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    Predefinito il camerata Norberto Bobbio

    camerata Bobbio, presente!


    A proposito di "dovere morale". Dopo che il Maestro ha confessato al Foglio di essere stato fascista (e di averlo rimosso perché "me ne ver-go-gna-vo"), Tempi segnala la presenza antifascista di Bobbio all'università di Padova, sulla cattedra del professor Adolfo Ravà, cacciato dai fascisti perché ebreo

    Purtroppo sentiamo anche noi l'urgenza di un dovere morale, che non è lo stesso del professor Norberto Bobbio il quale ha scritto e poi ribadito sulla Stampa, continuando a modo suo nel proposito del silenzio annunciato anni fa: 'E' un dovere morale per noi impedire al Polo di vincere le elezioni'. Altri commentatori (Antonio Socci) hanno già spiegato la differenza tra il 'dovere morale' enunciato da Bobbio e il 'dovere morale dell'anticomunismo, innanzitutto della memoria' invocato da Silvio Berlusconi al Meeting di Rimini di quest'anno. Altri (Giuliano Ferrara e Angelo Panebianco) hanno ricordato al venerato padre della patria che la delegittimazione morale dell'avversario politico non è pratica né liberale né democratica. Il nostro 'dovere morale' è meno intellettualmente pretenzioso, quasi da amanuensi, da topi da biblioteca, si limita alla ripetizione di cose già scritte, ma mai abbastanza ricordate. E non è uno di quei richiami ai quali si possa rispondere con il facile: 'Solo gli stupidi non cambiano mai idea'. E' un ricordo che chiede a chi, legittimamente, cambia sponda, che almeno paghi pegno. Non vale qui il richiamo ecclesiastico ai testimoni di un matrimonio: 'Chi sa parli ora o taccia per sempre'. Sul suo passato fascista Bobbio ha taciuto per 50 anni, costruendo su questo silenzio la sua carriera di padre della patria. Scranno dal quale ha dispensato e dispensa patenti di legittimità democratica che non il suo passato, ma il suo silenzio non gli dà il diritto di elargire.

    Il dovere morale di tenere discorsi commemorativi della Marcia su Roma
    Scriveva Norberto Bobbio l'8 luglio 1935 ' già docente universitario ' a 'S. E. il Cavalier Benito Mussolini': 'Sono iscritto al Pnf e al Guf dal 1928' e fui iscritto all'Avanguardia Giovanile nel 1927 da quando cioè fu istituito il primo nucleo di Avanguardisti nel R. Liceo D'Azeglio(') durante gli anni universitari ho partecipato attivamente alla vita e alle opere del Guf di Torino sì da essere stato incaricato di tenere discorsi commemorativi della Marcia su Roma'. Dai miei studi 'trassi i fondamenti teorici per la fermezza delle mie opinioni politiche e per la maturità delle mie convinzioni fasciste'. La lettera era stata scritta perché la polizia aveva scoperto che era rimasto amico di ex compagni di scuola antifascisti, cosa che danneggiava la sua carriera universitaria, e quindi spiegò al Duce: questa accusa 'mi addolora profondamente e offende intimamente la mia coscienza di fascista, di cui può costituire valida testimonianza l'opinione delle persone che mi hanno conosciuto e mi frequentano, degli amici del Guf e della Federazione'.

    Il dovere morale delle perorazioni al Duce
    Pochi anni dopo, nel luglio del 1938, il generale Emilio De Bono scriveva una lettera a Mussolini, una lettera dura che ci permette di capire come la missiva di Norberto Bobbio al Duce non fosse un gesto isolato dovuto a un momento di debolezza. De Bono, quadrumviro della marcia su Roma, era molto amico del generale Bobbio, fratello del padre di Norberto. Leggiamo: 'Caro Capo del Governo, devo ancora seccarti ma non è proprio colpa mia. L'ultima volta che venni da te, fra l'altro, ti dissi di un favore chiestomi dal generale Bobbio. Ricorderai che si trattava di un suo nipote (figlio del chirurgo primario prof. Bobbio di Torino) il quale non fu ammesso a un concorso per professori di Filosofia del Diritto, pare, per ragioni politiche infondate. Ti sei trattenuto la lettera e l'esposto a te diretto dal professor Bobbio padre e mi hai detto esattamente così: 'E' iscritto al Partito, ci penso io'. Come', ti ho chiesto: 'Lo dico a Bottai'. Mi hai detto 'Lo dico', non 'Ne parlerò'. Ho ritenuto quindi la cosa come fatta, tanto che ti ho domandato se potevo darne la notizia al Bobbio generale, tu mi hai risposto affermativamente e io a Bobbio ho detto 'Stia tranquillo'. Ricevo invece adesso un'altra lettera del Bobbio stesso nella quale mi dice che suo nipote non ha ricevuto nessun invito a ripresentare i titoli per il concorso i termini del quale scadranno a giorni. Senti, Capo: tu sei padrone di fare quello che vuoi (') io ti prego soltanto di farmi dare una risposta categorica: uno di quei monosillabi che hai chiesto tante volte a me in momenti piuttosto seri e che io ti ho sempre telegrafato senza discussioni. (') Fiat voluntas tua! Credimi, come sempre, tuo De Bono'.

