Capitolo secondo. Il socialismo delle eresie



Durante il Medioevo e l'epoca della Riforma le dottrine del socialismo chiliastico furono a più riprese l'ideologia portante di vasti movimenti popolari in Europa occidentale.

Si tratta di un fenomeno nuovo rispetto all'antichità, dove queste idee erano patrimonio esclusivo di singoli pensatori o di cerchie ristrette.

A causa di ciò le dottrine socialiste acquistarono tratti nuovi, fondamentali, che si sono conservati fino a oggi.

Faremo dapprima una schematica rassegna dello sviluppo delle idee socialiste in questo periodo.

Per rendere più concreta la trattazione e per riprodurre l'atmosfera spirituale in cui si forgiarono queste dottrine, riporteremo quindi le biografie di tre dei personaggi più significativi del periodo. Nella seconda parte cercheremo infine di tracciare le linee di fondo dell'ideologia comune su cui si innestarono le diverse dottrine del socialismo chiliastico.



1. Cenni generali
A partire dal Medioevo fino alla Riforma, in Europa occidentale le dottrine del socialismo chiliastico rivestirono forme religiose. A dispetto della loro varietà, avevano tutte un carattere comune nel rifiuto di molti aspetti della dottrina cattolica e nell'odio profondo alla Chiesa stessa. Per questo si svilupparono in seno ai movimenti ereticali del tempo.

Prenderemo ora in esame alcune delle eresie medievali più tipiche.

I catari

Il movimento dei catari ("katharos" in greco significa "puro") si diffuse nell'Europa centro-occidentale nell'XI secolo.

Veniva probabilmente dall'Oriente, direttamente dalla Bulgaria, dove i predecessori dei catari furono i bogomili, particolarmente numerosi nel X secolo. Ma l'origine di queste eresie è più antica. I catari si articolavano in numerose sette. Papa Innocenzo III ne enumerò fino a 40. Esistevano inoltre anche numerose altre sette che avevano molti punti in comune con la dottrina dei catari: i petrobrusiani, gli enriciani, gli albigesi. Questi gruppi vengono generalmente riuniti sotto la comune denominazione di eresie gnostiche e manicheiste.

Per non appesantire eccessivamente il quadro, parleremo d'ora innanzi delle idee comuni, senza specificare ogni volta a quale setta precisa si fa riferimento (59).

Tutte le ramificazioni del movimento avevano in comune il riconoscimento dell'inconciliabile contrasto tra il mondo materiale, fonte del male, e quello spirituale, ricettacolo del bene.

I cosiddetti catari dualisti attribuivano il contrasto all'esistenza di due dei, quello del Bene e quello del Male. Fu il dio del Male a creare il mondo materiale: la terra e ciò che vi cresce, il cielo, il sole e le stelle, come pure il corpo umano. Il dio del Bene creò invece il mondo spirituale, nel quale esiste un altro cielo, altre stelle, un altro sole, tutti spirituali.

Altri catari, detti monarchiani, credevano a un unico dio buono, creatore dell'universo, mentre il mondo materiale sarebbe stato creato dal suo figlio primogenito decaduto, Satana o Lucifero.

Gli uni e gli altri erano d'accordo nel dire che i due principi antagonisti della materia e dello spirito non possono avere alcun punto di contatto; e per questo rinnegavano anche l'incarnazione del Cristo (ritenendo che il suo Corpo fosse spirituale, con la sola apparenza della materialità) e la resurrezione della carne.

Il dualismo trovava conferma, secondo i catari, nella divisione delle Sacre Scritture in Antico e Nuovo Testamento. Il Dio dell'Antico Testamento, creatore del mondo materiale, veniva a identificarsi con il dio del Male o Lucifero. Riconoscevano invece nel Nuovo Testamento l'emanazione del dio buono.

I catari ritenevano che Dio non avesse creato il mondo dal nulla, che la materia fosse eterna e che il mondo non avrebbe avuto fine. Il corpo umano era anch'esso frutto del principio del male; invece l'anima, secondo la loro concezione, non aveva sempre un'unica origine. Per la maggioranza degli

uomini anche l'anima, come il corpo, era emanazione del male. Questi uomini non potevano sperare di salvarsi ed erano condannati a perire quando il mondo materiale fosse ritornato al caos primigenio.

Invece l'anima di una cerchia ristretta di uomini era stata creata dal dio buono, si tratterebbe degli angeli che dopo la tentazione di Lucifero sono stati imprigionati nel carcere del corpo.

In seguito alla trasmigrazione in vari corpi (i catari credevano nella reincarnazione) erano destinati a finire nella loro setta, e là ottenere la liberazione dal carcere del corpo.

Ideale e scopo ultimo dell'umanità, in linea di principio, doveva essere il suicidio generale. Esso era concepito o in modo diretto (che vedremo oltre) o vietando ogni attività procreativa.

Nella dottrina avevano un posto importante anche i concetti di peccato e di salvezza. I catari rifiutavano il libero arbitrio. I figli del male, condannati a perire, non avrebbero in alcun modo potuto sfuggire la loro sorte, mentre chi aveva avuto accesso per iniziazione alla categoria superiore della setta ormai non poteva più peccare. Essi dovevano sottostare a tutta una serie di regole durissime per combattere il pericolo di contaminarsi con la materia peccaminosa; e se peccavano ciò significava semplicemente che il rito dell'iniziazione era rimasto inefficace perché l'anima dell'iniziatore o dell'iniziato non era angelica.

