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    L'opinione delle Libertà, mercoledì 11 settembre 2002

    11 settembre: alla sbarra la famiglia reale saudita
    A Washington i superstiti e i familiari delle vittime citano per danni i principi arabi accusati di aver finanziato Bin Laden
    di Shaykh Abdul Hadi Palazzi


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    Mentre l’Amministrazione USA valuta lo scarso entusiasmo degli alleati europei per il preventivato attacco a Saddam Hussein, in vista del primo anniversario dell’11 settembre 2001 i familiari delle vittime e i superstiti degli attentati alle Torri Gemelle del World Trade Center e al Pentagono hanno citato in giudizio presso il Tribunale della Distretto Federale della Columbia tre eminenti membri della famiglia reale saudita e finanziatori del network wahhabita internazionale, cioè l’ex capo dei servizi segreti sauditi e ministro dell’informazione, principe Turki Al Feisal Al Saud, il fratello del re Fahd, ex-ministro della difesa ed ex vice primo ministro Sultan bin Abdulaziz Al Saud e il principe Mohammed al Faisal Al Saud, proprietario di una banca sudanese e presidente di una disciolta "organizzazione umanitaria" svizzera (con referenti anche in Italia), create allo scopo di trasferire fondi a favore di Osama Bin Laden e della sua organizzazione.

    Oltre a tre principi reali sauditi di cui sopra, la denuncia estende la responsabilità civile alla finanziaria Saudi Bin Laden Group, a sette banche internazionali controllate dai Sauditi, fra cui la Bank Al Taqwa - Nada Management Group di Yusuf Nada, Hassan Tubba’i e dell’ex-console del Kuwait Idris Nasr Eldin, a otto “fondazioni umanitarie” wahhabite e al regime del Sudan retto dalla giunta militare del dittatore Omar El-Beshir. L’atto d’accusa è perentorio: “Gli imputati hanno deliberatamente fornito finanziamenti e altre forme di supporto ad Al Qaeda, a Osama Bin Laden e al deposto regime dei talebani, in tal modo oggettivamente contribuendo ai criminali attentati dell’11 settembre, e all’uccisione di cittadini americani nel territorio degli Stati Uniti”. La procedura si ispira alla Legge Patriottica USA del 2001, secondo cui “tutti gli americani sono uniti nel perseguire i responsabili degli attacchi dell’11 settembre ed i loro sponsor, sino a quando essi siano tradotti in giudizio.”

    “La legge sulle immunità degli stati esteri - ha l’avvocato Ron Motley - specificamente esclude possibili casi di immunità dalla responsabilità civile per danni causati ai cittadini americani residenti nel territorio degli Usa” Il collegio di parte civile include alcuni fra i più quotati principi del foro statunitensi, fra cui la squadra della Ness Motley di Washington, il procuratore federale antiterrorismo Allen Gershon, l’esperto in diplomazia economica Jean Charles Brissard (autore di “L’impero finanziario della famiglia Bin Laden”) e i procuratori specialisti in risarcimento danni degli studi Russo, Scarnardella & D’Amato, Haley & Riley, Hanley & Confroy, Mellon, Webster & Shelley, Howard & Smith. A costituirsi come parti civile sono oltre 700 fra coniugi, figli e altri familiari delle vittime dell’11 settembre, nonché alcuni sopravvissuti che hanno riportato lesioni. La maggior parte di essi sono americani, ma alcuni sono cittadini argentini, canadesi, francesi, turchi, sudafricani e paraguaiani.

    L’ammontare del primo risarcimento richiesto ammonta a 1000 miliardi di dollari. Secondo il Finacial Times del 20 agosto, l’accoglimento della denuncia da parte del Tribunale federale ha causato, come prima immediata ritorsione, il ritiro di capitali sauditi investiti negli Stati Uniti, per un totale stimato in 200 miliardi di dollari. Youssef Ibrahim, consigliere anziano del Council on Foreign Relations ha dichiarato: “Sino alla prima udienza del processo, è probabile che i Sauditi si affrettino a liquidare il loro beni e a vendere le loro proprietà in America”. L’ex-procuratore federale della Florida avvocato John Loftus ha precisato che “si tratta di una chiamata in causa di precise responsabilità saudite nel finanziamento del terrorismo globale. Il proliferare dell’estremismo legato alla dottrina wahhabita, religione ufficiale dell’Arabia Saudita, è cresciuto sino a diventare una minaccia globale per l’umanità. E’ una guerra globale, non contro l’Islam, ma contro un’interpretazione aberrante del credo islamico, una guerra che anzi vede i Musulmani moderati sia fra le vittime che fra i loro consulenti.”

    La parte civile intende infatti avvalersi di un gruppo di esperti internazionali, che per l’Italia comprende dirigenti dell’Associazione Musulmani Italiani, schierata al fianco degli Stati Uniti e d’Israele nella lotta contro il fondamentalismo wahhabita, l’ex-ambasciatore somalo presso la S. Sede e attuale coordinatore dell’Alleanza Somala per la Repubblica (Asr) colonnello Ali Hussen, il consigliere politico dell’Asr prof. Danilio Speranza, nonché Massimo Pizza ed Antonio d’Andrea, gli ispettori italiani dell’Onu che hanno monitorato gli spostamenti di fondi e armamenti in Somalia da parte della rete di Bin Laden. L’ambasciatore saudita a Londra, Ghazi Al-Qusaibi, ha reagito con toni davvero inusitati, dichiarando in un’intervista apparsa sul quotidiano al-Hayat: “Gli Stati Uniti di un tempo, quelli con cui eravamo buoni soci in affari, non ci sono più, sono spariti nel fumo delle esplosioni, per essere rimpiazzati da una nuova America, intimidita e vendicativa, che vede ovunque lo spettro del terrorismo e percepisce chiunque sia neutrale come un potenziale nemico da combattere. Il Presidente, il Congresso e l’opinione pubblica degli Stati Uniti parlano da vittime di una sindrome psichiatrica...”.

    La stampa saudita è poi ancora più battagliera, Abdallah Al Qaedi scrive sul quotidiano Al-Riyadh: “Adesso la provocatrice Condoleeza Rice, consigliere della Casa Bianca, ritiene di avere una legittimazione morale per forzare un cambio di regime a Baghdad. Gli Americani si preoccupano ogni dunque dell’aspetto morale? Sappiamo che lo stato di oppressione e dittatura in cui vive il popolo americano [sic!] non dipende certo dai Sauditi, ma da loro.
    E’ ora che l’America riconosca i diritti dei suoi cittadini [sic!], fermi la sua malvagità e smetta di aggredire il mondo” Un nervosismo del genere tradisce però una forte insicurezza dei principi wahhabiti fiancheggiatori del terrore: associando un attacco militare contro l’Iraq ad uno giudiziario contro l’Arabia Saudita gli Stati Uniti potrebbero davvero conseguire una vittoria fondamentale, non solo per loro stessi e per l’Occidente, ma anche per la globalizzazione della democrazia a beneficio dei popoli del mondo islamico, troppo spesso oppressi da regimi tirannici, oscurantisti e antidemocratici.

    Shaykh Abdul Hadi Palazzi
    Segretario Generale
    dell’Associazione Musulmani Italiani
    http://digilander.libero.it/islamic
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  2. #2
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