    Il dovere morale di sedersi sulla cattedra di un professore ebreo cacciato dalle leggi razziali
    'Post hoc' non sempre significa 'propter hoc'. Si constata solo che il 3 marzo 1939, il professor Norberto Bobbio giurò la sua fedeltà al Duce per poter prendere possesso della cattedra all'Università di Siena (era passato un anno dalla proclamazione delle leggi razziali). Su oltre 1.200 professori universitari, solo dodici rifiutarono di prestare quel giuramento la cui formula fu pronunciata da Bobbio: giuro 'di essere fedele al Regime Fascista' col proposito di formare cittadini devoti' al regime Fascista. In un volume dell'Università di Padova (dove nel 1938-1939 era stato espulso perché ebreo il professor Ravà) si segnala in quell'ateneo la presenza antifascista di 'Norberto Bobbio, che era stato chiamato nel 1940, dopo Giuseppe Capograssi, alla cattedra che era stata di Adolfo Ravà. Allievo di Gioele Solari, cresciuto intellettualmente a Torino nell'ambiente che faceva capo a Giuseppe Levi, Bobbio finì col confluire nel clandestino Partito d'Azione'. A Padova, quindi, Bobbio scelse definitivamente l'attività antifascista. Ma lo storico Paolo Simoncelli, in un'intervista al Giornale, si è detto 'ancor oggi perplesso' per quella 'successione a Ravà di Capograssi (cui dal 1940 subentrò Bobbio)'. In quegli anni a Padova era rettore (rettore anche dell'ordinario di Filosofia del diritto, Norberto Bobbio) un altro 'compagno resistente', inutilmente si cercherà il suo nome fra i dodici che rifiutaro di giurare fedeltà al regime, ma già nel 1943, il comunista Concetto Marchesi, scriveva nel famoso 'appello agli studenti: 'Non frugate nella memoria o nei nascondigli del passato i soli responsabili di episodi delittuosi, perché dietro a quei sicari c'è tutta una moltitudine che quei delitti ha voluto e ha coperto col silenzio e la codarda rassegnazione'. Non è dato sapere a chi pensasse, ma sono parole pesanti, che fanno riflettere.

    Il dovere morale di accomiatarsi dall'immoralità di Bobbio
    Il suo 'Me ne ver-go-gna-vo' Bobbio l'ha pronunciato l'11 novembre 1999, in una bella e onesta intervista rilasciata a Pietrangelo Buttafuoco e pubblicata il giorno dopo sul Foglio: 'Ero immerso nella doppiezza perché era comodo fare così. Fare il fascista tra i fascisti e l'antifascista con gli antifascisti (') E' stata una catastrofe tale la fine del fascismo che alla fine noi abbiamo dimenticato anzi, abbiamo rimosso. L'abbiamo rimosso perché ce ne ver-go-gna-va-mo. Ce ne ver-go-gna-va-mo'. In quella stessa intervista Bobbio parlando di piazzale Loreto, dei corpi di Benito Mussolini e Claretta Pettacci appesi a testa in giù, affermava che quell'episodio era 'la riprova, una delle poche prove certe che la guerra partigiana è stata una guerra civile. Solo una guerra civile può finire con il capo appeso per i piedi, una guerra fra stati non finisce così. Fu una guerra fra italiani'. Quella guerra è finita 50 anni fa, chiudere l'eterno dopoguerra italiano dovrebbe essere un compito di cui chi ha avuto un passato così controverso ma anche così importante per il paese dovrebbe sentire la responsabilità. Riaprirla con i toni urlati che dell'avversario politico fanno il Nemico da delegittimare moralmente, da abbattere a qualunque costo, toni che abbiamo letto nelle ultime affermazioni del professor Bobbio non sembra un'azione morale, tantomeno un 'dovere'.
    di Tempi

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  2. #2
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    Predefinito

    Piccole debolezze umane, comprensibili.
    Ciò che comprensibile non è, è che il prof. vada a sentenziare a destra e manca.
    Questo no. Dalle nostre debolezze, dagli errori della storia (se tali li reputiamo) dobbiamo saper trarre profitto, che sta, innanzitutto, nel comprendere l'Uomo, abbuonandogli le meschinità con gli eroismi.

    Historia Magistra Vitae? bene, facciamone tesoro.
    Tutti.
    "

 

 

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