Prima dell'iniziazione la libertà di costumi era illimitata, giacché l'unico vero peccato era stato la caduta degli angeli dal cielo e tutto il resto non ne era che la conseguenza necessaria.

Dopo l'iniziazione il pentimento non era più ritenuto necessario, e nemmeno l'espiazione dei peccati.

L'atteggiamento dei catari verso la vita nasceva dal loro concetto del male identificato con il mondo materiale. La perpetuazione della specie veniva considerata opera satanica, la donna incinta si trovava sotto l'influenza del demonio come pure ogni neonato. Per gli stessi motivi la carne, e tutto ciò che aveva a che fare con l'unione sessuale, erano vietati.

La stessa tendenza portava a ritirarsi dalla vita della società; le autorità terrene erano creature del dio malvagio, non si doveva sottomettervisi, ricorrere ai tribunali, prestare giuramento e impugnare le armi. Chiunque, giudice o soldato, avesse fatto uso della forza era considerato un assassino. E' chiaro che in questo modo diventava impossibile partecipare a molti aspetti dell'attività sociale. Per di più molti consideravano proibito ogni rapporto con "la gente del mondo" estranea alla setta, salvo che nel tentativo di convertirla (60).

Tutte le sette erano accomunate da un'accesissima ostilità verso la Chiesa Cattolica che per loro non era la Chiesa di Cristo ma quella dei peccatori, la meretrice Babilonia. Il Papa era considerato la fonte di tutte le prevaricazioni, e i preti come pubblicani e farisei. La caduta della Chiesa cattolica, secondo loro, risale al tempo di Costantino il Grande e di papa Silvestro, quando la Chiesa, a dispetto dei comandamenti di Cristo, diede la scalata al potere secolare (con la cosiddetta Donazione di Costantino).

I sacramenti erano misconosciuti, specialmente il battesimo dei bambini (in quanto non sono ancora in grado di credere), ma anche il matrimonio e l'eucarestia.

Alcune ramificazioni secondarie dei catari (i catarelli e i rotari) usavano saccheggiare regolarmente le chiese. Nel 1225 i catari incendiarono una chiesa cattolica a Brescia; nel 1235 uccisero il vescovo di Mantova. Tra il 1143 e il 1148, Eon de l'Etoile, capo di una setta manichea, si dichiarò figlio di Dio, signore di tutto il creato e in virtù del suo potere ordinò ai suoi seguaci di mettere a sacco le chiese.

L'odio dei catari si dirigeva soprattutto contro la croce in cui essi vedevano il simbolo del dio del Male. Già attorno al Mille, nella regione di Chálons un certo Leutardo incitava a distruggere croci e immagini sacre. Nel XII secolo Pietro di Bruys innalzava falò di croci, finendo poi lui stesso sul rogo per volere della folla indignata.

Per loro le chiese non erano che mucchi di pietre, e la liturgia un rito pagano; rifiutavano pure le immagini sacre, l'intercessione dei santi, le preghiere dei morti.

Il domenicano Ranieri Sacconi, un inquisitore che per 17 anni era stato eretico, scrive che ai catari non era proibito saccheggiare le chiese.

Essi rifiutavano la gerarchia cattolica ma ne possedevano una propria; lo stesso era per i sacramenti. La struttura organizzativa di base poggiava sulla divisione in due gruppi, quello dei "perfetti" e quello dei "credenti". I primi erano un numero ristretto (Ranieri ne contò 4.000 in tutto), ma rappresentavano l'oligarchia che guidava tutta la setta; essi costituivano il clero cataro: vescovi, presbiteri e diaconi. Soltanto a loro era svelata l'intera dottrina della setta, mentre i "credenti" erano tenuti all'oscuro di molti suoi punti soprattutto dei più radicali in forte contrasto con il cristianesimo. Soltanto i "perfetti" erano tenuti a osservare innumerevoli prescrizioni; in particolare non potevano in alcun caso abiurare la loro dottrina, in caso di persecuzioni dovevano affrontare il martirio, mentre i "credenti" potevano frequentare la chiesa per salvare le apparenze e in caso di repressione potevano anche rinnegare la propria fede.

In cambio però la posizione dei "perfetti" all'interno della setta era incomparabilmente più privilegiata della posizione di un prete nella Chiesa cattolica. In un certo senso era quasi dio stesso, e come tale veniva onorato dai "credenti".

Questi ultimi avevano l'obbligo di mantenere i "perfetti". Uno dei riti fondamentali della setta era "l'adorazione" che consisteva in una triplice prosternazione dei "credenti" davanti ai "perfetti".

I "perfetti" dovevano sciogliere il loro matrimonio e non avevano nemmeno il diritto di toccare (alla lettera) una donna. Non potevano possedere bene alcuno ed erano tenuti a votarsi completamente al servizio della setta. Era loro proibito avere fissa dimora, peregrinando in continuazione o rifugiandosi in asili segreti.

L'iniziazione dei "perfetti", o consolamentum, era anche il sacramento più importante. Non lo si può paragonare ad alcun sacramento della Chiesa cattolica. Si trattava di una via di mezzo tra il battesimo (o cresima), l'ordinazione, la confessione e a volte anche l'estrema unzione. Soltanto chi lo riceveva poteva sperare d'esser liberato dal carcere del corpo, perché la sua anima sarebbe tornata alla dimora celeste.

