«Lavoro, riforma incostituzionale»

L’Emilia impugna la delega. [...]


ROMA - La legge Biagi di riforma del mercato del lavoro non ha ancora prodotto i suoi effetti (i decreti attuativi sono da varare) che è già stata rinviata alla Corte costituzionale. Il ricorso è stato presentato dalla Regione Emilia Romagna, che ritiene la legge 30 del 14 febbraio 2003 lesiva dei poteri assegnati dalla Costituzione alle Regioni. Tre gli articoli contestati: quelli che riguardano i servizi per l’impiego (gli ex uffici di collocamento), i tirocini e la formazione professionale e la conciliazione delle controversie, la tutela e la vigilanza sul mercato del lavoro. Con queste norme, afferma una nota della Regione Emilia Romagna, «il governo cancella il federalismo» e «si riprende» competenze e funzioni che erano state decentrate con la riforma del titolo V della Costituzione varata dal centrosinistra.

IL GOVERNO - Che la riforma Biagi corresse il rischio di essere impugnata davanti alla Consulta era stato detto nei mesi scorsi da autorevoli giuslavoristi. Del resto, lo stesso Marco Biagi, dopo il varo del nuovo titolo V, aveva sottolineato il rischio che Stato e Regioni entrassero in conflitto proprio sul diritto del lavoro. E così è stato. Ovviamente lo scontro ha subito assunto una valenza politica. Forza Italia, con Isabella Bertolini (coordinatrice per l’Emilia Romagna), accusa la giunta «guidata dal postcomunista Vasco Errani» di «terrorismo istituzionale». Errani replica affermando che la legge 30 «prevede un incomprensibile accentramento delle competenze». Il sottosegretario al Lavoro, Maurizio Sacconi, dice che «la Regione Emilia-Romagna ha preferito al dialogo la logica dello scontro pregiudiziale» nel nome di «una impostazione ideologica e subalterna» alla Cgil, «unica organizzazione che non ha sottoscritto il Patto per l’Italia».


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Fonte: Corriere della Sera 30/04/'03
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Il presidente della Regione Vasco Errani: "Contestiamo norme che tolgono poteri alle istituzioni locali"

Lavoro, ricorso contro la legge delega

(30 aprile 2003) - Un mercato del lavoro flessibile, regolato però da norme statali centraliste e uguali per tutti. Il governo cancella il federalismo e accentra la disciplina e l’organizzazione dei servizi per l’impiego, la tutela e la sicurezza del lavoro, la formazione professionale.
Per questo la Regione ha impugnato per illegittimità costituzionale una parte - quella relativa alle politiche attive di sostegno al lavoro - della legge 30, "Delega al governo in materia di occupazione e mercato del lavoro". "Chiediamo alla Corte costituzionale se questa delega al governo sul lavoro sia coerente con il dettato costituzionale – spiega il presidente della Regione Vasco Errani - Si tratta di una legge che non è stata discussa con le Regioni e che le Regioni hanno contestato perché prevede un incomprensibile accentramento di competenze. Non ne facciamo una questione di potere – continua Errani - ma di efficienza. In questo modo si aumenta la burocrazia, si alimentano le rigidità e le difficoltà, si allontana lo Stato dai cittadini dalle imprese, dai lavoratori. Vedo in questa scelta la rivincita delle burocrazie ministeriali. Ma così non si aiuta il lavoro a crescere e, soprattutto, a qualificarsi.
Da sempre le Regioni, attraverso le Province, gestiscono i servizi per l’impiego, la formazione, l’attività di vigilanza e di tutela del lavoro. E lo fanno bene. Il lavoro ha bisogno di politiche e di attenzione alle realtà specifiche, di collaborazione tra gli enti locali, le imprese, i lavoratori. Al contrario, il governo toglie proprio alle istituzioni più vicine ai mercati del lavoro la possibilità di interventi mirati, a partire dalla formazione e dai servizi che favoriscono l’incontro tra chi e cerca e chi offre lavoro. Ora tutto torna nelle mani dello stato centrale. Si predica il federalismo e nei fatti si costruisce un centralismo esasperato. Non si scherza con le riforme. Le istituzioni, il paese, hanno bisogno di serietà e di serenità".

La legge delega sul mercato del lavoro e il ricorso della Regione
Un pezzo importante delle politiche pubbliche per l’occupazione sono state accentrate, principi, criteri e autorizzazioni spettano allo Stato, violando le competenze regionali. Per questo la Regione Emilia-Romagna ha impugnato il provvedimento sul mercato del lavoro.
La legge 30 prevede una riorganizzazione complessiva degli strumenti di intervento relativi all’incontro tra domanda e offerta di lavoro e alle politiche attive per il lavoro; definisce alcuni contratti di lavoro flessibili; contiene norme sulla conciliazione e sulla vigilanza e la sicurezza.
Il ricorso non si riferisce a tutta la legge, ma a quelle disposizioni che disciplinano la materia in violazione della competenza regionale. Dunque, gli articoli impugnati sono quelli che riguardano i servizi per l’impiego, i tirocini e la formazione professionale, l’attività amministrativa in materia di conciliazione delle controversie, la tutela e la vigilanza sulla sicurezza del lavoro.
Sono strumenti e attività che favoriscono da un lato l’ingresso nel mercato del lavoro locale (anche attraverso un’attenzione particolare alle fasce deboli) dall’altro la qualità del lavoro stesso (attraverso la formazione, la progressione di carriera, la mobilità).
Sono invece esclusi i diritti che nascono dai rapporti contrattuali e le norme di diritto civile che spettano allo Stato.


