriente, all'interno della più generale strategia in precedenza richiamata. Quel che era implicito, diventa dichiarato (sia pure nella forma pudica propria di tutte le scelte militari italiane dell'ultimo decennio). E la sinistra, dunque, si dichiara a favore della guerra anch'essa retrospettivamente, a guerra conclusa. Un modello, al tempo stesso, d'imbecillità e di mala fede.

3) Naturalmente non è trascurabile il favore fatto al governo del Cavalier Banana, il quale peraltro ce ne ripaga con un sonoro schiaffone (assolutamente meritato: quando è giusto è giusto). Si può capire che la maggior parte degli uomini che compongono questo governo sia interessata a mandare il maggior numero possibile di carabinieri fuori dei confini onde averne il meno possibile in casa. Ma noi che c'entriamo? Proprio in questi giorni si era scatenato il nostro lancinante problema istituzionale, riguardante davvero, nel senso proprio del termine, la dignità autentica, sostanziale del paese, e cioè le recenti dichiarazioni del Cavalier Banana in merito al carattere «sovietico» di certe parti della nostra Costituzione. E, come tutta risposta, invece di sollevare il caso a tutti i livelli della legge, consentiamo che si possa parlare di un sostanziale unanimismo «patriottico» della sinistra con questo presidente del Consiglio, con questa maggioranza, con questo sistema politico-militar-affaristico di portata mondiale. In questo caso, davvero, una vera morale ci spinge a difendere, contro tutte le disattenzioni istituzionali, una più autentica e sostanziosa idea di patria. La nostra Italia non è questa, lo sosterremo contro tutti gli opportunismi e trasformismi intollerabili degli uomini del Palazzo.

Voglio dire insomma, nella maniera più tranquilla, che siamo di fronte a una divaricazione delle opinioni, delle mentalità, delle culture politiche, delle morali personali e collettive, che non può più esser contenuta nel medesimo contenitore. Non accenno neanche alla figura che facciamo di fronte alle centinaia di migliaia (milioni, forse) di cittadini che per mesi si sono testardamente e lucidamente battuti per la pace, credendoci, e continuando a crederci ancora (com'è giusto). Non parlo perciò di quelli che, a qualsiasi titolo, stanno fuori, abituati ormai dall'esperienza, credo, che ci si comporti nei loro confronti come se non ci fossero mai stati, come se non ci fossero e come, sperabilmente, siano destinati a non esserci mai (ma questi non votano? I politici sono così tenaci nelle loro convinzioni che fanno persino a meno di questo, che dovrebbe essere il loro pane - e per questo i «berluscones» vincono -. Parlo di quelli che, a qualsiasi titolo, stanno dentro, e avrebbero il diritto di esser considerati. Se non c'è un minimo comun denominatore - e la questione della pace e della guerra pertiene ovviamente alle radici più profonde del comune sentire - che cosa ci facciamo ancora insieme?

Giro questa domanda ai nostri politici, anche a quelli che apparentemente (la prudenza non è mai troppa) dovrebbero pensarla più o meno come me, e anche a quei Segretari del Mugello e della Val di Sieve, pronti a indignarsi se in famiglia si litiga ma forse più indulgenti e comprensivi se cooperiamo a mandare soldati italiani in Iraq. Insomma: fate quel che volete; ma non fatelo a nome mio.

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