La maggior parte dei catari non si piegavano alle dure prescrizioni che vincolavano i "perfetti", ma contavano di ricevere il consolamentum solo in punto di morte, si chiamava allora "la buona morte". La preghiera che si pronunciava in quell'occasione era simile al Padre Nostro.

Spesso, quando un malato che aveva ricevuto il consolamentum guariva, gli veniva suggerito di por fine ai suoi giorni con il suicidio, che si chiamava "endura". In molti casi l'endura era la conditio sine qua non per impartire il consolamentum; non di rado la subivano i vecchi e i fanciulli che avevano ricevuto il consolamentum (naturalmente in questi casi il suicidio diventava omicidio). Le forme di endura erano svariate: avvenivano per lo più per inedia (nel caso di lattanti che le madri cessavano di nutrire), ma anche per dissanguamento, o con bagni caldi alternati a esposizioni al gelo, con bevande mescolate a frammenti di vetro, oppure ancora mediante strangolamento.

Dollinger, che ha esaminato gli archivi dell'Inquisizione a Tolosa e a Carcassonne, scrive: "Studiando attentamente i verbali dei due processi citati ci si convince che furono molte di più le vittime dell'endura (alcune volontarie, altre costrette) che quelle dell'Inquisizione" (61).

Da questi postulati generali discesero le teorie socialiste diffusesi tra i catari. La proprietà privata era rifiutata come elemento del mondo materiale. I "perfetti" non potevano avere alcuna proprietà individuale, anche se di fatto avevano in mano i beni della setta, spesso ingenti.

I catari godevano di una certa influenza negli ambienti più diversi, anche in quelli più elevati. Si narra che il conte Raimondo VI di Tolosa tenesse al suo seguito alcuni catari, dissimulati tra gli altri cortigiani, perché in caso di morte improvvisa gli potessero impartire la loro benedizione.

Tuttavia la predicazione catara si indirizzava per lo più ai ceti inferiori urbani, come dimostrano le denominazioni di varie sette: poplicani (alcuni studiosi la considerano una deformazione di pauliciani), piphler (pure dalla parola plebs), texerantes (tessitori), indigenti, patarini (dagli stracciaioli milanesi, simbolo dei poveri). Tutti predicavano che la vita può dirsi veramente cristiana solo con la "comunanza dei beni" (62).

Nel 1023 a Monforte fu celebrato un processo contro dei catari accusati d'aver propagandato il possesso comune dei beni, il celibato e la disobbedienza alla Chiesa.

Evidentemente l'appello a mettere in comune i beni era abbastanza diffuso tra i catari, giacché se ne fa menzione in molta pubblicistica cattolica contro di essi. Un autore accusa i catari di predicare in modo demagogico dei principi che sono i primi a non mettere in pratica: "Voi non mettete tutto in comune, c'è chi ha di più e chi ha di meno" (63).

Il celibato dei "perfetti" e la condanna generalizzata del matrimonio si ritrovano presso tutti i catari. Tra i vari casi previsti, solo il matrimonio è considerato peccato, mentre non lo è la fornicazione al di fuori del matrimonio. Non dimentichiamo che il comandamento "non desiderare la donna d'altri" viene dal dio del Male. Queste proibizioni tendono più che a mortificare la carne, a distruggere la famiglia. Molti contemporanei accusano i catari di tenere le donne in comune, di praticare l'amore "libero" o "santo".

San Bernardo di Chiaravalle, verso il 1130-50, accusava i catari di predicare contro il matrimonio ma di praticare poi il concubinato con le donne che avevano abbandonato la famiglia (64).

Dello stesso avviso è Ranieri (65).

Troviamo lo stesso tipo d'accusa nelle cronache dell'arcivescovo di Rouen, Ugo d'Amiens, contro la setta manichea che si era diffusa in Bretagna attorno al 1145.

Alano di Lilla, che scrisse un'opera contro le eresie nel XII secolo, attribuisce ai catari idee di questo genere: "I vincoli matrimoniali contraddicono le leggi della natura, poiché queste vogliono che tutto sia comune" (66).

L'eresia catara si diffuse in Europa con rapidità sorprendente. Nel 1012 si ha notizia di una setta a Magonza; nel 1018 e nel 1028 si fanno vivi in Aquitania; nel 1028 a Orléans; nel 1025 ad Arras; nel 1028 a Monforte (presso Torino); nel 1030 in Borgogna; nel 1042 e 48 nella diocesi di Chálons-sur-Marne; nel 1051 a Goslar.

Buonaccorso, ex vescovo cataro, scrive della situazione in Italia attorno al 1190: "Non sono forse pieni di questi falsi profeti tutti i paesini, le città, i castelli?" (67).

E il vescovo di Milano affermava nel 1166 che nella sua diocesi c'erano più eretici che credenti ortodossi.

Un'opera del XIII secolo enumera 72 vescovi catari. Ranieri Sacconi parla di 16 chiese catare. Esse avevano stretti legami reciproci, e sembra che in Bulgaria avessero persino un papa. Tenevano concili cui presenziavano rappresentanti di molti paesi. Nel 1167, a Saint-Félix presso Tolosa, si tenne pubblicamente un concilio promosso dal papa eretico Niceta, cui partecipò un gran numero di eretici, venuti fin dalla Bulgaria e da Costantinopoli.

