Siracusa, la guerra delle due Margherite


Salvatore Faraci detto «Salvo» dice che manco lo conosce ’stu connutissimo Salvatore Faraci detto «Salvo». Sa solo che è spuntato fuori dal nulla come un fungo (un fungo!) la notte prima della presentazione delle liste, si è piazzato sotto il suo stesso simbolo (lo stesso simbolo!) e rischia di mandargli a monte l’elezione che era già sicura (sicura!). Questo secondo Salvatore Faraci detto «Salvo», per contro, dice che lui che minchia ne sapeva che c’era un altro Salvatore Faraci detto «Salvo» nella stessa lista, ah? Gli chiesero di candidarsi, si candidò. Fine. Fatto sta che intorno alla pirandelliana storia dei due omonimi è scoppiato un casino inimmaginabile. Ma è meglio partire dal principio.
Tutto nasce da una spaccatura insanabile dentro la Margerita siciliana, dovuta a un miscuglio di contrasti politici, gelosie personali, ideali e odii. Due sono i gruppi parlamentari all’Ars, ciascuno con un presidente, un vice, un segretario e così via.
Tre i coordinatori regionali chiamati a rappresentare ciascuno un’anima del partito. Due i candidati sindaci a Ispica, un paese ragusano dove contro l’uomo della destra sono sbocciate due Margherite opposte ognuna col suo stelo, i suoi petali, le sue foglie.
Lo scontro epocale (si fa per dire) è infatti tutto siracusano e vede di fronte due personaggi assai diversi.
Di qua Egidio Ortisi, un professore di italiano e latino già sindaco di Floridia, un grosso borgo quasi alle porte della città aretusa e presidente oggi di uno dei micro-gruppi della Margherita in regione.
Di là Calogero Piscitello detto "Rino", il voluminoso vice-coordinatore organizzativo della Margherita diventato famoso, dopo essere stato figiciotto, demoproletario, verde arcobaleno, retino, dipietrista e prodiano come «l’uomo che fece infuriare De Mita» per aver trattato così cocciutamente, a nome dell’Asinello, le candidature alle catastrofiche elezioni del 13 maggio 2001, che a un certo punto Ciriaco sbottò: «Gredevo di drovarmi davandi un sigiliano birandelliano invege sei un dedesco! Vorrei fare un ragionamento...» E lui: «Ragiona quanto vuoi ma a noi ne toccano 25».
I due non si sopportano. Ortisi accusa Piscitello di essere soltanto un uomo di potere e dice che se lo trova «tra i piedi da dieci anni e ogni volta sta in un partito diverso» e irride alla sua «forza elettorale del tutto inesistente se non ridicola» e assicura che «dentro la Margherita non ne possono più di lui» e giura che «invece che dare battaglia alla destra come sarebbe dovere di ogni persona perbene lui pensa solo a se stesso e l’unica cosa che gli preme è mantenere il suo posto perché non ha mai lavorato e se lo buttano fuori dalla politica non sa come sbarcare il lunario». Piscitello dice che lui «ha ben altro da fare per occuparsi di queste cose locali» e accusa Ortisi di «costruire polemiche inesistenti che danneggiano il partito» e di pensare «solo a se stesso» e avere costruito rapporti politici di «puro potere» basati «solo su Floridia» e lo sfida dopo le elezioni («perché prima bisogna occuparsi solo di quelle») ad andare «davanti ai probiviri e vedere lì chi è stato in questi anni ad avere giocato contro».
Insomma: la solita baruffa tra galli. Baruffa di provincia. Destinata a restare circoscritta se queste reciproche accuse in fotocopia non fossero sfociate, appunto, nel caso dei due candidati-fotocopia. Così meravigliosamente siculo da oscurare il resto della campagna per le provinciali di Siracusa. Campagna in cui la sinistra, dopo lo choc della straripante vittoria polista di due anni fa, cerca di conservare una delle rare roccaforti isolane. Roccaforte difesa dal presidente uscente Bruno Marziano, un diessino che sventaglia «migliaia di delibere e finanziamenti e battaglie vinte a partire dagli 800 milioni di euro avuti per il completamento della Catania-Siracusa» e chiede la conferma contro Vincenzo Viciullo, un insegnante polista appoggiato da tutti i notabili locali a partire dal discusso Pippo Gianni, che irride alla giunta uscente dicendo che «ha fatto solo quattro sagre della ricotta».
Aveva dunque deciso, Egidio Ortisi, di puntare solo su un paio di candidati personali e in particolare sul traino di un puledro cresciuto in scuderia: Salvatore Faraci detto "Salvo", 45 anni portati giovanilmente, agente di commercio «laureando in medicina», assessore allo sport uscente. Troppo pochi, gli avevano risposto quelli dell’altra sponda del partito: puntando tutto su due invece che ripartire lo sforzo su cinque nomi c’era il rischio che i due uscissero sì vincitori, ma la Margherita no.
Braccio di ferro. Rissa. Rottura. E fu così, per dirla con le parole di Marziano, che «alla scorrettezza dei primi i secondi hanno risposto con una geniale carognata».
All’ultimo istante utile prima della scadenza dei termini, in fondo alla lista della Margherita ecco comparire infatti, sorpresa sorpresa, un altro Salvatore Faraci detto "Salvo". «E questo chi è?», sono saltati su gli ortisiani. Un bidello. Digiuno di politica. Elettore del Polo. Ignoto a tutti. E deciso non solo a non spendere un euro per i volantini ma perfino, caso unico al mondo tra chi si presenta alle elezioni, a non farsi fotografare: «La foto? Che ve ne fate della foto?».
«Vergogna!», ha strillato Ortisi. Dimissioni immediate, lettera di protesta a Rutelli, coro di solidarietà di tutta la Margherita siciliana, dardi infuocati contro Piscitello. «A mmia? Che c’entro? Non ne sapevo nulla», ha risposto quello invitando a «far prevalere la saggezza». Contro-comunicato: «La letteratura e purtroppo la vita reale in Sicilia conoscono bene il rituale del mafioso che, contrito, partecipa al funerale della vittima, porge le condoglianze alla vedova, cerca di apparire equilibrato e sereno...». Insomma, una faida.
Responso tecnico: tutti i voti a Faraci saranno buoni per la Margherita ma impossibili da attribuire all’assessore o al suo omonimo. Tema: come poteva Salvatore Faraci detto "Salvo" difendersi da Salvatore Faraci detto "Salvo"? E mentre dentro il partito si scatenava la guerra, sfociata ieri pomeriggio in due comunicati opposti nei quali Enzo Bianco dava notizia dell’invio a Siracusa di «un garante» mandato da Roma e la Margherita di Roma smentiva tutto, il povero Salvatore originale si arrabattava.
Poteva aggiungere Salvatore Faraci detto "Salvo" fu Giuseppe. Macché: pure l’ombra pare avesse il papà di nome Giuseppe. Pensa e ripensa, ha deciso: «Salvatore Faraci detto "Salvo", del 1957». L’altro è del 1952: non tutti i cannoli riescono col buco...

di GIAN ANTONIO STELLA