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    Predefinito Buttafuoco: ricordo di Ciccio e Franco

    Ciccio e Franco ovvero l’imperdibile parodia dell’Italia sbruffonaerdibile parodia dell’Italia sbruffona

    Inattuali come un libro di Giorgio Colli,
    coi loro maglioni a collo alto, facevano
    battute impossibili e dunque incomprensibili
    per il pubblico medio di oggi, il pubblico
    televisivo notoriamente trendy ma sprovvisto
    di liceo classico. Fecero il Satiricosissimo,
    era il 1970. “Io – diceva Ciccio – potrei
    essere scambiato per Trimalcione. E tu – lo
    spiegava appunto a Franco – potresti essere
    preso per Lucullo”. Chi ha presente i ma-scheroni
    della commedia antica ha già da-vanti
    la faccia di Franco che, offesissimo, si
    dilata nella smorfia e dunque precisa: “Senti,
    non potrei essere scambiato io per Trimalcione
    e tu essere preso per lu cullo?”.
    Palermitani, ebbero a cuore la memoria
    della storia patria, garibaldesi per sbaglio,
    a Raimondo Vianello vestito da generale
    Baldigari che li interpellava: “E ditemi una
    cosa: voi fate parte dei Mille, eravate a
    Quarto?”, loro rispondevano: “No, a mezzo
    litro!”. Si guadagnarono la ribalta, loro che
    erano attori da strada, con l’eleganza inarrivabile
    dell’avanspettacolo. Ciccio, altero e
    nobile, si presentava squadernando il petto:
    “Insufficienza toracica”. Franco invece, più
    spiccio, si limitava a indicare la propria
    fronte: “Deficienza cerebrale”. Virtuosi della
    parodia, furono pratici di ogni genere e di
    ogni miscela. Ciccio fu meglio di Burt Lancaster
    come principe di Salina, come “Il
    Leopardo”; Franco fu ancora meglio di Marlon
    Brando nel suo “Ultimo tango a Zagarolo”.
    Sono la parodia dell’Italia sbruffona.
    Un affittabarche, sollecito, propone: “Volete
    una yole?”. Franco che sorride ammic-cante,
    respinge la richiesta pensando a chissà
    quale conturbante Jole: “Magari, eh…
    No, non abbiamo tempo”. L’affittabarche
    prosegue nelle offerte: “Volete lo skiff?”. Disgustato,
    e anche un poco offeso, Ciccio re-plica:
    “No, lo schif lo tenga per lei”. Sono la
    parodia di tutti i parvenu Franco e Ciccio.
    Nella scena della barchetta, volendo, ognuno
    può metterci la parodia della parodia,
    per esempio tutti i Massimo D’Alema da diporto
    o i Piero Ottone del mare, ma la grandezza
    dei due comici non è nel risvolto pedagogico
    della loro messa in scena (ovvero,
    “non fate come noi” nel frattempo che tutti
    vogliono fare come D’Alema e Ottone), ma
    nella perfezione della cretineria: “Noi vorremmo
    una barca”. Sfinito, l’affittabarche si
    risolve: “Ah, una barca! Con o senza?”. Sublime
    la chiusa: “Preferiamo liscia”.
    C’è perfino un imperdibile fotogramma
    di spionaggio-mito-archeologico. Uno scienziato
    pazzo, il dottor Sì alle prese con una
    mummia: “Tra poco rivivrà Nabucodonosor!”.
    Franco chiede lumi: “E chi è ’sto signor
    Sambuco?”. Ciccio lo corregge: “No,
    no: lui ha detto Nabucodonosor”. Franco rilancia:
    “E chi è?”. Ciccio, serio e convinto,
    chiude la gag: “E’ un antibiotico”. Pupi dell’Opera,
    parati di piume e corazze di latta,
    “per causanza della bella Angelica”, fecero
    del “Combattimento di Orlando e Rinaldo”,
    un monologo in versi di Nino Martoglio, un
    gioco di fuoco irresistibile, un gioco di “sette
    giorni interi e sette notti”. Attori purissimi,
    perfetti Gatto e Volpe del miglior Pinocchio
    di tutti i tempi (quello di Comencini)
    sono usciti indenni dalle contaminazioni alte,
    si sono infatti salvati dalle manipolazioni
    dei fratelli Taviani, Pasolini, Fellini e così
    via lagnando, sono stati due nell’immaginario
    e due nell’incastro di quella favola
    proletaria che da Palermo è arrivata fino a
