La comparazione inquietante: nazismo, comunismo, capitalismo liberaldemocratico


Negli ultimi anni la comparazione fra il nazismo (il fascismo, o il nazifascismo) ed il comunismo è diventata quasi un genere letterario autonomo, o meglio un topos della critica storica e filosofica, o più esattamente della critica ispirata ad una filosofia della storia. Da Ernst Nolte a François Furet, da Alain de Benoist a Domenico Losurdo, molti autori si sono confrontati su questo tema cruciale: In questo breve intervento, anziché confrontarmi polemicamente con le loro tesi, voglio proporre al lettore una mia personale via critica, storica e filosofica su questo tema.

I. Inizierò con una domanda un po’ provocatoria: se Marx fosse ancora vivo ed attivo oggi, considerebbe legittima questa proposta di comparazione storica, o se ne ritrarrebbe inorridito perché confronta due entità non omogenee, basata la prima su di una intenzione originariamente buona e poi pervertita da una cattiva applicazione, e la seconda invece su di una intenzione originariamente non-universalistica, razzista, eccetera?

Non ho personalmente dubbi in proposito. Marx riterrebbe questa comparazione assolutamente legittima, perché il rifiuto di questa comparazione può soltanto essere sostenuto sulla base di una morale filosofica dell’intenzione (o più esattamente, della buona intenzione). Si tratta di un approccio di tipo kantiano, strutturalmente incompatibile con il materialismo storico marxiano, che non si occupa mai di intenzioni se non come coperture ideologiche di tipo sovrastrutturale (e a volte come manifestazioni di falsa coscienza necessaria degli agenti storici), ma si occupa sempre di configurazioni storiche realmente operanti ed esistite.

Da studioso ormai quasi trentennale di Marx, non ho dunque dubbi sul fatto che Marx, e più in generale il punto di vista del materialismo storico, riterrebbe completamente fondata e legittima la proposta di questa comparazione. Mi rendo perfettamente conto dello "scandalo" provocato a livello psicologico da questa blasfema comparazione, in particolare presso le "anime belle" della sinistra, che si dichiarano spesso "marxiste" essendo in realtà seguaci o della morale evangelica cristiana o della morale kantiani della retta intenzione. Ma le cose purtroppo (o per fortuna) stanno così.

II. Il riferimento a Marx non è affatto casuale. Io non cito Marx per dogmatismo o per averne un argomento ex auctoritate. Marx potrebbe infatti anche avere torto. In questo caso, però, avrebbe ragione. La comparazione può essere infatti di due tipi: o è una comparazione analogica, quando tocca eventi temporalmente distanziati e non omogenei (ad esempio la dissoluzione dell’impero romano e la dissoluzione del comunismo storico novecentesco, la tirannia di Nerone e la tirannia di Stalin, la crudeltà di Hitler e quella di Gengis Khan, eccetera) oppure è una comparazione sincronica, quando tocca eventi temporalmente contemporanei.

La comparazione analogica (usatissima da Machiavelli a Max Weber) è uno strumento discutibile, ma di cui lo storico non può comunque fare a meno, anche se da usare con cautela e parsimonia. Ma la comparazione sincronica è qualcosa di morale e di fisiologico, e soltanto il pregiudizio aprioristico di tipo ideologico e/o religioso può cercare di impedirla.

III. Con i due rilievi anticipati nei paragrafi precedenti il problema non solo non è risolto, ma non è neppure impostato. Per impostarlo bisogna esaminare con cura il contesto storico ed ideologico in cui la comparazione viene proposta, e soprattutto chi sono coloro che la propongono, ed infine quali sono le potenze politiche, giornalistiche, universitarie e più genericamente culturali che ne alimentano continuamente il dibattito, ed in vista di quali scopi. Ė bene notare che sull’opportunità di questo esame concreto e congiunturale possono concordare sia i favorevoli sia i contrari di questa comparazione. Ed è proprio questa la ragione per cui anch’io imposterò in questo modo il problema.

