...centrodestra pubblicava anche questi commenti, intellettualmente onesti come quelli pubblicati da Repubblica in questi ultimi mesi.
Se non ci credete, leggete.
E’corso denaro tra Cesare Previti e il capo dei Gip di Roma Renato Squillante? E’ corso denaro tra Cesare Previti e il presidente di tribunale FilippoVerde? I magistrati del pool lo affermano senza titubanze nelle carte con le quali chiedono l’arresto dell’avvocato civilista e parlamentare di Forza Italia che, nella sua carriera di uomo d’azienda e in quella politica, è tra i più stretti collaboratori di Silvio Berlusconi, il proprietario della Fininvest e capo dell’opposizione.
Cesare Previti nega che questo passaggio di soldi corruttivo vi sia stato, ma i magistrati sostengono e mettono agli atti che in almeno due occasioni una certa quantità di denaro parte da un conto estero di Previti, transita in un conto estero dell’avvocato Attilio Pacifico, un brasseur d’affaires molto amico sia di Previti sia di Squillante sia di Verde, e finisce linearmente (sebbene indirettamente)nei conti dei due giudici. Ce n’è abbastanza per sottoporre a processo il deputato, in ordine al reato di corruzione in atti giudiziari? Ce n’è abbastanza per allargare al suo principale referente d’affari e di politica, l’onorevole Silvio Berlusconi, l’accusa e la procedura dibattimentale? Ce n’è abbastanza per ipotizzare che su alcune sentenze, come quella che ha risarcito gli eredi Rovelli nel loro ricorso contro l’Imi o come il lodo che ha definitivamente attribuito alla Fininvest la vittoria nella guerra per il possesso della Mondadori, possa aver pesato un’azione corruttiva? Apparentemente sì. Questa volta i fatti documentati dal pool autorizzano a pensare che un’ipotesi d’accusa, tutta da dimostrare, parta da riscontri materiali e da una concatenazione causale che ha un suo fondamento in punta di fatto e di diritto. Questo non vuol dire che quelle sentenze siano state in sé scorrette né implica, per quanto riguarda Silvio Berlusconi, una ipotesi di responsabilità penale personale (Berlusconi non risulta citato come mandante dei pagamenti nelle carte dell’accusa, sebbene si faccia espresso, riferimento all’interesse di “una grande azienda milanese”). Ma i risultati delle rogatorie svizzere del pool sul caso Imi-Sir e degli accertamenti nel caso Squillante sono per il momento eccezionalmente favorevoli all’accusa, eccezionalmente sfavorevoli alla difesa degli indagati. Nei paesi civili a questo punto il commento si consuma e si spegne né c’è spazio per ragionamenti da tifoseria. La difesa dovrebbe fare il suo mestiere, con rigore, spiegando i fatti, offrendo argomenti credibili che smantellino la presunzione accusatoria in ogni suo punto; e l’accusa dovrebbe battersi ad armi pari per dimostrare che la corruzione ci fu, per indicare su che cosa essa verteva, per definire in modo irrevocabile il quadro di responsabilità penale di cui si dice convinta. Non così in Italia, paese anomalo in cui la politica si è per anni finanziata da sé, con mezzi impropri; in cui quasi tutte le imprese si sono per anni amministrate lo spazio vitale in un far west della legalità economica a ciascuno evidente; in un paese in cui i magistrati, invece di procedere con calma e fermezza a un’azione di bonifica imparziale, nel rispetto dei doveri del legislativo e della politica, si sono abbandonati a eccessi giustizialisti (la richiesta di arresto per Previti è uno di questi eccessi) e a palesi parzialità, mettendo alcuni partiti e alcune imprese sotto torchio e salvaguardando interessi e identità di altri partiti o gruppi e di altre imprese.
Fino a costringere un imprenditore come Berlusconi a entrare in politica per bloccare il passo alla formazione di un regime giustizialista e poi a mettere sotto assedio il governo regolarmente eletto, tenendo in scacco il Parlamento e impedendo il regolare funzionamento degli organi costituzionali. Per non parlare della tecnica dei due pesi e delle due misure che in modo particolarmente chiaro è impiegata quando si tratti di creare un uomo nero (a Previti è stato destinato questo ruolo) oppure di ripulire incessantemente un uomo bianco, bianchissimo, candido anzi sbiancato (è il ruolo predestinato del futuro senatore dell’Ulivo, Antonio Di Pietro). In questo paese che è il nostro, dunque, all’ammissione necessaria di un riscontro
di fatto portato nell’indagine da un pool di magistrati, occorre aggiungere altre valutazioni altrettanto importanti. L’indagine su Previti nacque nell’ambiguità di una supertestimonianza su cui pesa, come dimostrò l’incidente probatorio verso il teste Omega (Stefania Ariosto) chiesto dalla difesa, il sospetto di una almeno parziale montatura. Arresti, tecniche investigative,
insomma tutta la costruzione dell’indagine, risentono pesantemente di un clima di pregiudizio e di un plateale falso, quello della inesistente intercettazione in base alla quale la dottoressa Ilda Boccassini, giudicata con bonarietà per questo dal Csm, procedette nell’inchiesta. Fino a raggiungere, con mezzi privi di scrupoli, risultati che oggi costituiscono un colossale problema giudiziario e politico. Che tutti sono chiamati ad affrontare con senso di responsabilità,sottraendosi alla logica della ritorsione strumentale e del linciaggio. L’onorevole Previti e i suoi coindagati hanno diritto a un giusto processo, inun contesto in cui la politica si taccia e il pregiudizio sia censurato, e naturalmente questo giusto processo devono affrontare con coraggio, con dignità e con il senso dell’onore che si richiede a chi si sia assunto la responsabilità di ottenere la fiducia del popolo, e la sua delega a rappresentare la Repubblica.
“Dubbi sul caso Previti”
Il Foglio, 9 settembre 1997
saluti