Il ricorso della Regione in dettaglio
Tre gli articoli contestati nel ricorso contro il governo presentato alla Corte costituzionale, tutte disposizioni che disciplinano la materia in violazione della competenza legislativa regionale sancita dagli articoli 117 e 118 della Costituzione.
Articolo 1 (comma 2, lett. b,c,d,l)
Sistema informativo: nel delegare il governo alla disciplina dei servizi pubblici e privati per l'impiego, la legge prevede "il mantenimento da parte dello Stato delle competenze in materia di conduzione coordinata e integrata del sistema informativo lavoro".
Ma, obietta la Regione, il sistema informativo è parte integrante della tutela del lavoro, perché è uno degli strumenti che rendono efficace l'intervento pubblico. Non si nega l'esigenza di un coordinamento nazionale, ma un conto è il coordinamento dei dati regionali e locali, altro è la diretta conduzione dal centro del sistema.
Controversie: la legge prevede "il mantenimento da parte dello Stato delle funzioni amministrative relative alla conciliazione delle controversie di lavoro individuali e plurime". Questa riserva statale era comprensibile nel precedente contesto costituzionale, ovvero prima della riforma del Titolo V, ma è illegittima ora perché , recita il ricorso, la disciplina propria della conciliazione amministrativa e la sua concreta gestione sono precedenti alla fase giurisdizionale e dunque fanno parte a pieno titolo della materia regionale di tutela del lavoro.
Vigilanza: è illegittima anche la parte dell'articolo 1 che prevede "il mantenimento da parte dello Stato delle funzioni amministrative relative alla vigilanza in materia di lavoro, alla gestione dei flussi di entrata dei lavoratori extra Ue, all'autorizzazione per attività lavorative all'estero".
Le funzioni di vigilanza (e la conseguente attività sanzionatoria) sono state sempre e pacificamente considerate parte integrante delle competenze regionali di tutela del lavoro anche prima della riforma del Titolo V, senza alcuna interferenza con i poteri legislativi statali. Per quanto riguarda i flussi migratori, la connessione con le competenze nazionali sull'immigrazione e la politica estera non può comportare l'attrazione dell'intera normativa nell'orbita statale, essendo dipendenti dalla concreta domanda di lavoro locale.
Autorizzazione e accreditamento: la legge prevede un unico regime autorizzatorio o di accreditamento per gli intermediari pubblici e privati, ovvero le soociazioni, gli enti bilateriali, le scuole, le Università, i consulenti del lavoro. In questo caso, contesta la Regione, la disposizione è ambigua da un lato, eccessivamente rigida e dettagliata dall'altro.
Ambigua perché non distingue tra autorizzazione e accreditamento, rigida perché definisce un regime unico ¿ non solo disciplinato ma anche gestito dal centro statale - per i diversi intermediari pubblici e privati, tra i quali paradossalmente non figurano gli apparati amministrativi competenti. L'unicità di un meccanismo, disciplinato e anche gestito dal centro, nega con nettezza la competenza regionale.

Articolo 2
Formazione: l'articolo 2 affida al governo il riordino dei contratti a contenuto formativo e di tirocinio, la disciplina degli speciali rapporti di lavoro con contenuti formativi, il raccordo tra i sistemi dell'istruzione e della formazione (e il passaggio da un sistema all'altro), riconoscendo nel contempo agli enti bilaterali e alle strutture pubbliche competenze autorizzatorie in materia. Ignorando così la potestà legislativa concorrente delle Regioni in materia sia di istruzione-formazione professionale che di tutela del lavoro.
Intesa preventiva col Ministero: sulla "sperimentazione di orientamenti, linee-guida, codici di comportamento al fine di determinare l'attività formativa", in assenza di accordi tra le parti, la Regione può assumere decisioni "previa intesa con il ministero del Lavoro". Anche in questo caso, la legge-delega azzera la competenza regionale, limitandola alla ratifica degli accordi tra associazioni imprenditoriali e sindacali. Una disciplina regionale può esistere solo se autorizzata dal governo.

Articolo 8
Ispezioni: la contestazione si riferisce (come per la parte sulla vigilanza dell'articolo 1) alla delega sul "riassetto della disciplina sulle ispezioni in materia di previdenza sociale e di lavoro". Previdenza e tutela del lavoro sono materie distinte, tocca al legislatore stabilire se mantenere la distinzione o unificare i due sistemi nel rispetto, però, delle competenze ora regionali ed eventualmente affidando alle Regioni anche le funzioni amministrative relative alla previdenza.[/i]
Fonte: Regione Emilia-Romagna

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Argomento interessante, questo, soprattutto alla luce dei decreti attuativi della riforma del Titolo V del 2001 e della "controriforma", cd La Loggia, in itinere.
Staremo a vedere chi ha ragione