mille e non piu di melle ......



La paura dell'oro



(19/02/03) “L’avversione quasi isterica nei confronti del gold standard è un atteggiamento che unisce tutti gli uomini di governo”. Comincia così il saggio di Greenspan Gold and Economic Freedom la cui traduzione italiana è disponibile sul nostro sito già da qualche mese. Il saggio, ricordiamo, è del 1966. Molte cose sono cambiate da allora. Quando si considerano le relazioni tra l’oro, la moneta storica per eccellenza, e gli operatori economici, intesi nella loro accezione più ampia, sono due i cambiamenti di rilievo, avvenuti nelle economie occidentali, che meritano particolare attenzione.

Il primo è un cambiamento che possiamo definire duplice. Da una parte ha visto affermarsi la piena autonomia, in materia di politica monetaria, delle banche centrali dal governo, mentre dall’altra ha visto sparire del tutto i vincoli posti alle stesse politiche monetarie dalle riserve metalliche.

Il secondo cambiamento, che ha avuto una evoluzione molto rapida nel corso degli ultimi anni, riguarda invece la diffusione di massa delle attività mobiliari (azioni e obbligazioni) e la parallela partecipazione istituzionale a strumenti finanziari sempre più sofisticati.

Questa evoluzione, peraltro molto complessa ed estremamente ramificata, costituisce l’attuale sovrastruttura economica che caratterizza, oltre le sue necessità, i moderni sistemi economici e che trova splendida definizione nella cosiddetta “finanza strutturata”, studiata meglio di chiunque altro da Doug Noland (www.prudentbear.com , Credit Bubble Bullettin)

E’ facile, considerando questi due cambiamenti, estendere il numero di quei soggetti, limitati allora da Greenspan ai soli uomini di governo, che oggi nutrono un’avversione quasi isterica nei confronti del gold standard o, se vogliamo semplificare il concetto, nei confronti dell’oro stesso come puro valore monetario.

Relegato a un ruolo di banale commodities e disprezzato come inutile reliquia barbarica, l’antico metallo di ogni re e imperatore, ha cominciato due anni fa a ribellarsi alle pressioni di vendita in grado di calmierarne il prezzo. Mentre nel 1999 il mondo impazziva inseguendo titoli azionari rappresentativi di sogni, illusioni, speranze, follie e quant’altro, la moneta storica per eccellenza trovava un primo fondo naturale. Quello che è diventato “The Ultimate Bottom” di un lungo mercato bear cominciato nel lontano 1980 e durato quasi venti anni. Circa due anni dopo, dopo un rialzo troppo frettoloso seguito all’accordo di Washington delle Banche Centrali Europee, si riavvicinava abbattuto e bastonato ancora una volta, a quei minimi segnati due anni prima. La tenuta di quei livelli e la nuova inversione di trend segnavano la fine del mercato bear. Da allora e fino a due mesi fa il prezzo della reliquia barbarica è salito con moderazione, generalmente ignorato da ogni commento dei media ma sotto gli occhi degli osservatori più attenti, mosso dai primi consistenti flussi di denaro intelligente.

A febbraio dell’anno scorso, quando facemmo notare la nascita del mercato bull sull’oro, le attenzioni rivolte al metallo giallo erano ancora minime. La maggior parte degli operatori, allora come oggi, era concentrata esclusivamente a chiamare, invocare, strillare, pubblicizzare l’inversione definitiva del trend ribassista che da inizio 2000 caratterizza i mercati azionari. Sforzi allora sicuramente vani e inutili come molto probabilmente lo sono ancora oggi.

Da qualche mese, dopo un rally di oltre il 30% dai minimi, il mercato dell’oro è riuscito finalmente a richiamare le attenzioni di giornali e televisioni. Ma non nel senso che sarebbe logico e razionale. Al contrario, il rientro dell’oro sul palcoscenico finanziario si è ricoperto sin dall’inizio di commenti e connotazioni molto negative. La folla che preme per dichiarare già morto, finito, kaputt, il mercato bull cominciato appena due anni fa è enorme ed è cresciuta parallelamente alla salita del prezzo. Le tensioni sulla guerra dell’Iraq sono state avanzate come le uniche motivazioni sottostanti il rialzo in corso. Lo stesso Greenspan la settimana scorsa ha dichiarato nella sua testimonianza:

“The 17 percent rise in oil prices since the first of the year and a 12 percent jump in gold prices are ``clearly war related and not fundamental… ”.