Ma il successo maggiore l'eresia lo riscosse nel sud della Francia, nella Linguadoca e in Provenza. Qui furono inviate numerose missioni per cercare di convertire gli eretici. Con una di queste si recò anche san Bernardo di Chiaravalle, il quale racconta che le chiese erano deserte e nessuno più si comunicava né faceva battezzare i figli. I missionari e il clero cattolico locale venivano malmenati, minacciati e insultati.

La nobiltà locale sosteneva attivamente la setta, vedendovi una possibilità di appropriarsi delle terre della Chiesa. La Linguadoca parve per più di 50 anni definitivamente perduta per Roma. Il legato papale Pietro di Castelnau fu ucciso dagli eretici. Più volte il Papa indisse delle crociate contro gli eretici della Provenza.

Le prime spedizioni si risolsero in sconfitte grazie all'appoggio della nobiltà locale ai catari. Solo nel XIII sec., alla fine della più che trentennale crociata "degli albigesi", l'eresia fu sconfitta. Tuttavia la sua influenza seguitò a farsi sentire per diversi secoli.



I fratelli del libero spirito e i fratelli apostolici
Nello sviluppo di queste dottrine un ruolo di particolare importanza ebbero due pensatori che anche in seguito continuarono a influenzare i movimenti ereticali del Medioevo e del periodo della Riforma: Gioacchino da Fiore e Amalrico di Bena.. Entrambi vissero nel XII secolo, e morirono poco

dopo il 1200. Gioacchino fu monaco e abate. Secondo le sue stesse parole la sua dottrina in parte si fondava sulle Sacre Scritture, in parte era frutto di una rivelazione. Il tutto si basava su un concetto di storia umana intesa come progressiva conoscenza di Dio. Gioacchino suddivide questa storia in tre epoche: il Regno del Padre, da Adamo a Cristo; il Regno del Figlio, da Cristo fino al 1260, e il Regno dello Spirito, che avrebbe avuto inizio dal 1260.

La prima era l'epoca della sottomissione servile; la seconda quella dell'obbedienza filiale, mentre la terza sarà l'epoca della libertà secondo le parole dell'apostolo: "Dov'è lo Spirito del Signore c'è libertà" (68). Allora il popolo di Dio sarà stabilito nella pace, affrancato da ogni fatica e sofferenza.

Sarà il tempo degli umili e dei poveri, gli uomini non conosceranno le parole "mio" e "tuo". I monasteri abbracceranno tutta l'umanità, e il Vangelo Eterno sarà letto con mistica intelligenza. L'era della perfezione si compirà nell'ambito della vita terrena e della storia umana a opera di mani mortali. La precederanno guerre tremende e comparirà l'Anticristo. Gioacchino ne vede una prova nello stato di corruzione in cui si trova la Chiesa a lui contemporanea.

Il giudizio universale si scaglierà innanzitutto sulla Chiesa e l'Anticristo diverrà papa. Gli eletti di Dio, votatisi alla povertà apostolica, staranno dalla parte di Cristo in questa lotta. Sconfiggeranno l'Anticristo riunificando tutta l'umanità nel cristianesimo. La teoria di Gioacchino è caratterizzata dal determinismo storico, che fa sì che la storia possa essere prevista e calcolata. Dai suoi computi risulta per esempio che la prima epoca durò 42 generazioni, la seconda 50.

In vita Gioacchino fu un figlio fedele della Chiesa, fondò un monastero e, nei suoi scritti, combatté i catari. Ma poi una raccolta di citazioni delle sue opere fu condannata come eretica, probabilmente in considerazione della sua influenza sulle sette eretiche.

Amalrico si ricollegava idealmente a Gioacchino da Fiore. Anche per lui la storia era la graduale rivelazione di Dio. Dapprincipio c'era la legge di Mosè, poi la legge di Cristo, che aveva fatto decadere la legge di Mosè. Viene ora il tempo della terza rivelazione, che s'incarna in Amalrico e nei suoi seguaci come prima si era incarnata in Cristo. Essi ora sono diventati Cristo.

Amalrico era professore di teologia a Parigi. Non divulgò appieno la sua dottrina, ma solamente le affermazioni più inoffensive. Ciò non di meno furono presentate a Roma delle denunce a suo carico. Nel 1204 il Papa condannò il suo sistema, allontanandolo dalla cattedra. Amalrico morì poco dopo.

Si sono conservate le tre proposizioni fondamentali di questo nuovo cristianesimo:
I. Dio è tutto.
II. Tutto è uno, poiché tutto ciò che esiste è Dio.
III. Chi segue la legge dell'amore è al di sopra del peccato.

Queste formulazioni stavano a significare che i seguaci di Amalrico sarebbero riusciti, attraverso l'estasi, a identificarsi con Dio. Lo Spirito Santo s'incarnava in loro come aveva fatto con il Cristo. Un tale uomo non può più peccare, perché ogni suo gesto è volontà di Dio. Egli è superiore alla legge.

Così per gli amalriciani il regno dello Spirito non era altro che la condizione spirituale dei membri della setta e non l'attiva trasformazione del mondo, anche se quest'ultima interpretazione non era loro del tutto estranea.

