Tratto da:
Philippe de Ségur, “Napoleone in Russia”, Vol. II, Milano, 1950.

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Si sarebbe potuto resistere a Vilna ventiquattro ore di più, e molti dei nostri sarebbero stati salvati. Quella fatale città ne ritenne circa ventimila, fra i quali trecento ufficiali e sette generali. Erano stati per la maggior parte colpiti dall’inverno, più che dal nemico che ne trionfò. Altri erano ancora illesi, almeno in apparenza, ma la loro forza morale era agli estremi. Dopo aver avuto il coraggio di superare tante difficoltà, si scoraggiarono in vicinanza del porto e dinanzi a quattro giorni di marcia in più. Avevano ritrovato finalmente una città civile, e piuttosto che decidersi a rientrare nel deserto, si abbandonarono al loro destino che si mostrò crudele.
Per verità, i lituani che abbandonavamo dopo averli tanto compromessi, accolsero e soccorsero qualcuno di quei nostri; ma gli ebrei che avevamo protetti
[i giacobini “emanciparono” gli ebrei, N.mia], respinsero gli altri. Fecero ancora di peggio; la vista di tanti dolori eccitò la loro cupidigia. Tuttavia, se l’infame loro avidità di lucro, speculando sui nostri bisogni, si fosse accontentata di venderci a peso d’oro dei deboli soccorsi, la storia sdegnerebbe d’insudiciare le sue pagine con tali disgustosi particolari; ma ch’essi abbiano attirato i nostri sventurati feriti nelle loro case per spogliarli, e che poi, all’arrivo dei russi, abbiano precipitato dalle porte e dalle finestre quelle vittime nude e spiranti; che le abbiano lasciate morire là, spietatamente, di freddo; che quei vili barbari si siano fatti addirittura un merito agli occhi dei russi di torturarli, tutti questi crimini così orrendi, debbono essere denunziati ai secoli presenti e futuri. Oggi che le nostre mani sono impotenti, può darsi che la nostra indignazione contro quei mostri sia il solo loro castigo su questa terra; ma verrà pure il giorno in cui gli assassini raggiungeranno le loro vittime, e là, senza dubbio, nella giustizia del Cielo, troveremo la nostra vendetta!
Il 10 dicembre, Ney, che si era ancora assunto volontariamente l’incarico della retroguardia, uscì dalla città, e subito i cosacchi di Platof inondarono Vilna, massacrando tutti gli sventurati che gli ebrei gettarono sul loro passaggio. In mezzo a quella carneficina, comparve a un tratto un picchetto di trenta francesi provenienti dal ponte della Vilia, dov’erano stati dimenticati. Alla vista di quella nuova preda, accorrono in migliaia di cavalieri russi, si serrano, circondano i nostri con alte grida, e li assaltano da tutte le parti.
Ma l’ufficiale francese aveva già disposto i suoi soldati in circolo; senza smarrirsi, comanda loro di far fuoco, e poi di caricare alla baionetta. In un istante i russi fuggono, egli rimane padrone della città, e, senza stupirsi della viltà dei cosacchi, come non si era scosso per il loro attacco, approfitta del momento, ordina ai suoi un brusco dietrofront, e riesce a raggiungere senza perdite la retroguardia francese
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