IV. Salta subito agli occhi che questa comparazione storica globale viene proposta sotto l’aspetto, inevitabilmente oscuro e tenebroso, della rispettiva "macabra conta dei morti". Secondo l’approccio degli autori del famoso Libro Nero del Comunismo il comunismo sarebbe stato quattro volte più cattivo, malvagio ed ingiustificabile del nazismo, perché avrebbe fatto cento milioni di morti anziché soltanto venticinque milioni. Io non nulla contro la storiografia quantitativa, ma devo dire subito che questo approccio mi sembra assolutamente demenziale, se non altro per il differente raggio assolutamente demenziale, se non altro per il differente raggio geografico dei due fenomeni presi in esame (mondiale per il comunismo, solo europeo per il nazionalsocialismo). Io non mi permetterei mai un odioso sorrisetto di sufficienza sulla "macabra conta dei morti", e sono anzi un simpatizzante per le filosofie di Adorno e di Benjamin, che considerano il riscatto della memoria dei vinti e delle vittime un ingrediente fondamentale per la coscienza filosofica e per la memoria storica. Ma è assolutamente chiaro che oggi, nel contesto storico attuale, la "macabra conta dei morti" dei due opposti e complementari "totalitarismi" (come dice la vulgata giornalistica) è sempre e soltanto una risorsa retorica della polemica politica dei partiti post-moderni. Ma come, vi alleate con Rauti e con Fini, vi alleate con Cossutta e con Bertinotti, che hanno ancora le mani sporche del sangue versato da Stalin?

Chi si adatta a questo livello della polemica politica deve essere conseguente fino in fondo, lasciar perdere Bobbio e Habermas, Gramsci e Lukács, ed investire il caricaturista Forattini come unico pensatore politico abilitato nel Duemila.

V. L’impostazione dominata dalla "macabra conta dei morti" finisce comunque per segare lo stesso ramo su cui è seduta. In modo pienamente legittimo lo studioso marxista ortodosso Domenico Losurdo si è messo anche lui a contare i morti del colonialismo imperialistico e delle guerre mondiali indiscutibilmente scatenate da forze economiche capitalistiche, sia pure sotto la bandiera della liberaldemocrazia occidentale. Sebbene tutto ciò faccia ovviamente schifo agli intellettuali liberali ed ai giornalisti conformisti, non si può negare che l’approccio di Losurdo sia anch’esso assolutamente legittimo. Chi la vuol mettere sul fondamento della "macabra conta dei morti" deve poi accettare tutte le conseguenze della sua impostazione contabile e cimiteriale, e non può fermare la pellicola quando vuole lui.

VI. Nella rappresentazione ideologica del pensiero unico della globalizzazione capitalistica esiste una Signora Democrazia seduta al centro della scena, e Due Ladroni incatenati ai suoi lati in attesa di essere puniti da un apposito tribunale internazionale che emette sentenze in lingua inglese. La Signora Democrazia pretende di essere giudicata sulla base esclusiva dei suoi principi teorici di riferimento liberale, mentre i Due Ladroni non vengono giudicati in base ai loro principi teorici di legittimazione, ma in base ai loro crimini. Questa asimmetria evidente salterebbe agli occhi di qualunque arbitro di calcio internazionale, ma non salta agli occhi del circo mediatico internazionale cartaceo o televisivo. Così la Signora Democrazia può esercitare un decennale embargo di alimentari e medicinali contro l’Irak, riempire di uranio impoverito il Danubio ed i Balcani, sparare per conto di un gruppo di coloni armati di occupazione contro il popolo palestinese sul suo stesso territorio, eccetera, senza che nessuno pensi lontanamente di processarla. Ma invece i Due Ladroni devono essere processati, e si tratta soltanto di vedere se si potrà o no arrivare al "patteggiamento", se si potranno applicare le attenuanti e le aggravanti, eccetera: Sono queste, e non possono che essere queste, le conseguenze di una concezione giuridica, o più esattamente giudiziaria, della storia e della filosofia della storia. Del resto, chi pensa seriamente che si possa fare una rivoluzione politica in tribunale (Mani Pulite, Di Pietro, eccetera), penserà anche che la storia debba passare sempre attraverso i tribunali.