Nel XIII e XIV secolo si diffuse in Francia, Germania, Svizzera e Austria una setta che aveva molti punti di contatto con le idee degli amalriciani. I settari si facevano chiamare fratelli e sorelle del libero spirito, o "liberi spiriti".

Il nucleo centrale della loro dottrina era la possibilità di "trasfigurarsi in Dio". Essendo l'anima umana composta di sostanza divina, questo stato "divino" può essere raggiunto, in linea di principio, da qualsiasi uomo. A questo scopo bisogna superare la prova di un lungo noviziato nella setta: rinunciare a ogni proprietà, alla famiglia, alla propria volontà e vivere d'elemosina. Al termine della prova si raggiungerà lo stato "divino" diventando un "libero spirito". Si sono conservate innumerevoli testimonianze sulle concezioni della setta lasciateci da "liberi spiriti" pentiti (come ad esempio Johann di Brünn che visse 8 anni in queste condizioni dopo aver fatto 20 anni di noviziato [69]), oppure interrogati dall'Inquisizione [come Johann Hartman di Astmanstetten vicino a Erfurt (70), Conrad Kandler di Eichstatt (71), Herman Micherier di Wurzburg (72) - Constantin di Erfurt] (73). Erano tutti concordi nel dire che lo stato di "divinità" non è un'estasi momentanea, ma una condizione normale, che Hartman descrive come "scomparsa totale dei tormenti della coscienza". In altre parole lo "spirito libero" si è affrancato da ogni limitazione etica e morale; è superiore a Cristo, che era un uomo mortale e che, una volta entrato nella setta, raggiunse lo stato "divino" solo sulla croce. Egli diventa assolutamente pari a Dio, "senza alcuna differenza". Di conseguenza il suo volere è volere di Dio e il peccato non ha per lui alcun senso.

Le idee diffuse nella setta aiutano a comprendere sotto vari punti di vista questa impeccabilità (innocenza) dei "liberi spiriti", la loro libertà da ogni legge morale.

Lo "spirito libero", insomma, è signore e padrone di tutto l'universo. Tutto gli appartiene e di tutto può disporre a sua discrezione; e se qualcuno lo ostacola lui può ucciderlo, foss'anche l'imperatore in persona. Niente di ciò che egli può realizzare nella carne può minimamente scalfire o aumentare la sua "divinità". Per questo il suo stato gode della più assoluta libertà: "Perisca lo Stato, piuttosto che egli reprima le esigenze della sua natura", dice Hartman (74).

Il rapporto con qualsiasi donna, sia pure la sorella o la madre, lungi dal contaminarlo, non fa che aumentare la sua santità. Sappiamo da numerose fonti (Jehan Herzon dell'Ile de France, 1423; Guglielmo, procuratore di Colonia, 1325; un abate cistercense di un monastero presso Klagenfurt, 1326; e altri) di rituali accompagnati da unioni sessuali contro natura. In Italia queste "messe" erano chiamate "barilotto", in Germania esistevano speciali rifugi detti "paradisi", atti a questo genere di incontri.

Lo studioso contemporaneo Grundmann (75) sottolinea in proposito che proprio nel tardo Medioevo non c'era nessun bisogno d'appartenere a una setta qualsiasi per professare idee e per comportarsi in modo quanto mai libero in campo sessuale. La natura di queste "messe" era puramente ideologica.

Nell'animo del "libero spirito" che aveva raggiunto lo "stato divino" avveniva una rottura netta con tutta la vita precedente. Quello che prima era per lui sacrilegio (e restava tale per i rimanenti uomini "comuni") diventava ora segno della fine di un'epoca storica e inizio di un'altra, di un nuovo eone. Il suo modo di comportarsi gli permetteva di prendere coscienza, di esprimere la propria rinascita e la rottura con il vecchio eone.

I "liberi spiriti" non avevano logicamente bisogno degli strumenti di salvezza offerti dalla Chiesa cattolica: pentimento, confessione, remissione dei peccati ed eucarestia. Per di più la Chiesa era loro nemica perché aveva usurpato il diritto di sciogliere e di legare, che appartiene soltanto a loro.

Un marcato sentimento antiecclesiale traspariva da tutte le dichiarazioni dei "liberi spiriti", e si esprimeva di frequente nell'omaggio a Satana.

Il centro focale della loro ideologia non era Dio ma l'Uomo divinizzato che si è liberato dal sentimento del proprio peccato, che si erge al centro della creazione. Per questo nella loro dottrina assume un ruolo tanto importante Adamo, non il peccatore dell'Antico Testamento, ma l'uomo perfetto.

Molti "spiriti liberi" si autodefinivano "nuovo Adamo", e Conrad Kandler si definiva perfino Anticristo, ma "non nel senso cattivo".

Ci troviamo qui di fronte, sia pure nelle modeste dimensioni di questa setta, a un modello di Umanesimo che più tardi si imporrà a tutta l'umanità.

L'influenza della setta in campo sociale trova una chiara conferma negli eventi accaduti in Umbria intorno al 1320, in occasione della rivolta antipapale. L'insegnamento dei "liberi spiriti" era ampiamente diffuso tra i nobili della regione e divenne l'ideologia del partito antipapale. Nel corso della lotta contro i papi e i comuni, la dottrina servì a giustificare l'impiego di qualsiasi mezzo, e il rifiuto di ogni pietà.

