Bell'articolo di Franco Cardini sulle conseguenze della guerra nelle nostre vite quotidiane.

Da Il Tempo

IL POVERO NEMICO CI FA PAURA
di FRANCO CARDINI

Davvero: mi sembra di sognare. Un conto è parlare con leonino coraggio e con sovrana indifferenza delle sofferenze altrui (quelle di chi non ha quasi più neppure acqua da bere e deve camminare con gambe di legno in seguito ai bombardamenti intelligenti) tutto un altro è mantenere la calma quando ci si sente minacciati.
O bravi cittadini occidentali, che amate esportare democrazia e importare petrolio (meglio se a buon mercato), non vi aveva pur avvertiti, il presidente Bush, che la guerra «contro il terrorismo» sarebbe stata non solo lunga e dura, ma anche «asimmetrica»? Ora che vuole dire «guerra asimmetrica»? Questo. Che sapevamo bene che nessun aereo e nessun missile irakeno avrebbe mai sorvolato minaccioso i cieli non dico di New York, ma tanto meno di Parigi o di Roma. Vi par poco, vincere una guerra o partecipare comunque a una vittoria senza correre rischi?
Solo che essere in guerra asimmetrica è come pagare con la carta di credito. Sul momento, non succede nulla: poi però arriva il nemico e ti presenta un conto salato da pagare. Mentre vai a scuola o al cinema, al supermarket o in discoteca. E tu protesti che non è così che si fa, che lui non è uniforme, che tu sei un civile indifeso, che non gli avevi fatto nulla (ma non eri d’accordo anche tu che la guerra in Afghanistan e in Iraq era necessaria?), che lui è un «fanatico» e un terrorista». Nulla da fare. Questa è appunto, la guerra del XXI secolo. Missili e soldati da una parte, bombe anonime dall’altra. E il fronte è dappertutto. E siamo tutti in prima linea. Non lo sapevate? Eppure già conoscevate Via Rasella, Belfast, il Paese Basco. Ora ci siamo: anche qui.
E allora si ripensa allo «scontro di civiltà» come «guerra di religioni». Il Papa a suo tempo si era duramente espresso contro la guerra in Iraq proprio per scongiurarlo. Quanti si erano opposti a quell’avventura militare lo avevano fatto anche nella convinzione ch’essa avrebbe non battuto il terrorismo, bensì lo avrebbe alimentato. Abbiamo buttato benzina sul fuoco d’un odio che già divampava. Abbiamo fatto il gioco di Bin Laden. E naturalmente il gioco dei «falchi» new cons, che con la scusa del terrorismo speravano di prolungare per chissà quanto tempo l’occupazione neocoloniale del Vicino Oriente. Ora, si fa appello al «dialogo» e all’Islam «moderato». Benissimo: non so francamente che cosa e dove stia, questo Islam «moderato»; ma non ho dubbio alcuno che i musulmani risponderanno all’appello. Lavoreremo e pregheremo tutti per la pace. Ma come? Chi adesso è disposto a farsi saltare in aria, può anche darsi che dica di farlo «nel nome di Dio», e che creda in quello che dice. Ma non c’è alcun Dio — né quello della Torah, né quello del Vangelo, né quello del Corano — che chieda o che autorizzi tutto questo.
A muovere i terroristi, non è Dio. Sono i demoni. Il demonio dell’odio, quello della frustrazione, quello del desiderio di vendetta, quello dell’ingiustizia subita. Il demonio che sibila insinuando il dubbio che non sia stato giusto far guerra e uccidere innocenti per smantellare reti di terroristi mai individuate o per trovare «armi segrete» mai rinvenute, quindi riorganizzare a proprio comodo la terra altrui conquistata e chiamare tutto questo «democrazia»: e «fanatico» chi non ci sta.
Facciamolo, quindi, l’incontro delle religioni e della gente di buona volontà. Facciamolo a Sant’Egidio, a Gerusalemme o dovunque sia opportuno. Ma convinciamoci che chi è disposto a morire uccidendo, anche quando invoca Dio, si muove — magari sbagliando, e commettendo un crimine orribile — perché ha fame e sete di giustia. È necessario sfamarlo e dissetarlo: non basta dissuaderlo, o minacciarlo, o reprimerlo, o combatterlo. Ci si può anche suicidare nel nome di Dio, se si ha una fede distorta ma forte. Certo, per il petrolio si può anche uccidere; nessuno sarebbe però disposto a morire. Questa la sua realtà che si ha davanti. I ricchi temono di perdere la propria vita. Chi possiede solo il «patrimonio immateriale» della coscienza del torto subito o dell’odio accumulato, non ha nulla da perdere e non teme più nulla.
Per questo noi, con la nostra ricchezza e la nostra forza militare, ora ci sentiamo più deboli e abbiamo paura d’un nemico povero e disperato.
È solo ristabilendo la giustizia che la libereremo da quanti oggi sanno strumentalizzare il suo odio trasformandolo in arma da usare nella «guerra asimmetrica».