VII. Nella concezione americana del pensiero unico, la Signora Democrazia, investita di una speciale missione imperiale, rivendica tutto il suo passato, compreso le bombe di Hiroshima e Nagasaki. I Due Ladroni invece, il nazismo ed il comunismo, devono discolparsi e sottomettersi. Nella valutazione americana dei due ladroni, comunque, vi è una dissimmetria evidente, poco rilevata dagli studiosi ed invece molto rivelatrice. Da un lato, il comunismo è sempre peggio del fascismo (o dei fascismi), perché il fascismo almeno rispetta la proprietà privata. Il fascismo è dunque una forma di autoritarismo, mentre solo il comunismo è un vero e proprio totalitarismo. Dal momento che la proprietà privata capitalistica è il fondamento della società civile, la sua distruzione operata dal comunismo rende difficile la ricostruzione della società civile moderna, laddove il superamento del fascismo (vedi Italia e Germania 1945, Spagna e Portogallo 1975, eccetera) è invece più facile. Dunque il fascismo autoritario è meglio del comunismo totalitario.

Dall’altro lato, però, Hitler è considerato il Male Assoluto, e dunque peggio dello stesso Stalin, in quanto responsabile dell’Olocausto ebraico. Gli aspetti nazionalistici, antislavi ed espansionistici di Hitler sono ignorati, o comunque passati sotto silenzio. Ma egli è un paradigma del Male Assoluto, ed ogni volta che bisogna fare una guerra imperiale di bombardamento l’avversario è sempre preventivamente hitlerizzato. nel 1991 Saddam Hussein era un nuovo Hitler, l’Hitler degli arabi. Nel 1999 Milosevic era un nuovo Hitler, anzi un Hitlerovic’.

Il circo mediatico si fa portatore capillare di questa rappresentazione ideologica imperiale, che non ha affatto come scopo il bilancio razionale del Novecento, ma la legittimazione del suo presente dominio assoluto.

VIII. Nella variante provinciale italiana di questo scontro (hollywoodiano) di giganti, abbiamo invece un nazismo buono, il fascismo di Mussolini, ed uno stalinismo buono, il comunismo di Togliatti. Né l’uno né l’altro possono essere accusati di camere a gas e di campi di concentramento siberiani. Da un punto di vista simbolico, è sufficiente togliere di mezzo gli inquietanti momenti sanguinosi rispettivi (i gas asfissianti gettati sui combattenti etiopici da Mussolini nel 1936, i comunisti dissidenti italiani eliminati nel 1938 in URSS con l’assenso tacito e con l’avallo esplicito di Togliatti, eccetera), per mettere a fuoco soltanto il loro rispettivo riformismo sociale populistico (le battaglie del grano di Mussolini, le cooperative emiliane di Togliatti, eccetera). È questa la base della cosiddetta "pacificazione", un fenomeno che io comunque auspico ed incoraggio perché chiude un contenzioso simbolico che sul piano storico si è chiuso da decenni, ma che non ha nulla, assolutamente nulla a che vedere con un ritorno razionale su che cosa sta veramente dietro questa comparazione.

Ed allora, dopo aver finito di passare in rassegna le sciocchezze, occupiamoci finalmente delle cose serie.