Divenne regola ammessa uccidere tutti gli abitanti delle Città conquistate, compresi donne e bambini. Il capo della sollevazione, il conte di Montefeltro e i suoi seguaci si vantavano di saccheggiare le chiese e di violentare le monache.

La loro suprema divinità era Satana (76).

Ma furono le classi più povere a subire la maggior influenza, soprattutto il movimento dei begardi e delle beghine, associazioni di vergini, uomini e donne, e praticavano qualche mestiere o vivevano di carità. Questi ceti componevano la cerchia essoterica esterna alla setta, mentre gli "spiriti liberi" che avevano raggiunto lo stato di "divinità" ne formavano il circolo esoterico più ristretto.

La divisione in due gruppi ci richiama l'organizzazione dei catari, come anche la fede nella "divinità" dei membri di una cerchia di eletti si può considerare come l'ulteriore sviluppo della posizione privilegiata dei "perfetti" presso i catari. La massa più vasta che costituiva la cerchia essoterica della setta non era al corrente dei punti più radicali della dottrina, come ci dimostrano i verbali di numerosi interrogatori dell'Inquisizione. Lo stato di "divinità" dei "liberi spiriti" giustificava ai loro occhi il diritto di questi ad assumere la guida spirituale. In queste cerchie l'importanza maggiore era attribuita ai punti della dottrina che proclamavano la comunanza dei beni nelle forme più estreme, rifiutando le istituzioni fondamentali della società: la proprietà privata, la famiglia, la Chiesa, lo Stato. Ci imbattiamo qui negli aspetti socialisti della dottrina. Così l'affermazione che "tutti i beni devono essere comuni" ricorreva frequentemente tra i principi della setta (77).

Gli appelli alla libertà sessuale spesso erano indirizzati direttamente contro il matrimonio. Il gruppo "homines intelligential", attivo a Bruxelles nel 1410-11 (78) ad esempio, considerava peccaminosa l'unione sessuale nel matrimonio.

Proclamare gli "spiriti liberi" uguali a Cristo significava distruggere la gerarchia non solo sulla terra, ma anche in cielo. Tutte queste idee si diffusero principalmente tra i mendicanti begardi che i loro maestri spirituali esortavano a liberarsi da ogni legame terreno. Così Egidio Cantore, di Bruxelles, poteva dire: "Io sono il liberatore dell'uomo. Attraverso di me voi conoscerete Cristo, come attraverso Cristo il Padre" (79).

Sarà sotto l'influenza dei "fratelli del libero spirito" che si svilupperà in Italia, nella seconda metà del XIII sec., una setta i cui membri si chiamavano "fratelli apostolici".

Questa setta predicava la prossima venuta dell'Anticristo predetta da Gioacchino. La Chiesa cattolica si era distaccata dai precetti di Cristo. Essa era Babilonia la meretrice, la bestia con sette teste e dieci corna dell'Apocalisse. La caduta era avvenuta al tempo dell'imperatore Costantino e di Papa Silvestro, che si era venduto al diavolo. Erano imminenti grandi rivolgimenti, che sarebbero terminati con la vittoria dell'altra chiesa, quella spirituale, la setta dei fratelli apostolici, la comunità dei santi. Il mondo allora sarebbe stato governato da un santo, un papa scelto da Dio e non eletto dai cardinali, che allora sarebbero già stati uccisi. Ma anche nel presente la setta è guidata da un capo designato da Dio. A lui bisogna tributare un'obbedienza assoluta. Per difendere la fede tutto è permesso, qualunque violenza contro i nemici; ma le persecuzioni della Chiesa cattolica contro di loro sono un gravissimo peccato.

La setta sosteneva la comunanza dei beni e delle donne.

Questa era la dottrina che diffondevano gli apostoli itineranti tra il popolo. Il capo della setta, Dolcino, diffondeva le sue lettere a mo' di proclami. Infine nel 1304 fu fatto un tentativo di mettere in pratica questi principi. Raccolti cinquemila membri della setta, Dolcino si attestò in una zona montagnosa dell'Italia settentrionale depredando la campagna circostante, distruggendo chiese e monasteri.

Dopo tre anni di guerra il campo di Dolcino fu preso d'assalto e lui stesso giustiziato. Questo episodio è narrato più dettagliatamente nell'Appendice.



I taboriti
Il rogo di Jan Hus, nel 1415, diede il via in Boemia al movimento anticattolico degli hussiti.

La parte più radicale del movimento si scelse come base una cittadella fortificata vicino a Praga, cui fu dato il nome di Tabor. Qui confluirono eretici da tutta Europa: gioachimiti (seguaci di Gioacchino da Fiore), valdesi, begardi. Fra i taboriti erano largamente diffuse le teorie del socialismo chiliastico; si fecero anche alcuni tentativi di metterle in pratica.

Cercheremo di fare un sunto della dottrina dei taboriti sulla base delle opere di alcuni contemporanei (come il futuro Papa Enea Silvio Piccolomini, Przibram, Vavrzinec, Lorenzo di Bzezin).