    Roma, e cioè favola del riscatto sociale: dalla
    fame al benessere, dai mozziconi di sigaretta
    raccattati a terra, ai lunghi bocchini in
    madreperla su cui sfumazzare preziosi tabacchi
    nei pomeriggi di sosta, soggiornando
    nei bar vicini alla stazione Termini.
    I giornali, ieri, salutando la morte di Ciccio,
    hanno scritto che la coppia s’è ricostituita
    per sempre: “Franco e Ciccio, Ciccio e
    Franco”. Noi che arriviamo un giorno dopo,
    vorremmo suggerire, invece, un’altra soluzione
    algebrica: sono in tre a essersi riuniti
    per sempre, e sono infatti Prureonasu, Facciesantu
    e Rinaldo. Sono Ciccio Ingrassia,
    Franco Franchi e Domenico Modugno, sono
    loro tre che fanno il complesso monumentale
    fissato nella locandina del trionfo, quella
    meraviglia degli applausi che fu “Rinaldo
    in campo”, vero capolavoro del musical,
    vanto del genio artistico di Garinei & Giovannini.
    E ci sono con loro, tre asini e ancora
    tre pistole, “tre briganti e tre somari, sulla
    via da Monreale a Misilmeri”. La ballata,
    accompagnata da regolare, scruscio di scec-
    co, aveva un raglio come refrain e, sul sottofondo
    degli zoccoli, una promessa bellicosa
    non da poco: “Sì, ma se stasera incontriamo
    la corriera, uno balza sull’arcione,
    uno acciuffa il postiglione, due sorvegliano
    di fuori, uno spoglia i viaggiatori e ce ne andiam”.
    Un vero e proprio saggio di sociologia
    senza sociologia questa promessa di
    eterno brigantaggio: “Uno aggira l’avamposto,
    l’altro attacca il fronte opposto, uno sfodera
    il trombone, l’altro balza sul cannone,
    uno lega la vedetta, l’altro ammazza la staffetta,
    uno attacca gli artiglieri e li prende
    prigionieri, uno piomba sull’alfiere e gli
    strappa le bandiere, uno invece fa man bassa
    sopra i viveri e la cassa, uno impegna in
    un duello, generale e colonnello, uno acciuffa
    con la mano, il maggiore e il capitano,
    uno infilza col pugnale, il sergente e il caporale”.
    Franco e Ciccio conquistarono il
    pubblico elegante del Sistina, mitragliando
    le battute col vigore dei professionisti di fino:
    “Ed intanto a poco a poco, tutto quanto
    è a ferro e a fuoco, pei nemici non c’è scampo,
    quando c’è Rinaldo in campo”. Dei tre,
    Franco ragliava meglio dei somari, Ciccio si
    atteggiava a fare il serio, ma ragliava ancora
    meglio di Franco, Modugno invece si lasciava
    andare: ragliava scherzando, camuffando
    la sua voce intonata, strapazzandola
    quasi, ma per adeguarla alla sguaiata allegria
    dei due picciotti di Palermo che erano
    appunto due, ma sempre in tre, “solo tre”.
    P. But.

  2. #2
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    Predefinito Re: Buttafuoco: ricordo di Ciccio e Franco

    Originally posted by Senatore
    Ciccio e Franco ovvero l’imperdibile parodia dell’Italia sbruffonaerdibile parodia dell’Italia sbruffona

    (...) sono usciti indenni dalle contaminazioni alte,
    si sono infatti salvati dalle manipolazioni
    dei fratelli Taviani, Pasolini, Fellini e così
    via lagnando (...)
    Bellissima, da incorniciare!

  3. #3
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    Predefinito Re: Buttafuoco: ricordo di Ciccio e Franco

    Originally posted by Senatore
    Si guadagnarono la ribalta, loro che
    erano attori da strada
    Infatti alcune persone anziane mi hanno raccontato di averli visti esibire nelle piazze, prima che acquistassero notorietà...

  4. #4
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    Predefinito Re: Re: Buttafuoco: ricordo di Ciccio e Franco

    Originally posted by jesi1194
    Bellissima, da incorniciare!
    Davvero splendida...

    E mi spiace che neppure Totò sia riuscito a non essere "scoperto" da Pasolini...

 

 

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