IX. La prima cosa seria su cui richiamare l’attenzione del lettore sta in ciò, che le varie forme di fascismo (da Hitler a Mussolini a Franco a Salazar, eccetera) sono tutte nate nel Novecento in un contesto storico estremamente specifico e determinato, e che tutte le loro legittimazioni teoriche furono anch’esse costruite in modo pragmatico, mentre le varie forme di comunismo cercano tutte la loro legittimazione in una teoria nata nell’Ottocento, il materialismo storico di Marx. Si tratta di un fatto notissimo, ma come direbbe Hegel, non tutto ciò che è noto anche conosciuto. La maggiore dimensione temporale del socialismo e del comunismo rispetto al fascismo ed al nazismo non va certo nella direzione del divieto della comparazione, ma richiede a questa comparazione la presa in considerazione di questo dato molto significativo.

Vorrei qui aggiungere, anche se non ho purtroppo lo spazio sufficiente per motivarlo, che io sono un convinto sostenitore del fatto che è storicamente esistito un comunismo (sovietico, cinese, cubano, italiano, eccetera) ed un fascismo (italiano, tedesco, spagnolo, eccetera). Ritengo invece metodologicamente legittimo, e nello stesso tempo fuorviante sul piano storiografico più profondo, dire che il comunismo ed il fascismo non sono mai esistiti e sono soltanto esistite forme diverse ed imparagonabili di comunismi e di fascismi. È questa, fra l’altro, l’impostazione di Luciano Violante, che distingue un comunismo italiano buono e democratico, quello di Stalin. Pur nella grande varietà delle forme storiche, il comunismo storico novecentesco ed il fascismo storico novecentesco sono stati due fenomeni dotati di robusti elementi unitari di tipo politico, economico e culturale.

X. A proposito del comunismo, richiamo ancora una cosa ovvia, su cui però purtroppo la confusione è grande. Esiste un comunismo teorico, per alcuni solo filosofico, per altri solo scientifico, per altri ancora sia scientifico che filosofico, per altri solo scientifico, per altri ancora sia scientifico che filosofico, la cui data di nascita è il 1848, e cioè il Manifesto del Partito Comunista. Ed esiste un fenomeno globale su scala mondiale, che si chiama comunismo storico novecentesco, la cui data di nascita è il 1917, e cioè la rivoluzione russa di Lenin. Queste due date, 1848 e 1917, devono essere tenute in considerazione sia sotto l’aspetto unitario sia sotto l’aspetto della distinzione. Chi non lo fa, incorre in gravi errori metodologici.

XI. Un primo esempio di questi errori è dato, a mio avviso, dall’impostazione generale di Ernst Nolte, per cui il comunismo leninista avrebbe dichiarato per primo la guerra civile europea di classe fra proletariato e borghesia, ed il fascismo (sia italiano che tedesco) avrebbe solo risposto in seconda battuta, per di più prendendo a prestito metodi violenti sperimentati per primi dai comunisti. Ma questa concezione non tiene per nulla in conto che la guerra civile europea, per qualunque marxista che si rispetti, non comincia per nulla con la rivoluzione russa del 1917, ma comincia con lo scoppio della grande guerra imperialista del 1914.

Nel 1848 Marx aveva infatti già chiarito che le guerre non scoppiano mai fra comunità nazionali omogenee ed egualitarie, definite o meno nazioni, ma scoppiano sempre e soltanto per interessi capitalistici contrapposti, in cui i proletari vengono usati come massa di manovra e carne da cannone. È ovviamente possibile non condividere questa concezione (che io condivido) e respingerla. Ma non è corretto fingere che non esista, e far iniziare l’aggressione comunista nel 1917, come se le guerre "normali" fossero invece implicitamente considerate come legittime. Quella di Nolte è la concezione più "borghese" (in senso tecnico e letterale) fra tutte quelle in cui mi sono imbattuto nella mia attività di studioso.