Nel 1420 sarebbe venuta la fine del mondo, la consumatio saeculi. Tuttavia questo termine indicava solamente la fine del "vecchio mondo", del "dominio del male". Allora si sarebbe verificato l'allontanamento immediato dei "malvagi", nel "giorno della vendetta e nell'anno del castigo": "Bisogna piegare come rami di alberi tutti i privilegiati e i potenti potarli e bruciarli nella stufa come paglia; non ne resterà radice né germoglio, e saranno macinati come covoni, il sangue ne stillerà, saranno distrutti da scorpioni, serpi e bestie feroci, e messi a morte" (80).

E' "abolita" e sospesa la legge di misericordia di Cristo, "perché in molti casi il suo spirito e la sua lettera entrano in contraddizione con il giudizio che viene dall'alto" (81).

Bisogna al contrario agire "con zelo e durezza, e con una giusta legge del taglione" (82) necessario che "ogni giusto si lavi le mani nel sangue dei nemici di Cristo" (83). Chi impedirà di versare il sangue degli avversari di Cristo sarà maledetto e punito come se fosse uno di loro.

Tutti i contadini che non si uniranno ai taboriti saranno "distrutti assieme a tutte le loro proprietà" (84). Si istituirà il regno di Dio sulla terra, non per tutti però, ma solo per gli "eletti". Il "male" non sarà estirpato dal mondo, ma sarà sottomesso ai "buoni". Tutti i fedeli dovranno raccogliersi in cinque città, dato che al di fuori di queste non ci sarà pietà al momento del Giudizio universale. Da queste città essi governeranno tutte le terre, mentre le città che a loro si opporranno "verranno bruciate e distrutte come Sodoma" (85). In particolare "nell'anno della vendetta la città di Praga dovrà essere distrutta e bruciata dai fedeli come Babilonia" (86). Questo periodo si concluderà con la venuta di Cristo. Allora "gli eletti da Dio regneranno visibilmente e sensibilmente con Dio Signore per mille anni" (87).

Quando Cristo con i suoi angeli scenderà sulla terra, i giusti, quelli che sono morti per Cristo, risorgeranno e contemporaneamente avrà inizio il giudizio dei peccatori. Le donne concepiranno senza conoscere l'uomo e partoriranno senza dolore. Nessuno dovrà seminare né mietere. "Non si consumerà più alcun frutto" (88). I predicatori esortavano a "non fare più nulla, abbattere gli alberi, distruggere le case, i monasteri e le chiese" (89).

"Tutte le istituzioni e le leggi umane devono cadere poiché non vengono dal Padre Celeste" (90).

Insegnavano che "la Chiesa è eretica e peccatrice, e che tutte le ricchezze devono esserle tolte per darle ai laici" (91). "Le abitazioni dei preti e tutte le proprietà ecclesiastiche devono essere distrutte; le chiese, gli altari e i monasteri rasi al suolo" (92). Staccavano le campane per romperle e venderle poi altrove. Fracassavano le suppellettili sacre, i candelabri e gli oggetti d'oro e d'argento (93). "Dovunque gli altari venivano abbattuti, asportate le Sacre Specie; le case di Dio erano profanate e trasformate in stalle e porcili" (94). "Calpestavano il Santissimo", "versavano il Sangue di Cristo, rubavano e vendevano calici" (95).

Alcuni predicatori dicevano che "era meglio pregare il diavolo piuttosto che inginocchiarsi davanti alla Santa Eucaristia" (96). "Uccisero un gran numero di preti, mandandoli al rogo, e per loro non c'era niente di più bello che prenderne qualcuno per ammazzarlo" (97). Il canto preferito dei taboriti era: "E adesso monaci ballate" (98).

Quando avrà inizio il regno dei giusti: "Non sarà necessario che uno insegni all'altro. Non ci sarà bisogno né di libri, né di saper scrivere, e tutta la saggezza del mondo perirà" (99). Nei monasteri i taboriti non mancavano mai di distruggere le biblioteche. "Ogni proprietà dei nemici di Dio deve essere confiscata e poi bruciata o distrutta" (100).

"Quest'estate e inverno i predicatori e gli etmnani più anziani riuscirono a turlupinare i contadini, perché versassero i soldi nella loro borsa" (101).

In tal modo erano socializzati i soldi della comunità. Venivano poi designati dei "guardiani delle offerte", preposti al controllo dei versamenti e alla suddivisione dei beni comuni. "Nella, cittadella di Tabor non c'è mio e tuo, ma ciascuno usa di tutto ugualmente; tutti devono avere ogni cosa in comune, e nessuno deve possedere qualcosa da solo, se lo fa pecca" (102).

Il programma dei taboriti proclamava in un punto: "Nessuno deve in alcun modo possedere, ma tutto dev'essere comune" (103). E i predicatori andavano insegnando che: "Tutto sarà comune, comprese le donne: i figli e le figlie di Dio saranno liberi e non esisterà il matrimonio come unione tra marito e moglie" (104).

Un begardo proveniente dal Belgio fondò tra i taboriti la setta degli adamiti, che si attestò in un isolotto sul fiume Luznice. Il fondatore si autoproclamava Adamo e figlio di Dio, dicendo d'essere chiamato a resuscitare i morti e a compiere le predizioni apocalittiche. Gli adamiti si consideravano incarnazione del Dio onnipresente; credevano che presto il mondo sarebbe stato sommerso da un bagno di sangue. Su questa terra essi erano la longa manus di Dio, ed erano stati inviati a portare la vendetta e la distruzione per tutti i malvagi del mondo. Il perdono era considerato peccato. Essi uccidevano tutti senza distinzione, di notte appiccavano il fuoco a villaggi, città e persone, facendosi forti di una citazione biblica: "Nella notte si udì un grido". Così nel villaggio di Prcic: "Massacrarono tutti, giovani e vecchi, e incendiarono il villaggio" (105).