E’ molto probabile che l'avanzata rapida e veloce del recente rialzo, peraltro già seguita da un abbondante storno su valori più bassi, abbia trovato la spinta di consistenti flussi speculativi, fomentati forse dalle stesse errate giustificazioni che si rifanno alla crisi irachena. Tuttavia il mercato bull dell’oro è nato, come abbiamo detto, nei primi mesi del 2001, quando ancora terrorismo e guerra erano solo fantasie di qualche scrittore o di qualche soggetto appassionato (e preveggente) di Conspiracy Theories. In questa prima fase il metallo è stato accumulato con un'ottica di lungo termine dagli operatori più intelligenti, consci che il valore del metallo, appena entrato nella seconda fase del proprio mercato bull, abbia ancora enormi spazi di apprezzamento (se non assoluto, perlomeno relativo alla maggior parte degli investimenti cartacei alternativi)

La stupidità del genere umano è straordinaria e sicuramente degna di studi approfonditi, tema che peraltro trova diversi appassionati (vedi ad esempio le Teorie di Carlo Cipolla sulla stupidità umana). Seguendo forse la spinta di questo impulso, gli esperti si accalcano per dichiarare finito un mercato bull, con tutte le caratteristiche (fondamentali e tecniche) per essere un mercato bull pluriennale, mentre dall’altra parte disperdono incredibili energie e quantità di denaro ancora più vaste (per loro fortuna, molto spesso, non proprie) per cercare di cogliere il fondo di un mercato bear appena iniziato e con tutte le caratteristiche (fondamentali e tecniche) per essere un mercato bear pluriennale, ben più severo di qualunque altro mercato bear che l'ha preceduto nell'ultimo secolo.

Ma non si tratta di una stupidità gratuita. Tutt’altro. Il motivo di questo atteggiamento quasi isterico risiede proprio nei cambiamenti citati in apertura. I nemici dell’oro non sono più solo gli uomini di governo. Il numero di soggetti che nutrono “un’avversione quasi isterica” nei confronti dell’oro è oggi molto più ampio e si estende, proprio in virtù di quei cambiamenti, quasi indistintamente a tutti coloro che fanno della gestione dei valori cartacei la loro fonte di (indebita) ricchezza più che di (onesto) reddito. Ciò non toglie, tuttavia, che questa stupidità combinata ad altri fattori possa avere effetti devastanti.

Non a caso, per la prima volta nella storia, siamo di fronte a una combinazione unica di fattori che rischiano di sfociare nella peggiore tempesta finanziaria di ogni tempo. Una sorta di anni 30 e anni 70 riuniti in un unico scenario combinato. La pressione in continuo aumento sul fronte valutario, su quello dei mercati finanziari e sul fronte economico rischia di dare luogo a uno degli eventi finanziari più traumatici della storia economica. E’ chiaro come in uno scenario del genere, azioni, obbligazioni e mercato immobiliare (i cui recenti cicli virtuosi si fondano principalmente sul debito e quindi sull’effetto leva) siano destinati a trovare correzioni di prezzo molto significative. Ed è altrettanto chiaro come in tale contesto il migliore rifugio sarebbe offerto da ogni tipo di metallo prezioso, di cui l’oro è per diversi motivi il più importante ma non l’unico. La loro qualità primaria è rappresentata infatti dal non essere contropartita di alcun debito, di essere se stessi e niente altro, valore monetario assoluto senza confini di spazio e di tempo.

Ecco i motivi che alimentano il numero elevatissimo di nemici dell’oro presenti oggi sulla scena finanziaria. L’oro come abbiamo ripetuto non produce interessi, non è un investimento in senso stretto, rappresenta solo la difesa ultima del capitale da ogni confisca del valore, che essa sia governativa (quella a cui si riferisce Greenspan), piuttosto che inflativa (quella esercitata delle banche centrali), piuttosto ancora che deflativa (quella derivata dal crollo di prezzo degli asset finanziari e immobiliari).

Considerato all’interno di un sistema monetario metallico, l’oro pone dei vincoli molto rigidi sia alle politiche fiscali che a quelle monetarie. Considerato nello scenario di cui sopra si rivela il migliore mezzo di rifugio dalla tempesta. Un mezzo di rifugio tuttavia limitato, scarso, non stampabile, intorno al quale i margini di profittabilità trattenibili dalla finanza strutturata sono ridottissimi, “nulla cosa” rispetto agli ampi margini derivanti dalla gestione della carta finanziaria (stampabile e moltiplicabile a volontà). Si pensi ad esempio che il totale della capitalizzazione di tutte le aziende minerarie della terra equivale a molto meno della capitalizzazione della sola Microsoft. Si pensi anche che meno del 3% di tutti i risparmi dei giapponesi potrebbero comprare ai prezzi attuali tutte le riserve delle banche centrali attuali.

In altre parole una torta troppo piccola per ricoprire di facili ricchezze, come avvenuto negli ultimi dieci anni, tutti gli operatori che controllano e fanno girare, a ritmi sempre più veloci, i meccanismi della finanza strutturata. Ecco quindi che l’oro fa paura. Non a molti soggetti. A troppi, davvero troppi.