XII. Un secondo esempio di questi errori è dato, a mio avviso, dall’impostazione generale di François Furet, per cui il comunismo fu una sorta di grande illusione di emancipazione sociale complessiva di tipo messianico ed apocalittico, destinata a dar luogo ad una gabbia d’acciaio dispotica, crollata ormai per sempre. Furet riprende in modo brillante e geniale temi della cultura francese sia di destra che di sinistra, dalla critica razionalistica al marxismo di Aron al decadimento seriale dei gruppi in fusione nel pratico-inerte diagnosticato da Sartre, eccetera. Ma io ritengo che, paradossalmente, la diagnosi di illusione irrealizzabile fatta da Furet nei confronti della pretesa staliniana di costruzione politica di una società emancipata non solo sarebbe stata integralmente condivisa da Marx (che l’aveva infatti sempre esplicitamente esclusa), ma fu nei fatti sempre sostenuta, sia pure con argomentazioni diverse, da marxisti critici europei ed americani, da Amadeo Bordiga a Gianfranco La Grassa, da Charles Bettelheim a Paul Sweezy, fino ai trotzkisti ed ai situazionisti. Alla fine della sua (tragica) vita, Louis Althusser mise in guardia dal (se) raconter des histoires. Pensare. di realizzare l’utopia comunista marxiana con il partito unico e la dittatura politica di una oligarchia amministrativa di marxisti era per Althusser (ed io sono pienamente d’accordo) un raccontarsi delle storie ed un raccontarle agli altri. Certo, questo a mio avviso non fu né un errore né un crimine, ma la conseguenza del semplice fatto, sempre negato dai marxisti come una malattia vergognosa ed innominabile, che la classe operaia e proletaria, non importa come organizzata, si dimostrò sistematicamente incapace di autogoverno politico e di autogestione economica, e si dovette allora per realismo ricorrere ad una forma di indispensabile supplenza. Ma tutto questo non fa che confermare che la diagnosi di Furet è seducente e brillante, ma teoricamente povera e non originale.

XIII. Un altro rilievo che fa riflettere sulla sostanziale erroneità della tesi di François Furet sul comunismo come illusione messianica storicamente impraticabile proviene dall’esperienza del comunismo occidentale di opposizione, francese ed italiano, dopo il 1945. Questo comunismo, che è in pratica solo una socialdemocrazia di sinistra con elementi populistici, riserva l’elemento messianico ad un parco ben recintato di militanti francescani e di intellettuali domenicani. Questi due gruppi, numericamente molto ridotti e comunque sempre controllo, possono coltivare un innocuo messianesimo alternativo, che non tocca praticamente per nulla la grande massa degli elettori, in particolare operai. Gli operai di fabbrica, infatti, sono naturaliter socialdemocratici, e niente affatto naturaliter comunisti. I "comunisti" novecenteschi si concentrano in due grandi gruppi distinti, i burocrati pragmatici e gli intellettuali utopisti. Fra i due gruppi c’è stata una sorta di feroce guerra civile permanente, che io conosco peraltro molto bene, per averla combattuta dalla parte degli intellettuali utopisti per quasi un trentennio. Si usa dire, in genere, che Lenin si accorse molto presto di tutto ciò, con la sua teoria (esposta nel Che fare? del 19039, per cui solo il partito introduce dall’esterno la coscienza anticapitalistica complessiva nella classe operaia, che spontaneamente avrebbe solo coscienza sindacalistica di difesa degli interessi immediati. Ma questo non è del tutto vero, perché Lenin conservava una concezione "essenzialistica" della natura potenzialmente comunista della classe operaia e proletaria, con l’adozione della teoria dialettica di Hegel del passaggio dall’In-Sé (sindacalistico) al Per-Sé (comunista). Tutti i gruppetti di minoranza italiani e francesi (Lotta Continua, Avanguardia Operaia, Lingue Comuniste, Gauche Proletarienne, eccetera) hanno sempre adottato sistematicamente questo schema, ed hanno anche sempre sistematicamente fallito. La classe operaia empirica, concreta, e non quella sognata dagli intellettuali utopisti, intuisce con chiarezza di non essere assolutamente una classe universale capace di gestione globale della società, e respinge saggiamente chi la vuole investire di un simile compito.