Alle assemblee andavano nudi, credendo che solo in questo modo sarebbero diventati puri. Rifiutavano il matrimonio: ognuno poteva scegliersi quante donne voleva, bastava che dicesse: "Il mio spirito si è infiammato per questa", e Adamo li benediceva: "Andate, riproducetevi e popolate la terra". Secondo altre fonti tra loro regnava la più assoluta libertà sessuale.

"Chiamano il cielo tetto e dicono che non c'è Dio sulla terra, come non c'è diavolo all'inferno" (106).

Per ordine di Jan Zizka gli adamiti furono sterminati dai taboriti dell'ala moderata.

Per lungo tempo si è ritenuto che le voci sugli adamiti (come molte informazioni a proposito dei taboriti) non fossero che invenzioni dei loro nemici. A dare il via a questa opinione fu l'illuminista francese Isaac de Baussobre, ugonotto; mentre nella forma più radicale troviamo quest'opinione nelle opere dello storico marxista ceco Macek. Tuttavia già Engels aveva sottolineato: "Un fatto curioso: in ogni movimento rivoluzionario di qualche importanza, il problema del libero amore" si pone in primo piano" (107).

E' interessante notare che recentemente il problema degli adamiti ha subito il dettagliato esame critico degli storici marxisti E. Werner e M. Erbstósser (108). Essi hanno dimostrato l'esistenza di un'antica tradizione incentrata sul culto di Adamo nel movimento dei "fratelli del libero spirito. Le notizie sugli "adamiti" boemi, tenuto conto delle naturali inesattezze dovute al carattere esclusivo, esoterico della loro dottrina, concordano pienamente con il quadro del movimento a livello europeo che abbiamo tracciato nel paragrafo precedente.

Macek, ad esempio, considera "una sporca calunnia" (109) la citazione da noi riportata dall'Antica cronaca: "Tutto sarà comune, comprese le donne [...]". A suo modo di vedere questo passo viene smentito da un altro di Przibram, dove si afferma che a Tabor erano proibiti i rapporti tra uomo e donna: "Se infatti due sposi erano colti a incontrarsi, o si veniva a sapere, erano picchiati a morte o gettati nel fiume".

Tuttavia questi due passi concordano in realtà appieno con la tradizione degli "spiriti liberi", i quali predicavano un'illimitata libertà sessuale e, contemporaneamente, la colpevolezza del matrimonio, com'era ad esempio per gli "homines intelligential" che agivano a Bruxelles quasi contemporaneamente agli adamiti cechi.

L'imperatore e il Papa indissero una crociata contro i taboriti ma questi, dopo aver sbaragliato i crociati, portarono addirittura la guerra nei paesi vicini.. Le loro incursioni, che nella tradizione hussita avevano preso il nome di "gloriose campagne" avvennero annualmente tra il 1427 ed il 1434. In certi paesi compirono devastazioni, riportandone grossi bottini, in altri, come la Slesia, furono lasciate guarnigioni.

Una canzone dell'epoca dice: "Meissen e Sassonia son distrutti, Slesia e Lusazía sono in rovine, la Bavaria ridotta a un deserto, l'Austria devastata, la Moravia isterilita, la Boemia rivoltata sottosopra".

Distaccamenti taboriti giunsero fino al mar Baltico, fin sotto le mura di Vienna, Lipsia e Berlino; Norimberga pagò loro un tributo. La Boemia fu devastata. Nella Cronaca del Vecchio collegio si dice: "In queste truppe c'erano per lo più stranieri, che non avevano alcuna devozione alla corona" (110) "Sulla loro coscienza pesano incendi, saccheggi, assassíni, violenze".

Ma tutta l'Europa centrale subì devastazioni impressionanti. Il Papa si vide costretto a scendere a compromessi. Al Concilio di Basilea nel 1433, si venne a un - accordo con gli hussiti, e questi rientrarono nella Chiesa cattolica. Ma l'ala più radicale degli hussiti, quella taborita, non riconobbe l'accordo e fu distrutta nella battaglia presso Lipany, nel 1434.

Nel periodo della campagna, tra il 1419 e il 1434, gli hussiti non si limitarono a devastare i paesi circostanti, ma vi introdussero le loro idee chiliastiche e socialiste. Manifesti taboriti furono letti a Barcellona, Parigi, Cambridge. Nel 1423 e nel 1430 si ebbero interventi di partigiani degli hussiti nelle Fiandre. In Germania e in Austria l'influenza hussita si faceva sentire ancora a cento anni di distanza, all'epoca della Riforma. Nella stessa Boemia i taboriti sconfitti diedero inizio alla setta dei fratelli boemi, o "Unitas fratrum", nella quale la precedente intolleranza verso la Chiesa cattolica e il potere laico si univa al rifiuto totale della violenza, anche in caso di legittima difesa. Di questa setta avremo a parlare più tardi. Essa esiste a tutt'oggi.