XIV. Luciano Violante ha recentemente fatto una proposta teorica interessante. Da un lato, egli rilancia l’inconfrontabilità di fascismo e comunismo sulla base della teoria dell’intenzione, ma questo, come abbiamo visto, sarebbe stato rifiutato dallo stesso Marx, ed il fatto che possa servire allo scontro retorico fra Berlusconi e Rutelli non è un argomento teoricamente valido. Dall’altro, distingue fra colpevolezza e responsabilità, sostenendo che i comunisti sovietici sono colpevoli per avere edificato un sistema totalitario, mentre i comunisti italiani sono solo responsabili per non averlo denunciato in tempo. Restando all’opposizione, e non avendo mai avuto il potere politico, non hanno fatto che del bene. Con questo ragionamento, Stalin ha fatto solo del bene fino al 1917, e Pol Pot è stato benefico per la Cambogia fino al 1975. Violante non si rende neppure conto di stare formulando l’accusa teorica contro il comunismo più grande che si possa concepire. Il comunismo sarebbe solo una sorta di stimolo populista al capitalismo, che però quando prende il potere diventa necessariamente criminale. Con questo ragionamento il miglior ingegnere è quello che non costruisce mai nessun edificio e nessun ponte, perché solo in questo modo non corre il rischio di vedersi distruggere da un terremoto o da una alluvione. Ed il miglior medico sarà quello che non opererà mai, perché si potrebbe sempre pensare che, se per caso decidesse di operare, non ucciderebbe nessuno:

XV. Gli argomenti di Alain de Benoist sulla legittimità della comparazione fra nazismo e comunismo (storico novecentesco realmente avvenuto) sono buoni, e sono da me condivisi nell’essenziale. Non ci ritornerò dunque sopra analiticamente per non sovraccaricare questo mio contributo. Ma devo però far notare che l’occasione polemica, l’uscita del Libro nero del Comunismo, condiziona fortemente l’argomentazione, perché la obbliga di fatto a muoversi sul terreno della macabra conta dei morti, dalla quale esce innocente solo la Signora Democrazia capitalistica, alla quale per galanteria si perdonano i massacri del colonialismo e la stessa Hiroshima. A questo punto si aprono però due problemi.

XVI. In primo luogo, si accetta di fatto la diagnosi di tipo giudiziario, e cioè criminale, dell’intero fenomeno del comunismo storico novecentesco. Su questo terreno, la discussione su chi sia stato più criminale nel Novecento, il comunismo e/o il nazifascismo, diventa di fatto un’interminabile discussione da bar, in cui le catene di cifre si potrebbero anche acquistare in dispense settimanali nelle edicole. Io respingo fortemente ogni approccio alla storia di tipo giudiziario e criminale, non perché il "criminale" nella storia non esista (anzi, per me la bomba di Hiroshima, il campo di Auschwitz e lo fosse di Katyn sono tre esempi di fatti assolutamente criminali), ma perché non è così che èpossibile capire la storia. Ad esempio, io sono totale nemico del colonialismo imperialistico ed un amico incondizionato delle guerre di liberazione nazionale anticolonialistiche, ma ritengo errato impostare in modo giudiziario il problema del colonialismo e dell’imperialismo, come hanno fatto coloro che nel 1992 ciò piace molto ai populisti confusionari, ma non contribuisce alla comprensione storica.

Immaginiamoci per un attimo che il tentativo di instaurare la società borghese capitalistica, dai primi del Seicento alla fine del Settecento, fosse fallito dopo aver promosso rivolte, rivoluzioni, insurrezioni, guerre civili, eccetera. A questo punto, è del tutto ipotizzabile che la società nobiliare e feudale, ristabilitasi su basi nuove e più solide, potesse processare a posteriori i sostenitori della instaurazione di una società di tipo borghese e capitalistico. Le varie Barbara Spinelli ed vari Glucksmann signorili e feudali si scatenerebbero senza ritegno:

È veramente questo che vogliamo? Non credo proprio.

XVII. Vi è però un secondo punto che vorrei rilevare nell’analisi di Alain de Benoist. De Benoist sottovaluta sistematicamente il fatto che il marxismo originale, quello di Marx, era portatore di una sorta di universalismo autocorreggibile, di un universalismo cioè che non viene propriamente falsificato dalla caduta di uno dei suoi "pezzi", sia pure importanti, come ad esempio la centralità della classe operaia di fabbrica, nella transizione da un modo di produzione ad un altro. Questo è un punto decisivo. Non rimproverò assolutamente de Benoist per questa sottovalutazione, in quanto la sua filosofia, già ampiamente esposta in moltissime opere, non è programmaticamente universalistica, ma è differenzialistica in senso forte, cioè logico ed ontologico. Si tratta (e non so fino a che punto de Benoist ne è realmente cosciente) della stessa identica filosofia della globalizzazione capitalistica e dell’impero americano. Ma non dico questo certamente per innescare una inutile e meschina polemica con de Benoist, che anzi stimo molto come pensatore. Ribadisco però che ogni valutazione sensata del marxismo originale di Marx deve focalizzarsi sulla consapevolezza che si tratta non solo di un pensiero universalistico, ma anche e soprattutto di un universalismo correggibile: Solo il comunismo storico novecentesco del monopolio dispotico del partito-stato si è dimostrato nei fatti un fenomeno incorreggibile ed irriformabile, e per questo è (giustamente) caduto.

XVIII. Possiamo ora "stringere" la nostra argomentazione e portarla verso la conclusione. Assoluta la legittimità, sia retorica che dialettica, del confronto, bisogna però essere irremovibili sul fatto che il confronto debba essere steso anche alla Signora Democrazia, in particolare nella attuale forma della oligarchia imperiale di ricchi. Ogni timidezza su questo punto deve essere bandita, anche se insistere significa essere esclusi dalla comunità degli uomini di mondo, della cultura giornalistica ed universitaria e del politicamente corretto. In ogni caso, cioè che non è politicamente corretto fa già parte, qui ed ora, di un universo culturale parallelo che ricorda per alcuni aspetti la cultura messianica cristiana nei primi decenni due secoli dell’Impero Romano, o ancora meglio il primo Illuminismo dei primi decenni del Settecento. Chi vuole la "visibilità" delle pagine culturali dei media può finire con il perdere se stesso. Questo non è affatto l’elogio delle catacombe e del settarismo gnostico. Al contrario, io amo gli spazi aperti. Ma gli spazi aperti bisogna conquistarseli, perché non ci saranno mai regalati dalla benevolenza del pensiero unico.

XIX. A mio avviso, occorre lasciar perdere il terreno, meraviglioso solo per le discussioni da bar, sul se e come avrebbe potuto essere la storia del comunismo e del fascismo senza i crimini o gli errori. Benedetto Croce disse già giustamente che la storia non si fa i se e con i ma. È assolutamente possibile immaginare un comunismo senza il massacro dei kulaki, senza l’assassinio di Bucharin e di Trotzky, eccetera. È assolutamente possibile immaginare un fascismo italiano senza la stupida entrata in guerra nel suo azzardo del 1940. È molto più difficile, ma è comunque possibile, immaginare persino un fascismo tedesco senza sterminio degli ebrei, e basterebbe mettere Jünger al posto di Hitler. Ma tutte queste esercitazioni scolastiche sono del tutto sciocche, inutili e fuorvianti, ed io le ritengo legittime solo nell’ipotesi di smaltimento di una sbronza.

XX. La discussione storiografica e filosofica sul triangolo nazismo/comunismo/capitalismo liberaldemocratico provvisoriamente vincitore, eccetera, deve servire esclusivamente alla prospettiva di un nuovo pensiero, ancora del tutto inedito, che serva a pensare il presente e l’immediato futuro. Ogni altro approccio è solo un vacillare da ubriachi incitati alla rissa da giovinastri crudeli ed immorali.

Costanzo Preve