"Contra" : argomentazioni antieconomiciste

Intervista con il Dott. Carlo Gambescia, direttore della collana “Contra”: Argomentazioni antieconomiciste, edizioni “Il Settimo Sigillo” a cura di Luigi Tedeschi


1)Per iniziativa della casa editrice “Il Settimo Sigillo” è stata pubblicata la collana “Contra– Argomentazioni antieconomiciste” a cura del Dott. Carlo Gambescia. Chiediamo dunque al Dott. Gambescia quali sono i fondamentali motivi ispiratori di questa iniziativa editoriale.

Innanzitutto ringrazio “Italicum” dell’attenzione verso questa iniziativa, giacché per momento in cui tutti si dichiarano liberali e liberisti, non è così facile per chi “rema contro” sul serio trovare ascolto. Oggi a destra si preferisce incensare Hayek e a sinistra Rawls: due filosofi per i quali liberalismo è il migliore dei mondi possibili. Trovo veramente ridicoli l’ardore e le acrobazie mentali con cui intellettuali e politici, provenienti da esperienze movimentiste di destra o sinistra, oggi difendono le stesse istituzioni liberalcapitaliste che fino a ieri attaccavano. Ma si sa, l’uomo è volubile e la carne debole... Fortunatamente, non mancano intellettuali coerenti e coraggiosi, o più semplicemente, curiosi, pronti a imbarcarsi in imprese sicuramente controcorrente, come quella di “Contra”. Penso all’editore Enzo Cipriano e agli amici Giuliano Borghi, Giano Accame, Alain de Benoist, Luca Rimbotti, Stefano Boninsegni, Giovanni Monastra, e altri che qui non cito ma comunque ringrazio, il cui impegno va ben al di là della pura e semplice testimonianza. Infatti il motivo ispiratore o l’ambizione, della collana non è solo criticare, in modo argomentato (come recita il suo sottotitolo) l’economicismo imperante, ieri marxista oggi liberale ma indicare un’alternativa a esso. Non basta dire no alla trasformazione della società attuale in un enorme mercato, è necessario andare oltre. Dietro l’ideologia capitalista-economicista vi è una filosofia sociale che a sua volta rinvia una filosofia più generale dell’uomo, circa la sua natura e destino. Quindi non possiamo fermarci alla critica dei primi due livelli (ideologico e filosofico-sociale) bensì risalire fino al cuore dell’antropologia negativa liberale, imperniata sull’idea di homo oeconomicus. Alla quale va invece opposta un’antropologia integrale, in cui l’agire economico rappresenti solo una (e nemmeno la più importante) tra le molte attività che nobilitano l’uomo, come la religione, l’arte, e la scienza, e in cui responsabilità sociale e altruismo abbiano la meglio, o almeno limitino indifferenza ed egoismo, disvalori oggi perfino incoraggiati.

2)L’economicismo, quale concezione basata sull’agire economico, cui vengono ricondotte le ragioni fondamentali dell’intera vicenda umana e dello sviluppo della società, scaturisce dall’ideologia illuminista – liberale. Questa, pur sviluppandosi in forme diversificate nell’arco di oltre due secoli, ha mantenuto una sua fondamentale coerenza. Possiamo rintracciare delle caratteristiche comuni nel pensiero degli autori che confutano i valori dell’economicismo quali Spann, Spirito, De Benoist, Evola, al di la della loro opposizione all’individualismo liberale?

Condivido la sua impostazione. Mi permetta però di approfondirla meglio. Nella storia del pensiero sociale e filosofico vanno grosso modo distinte due tendenze; due modi di rispondere all’eterno quesito: viene prima l’uomo o la società? I sostenitori della preminenza dell’individuo, come i liberali moderni, vanno ricondotti nel quadro del singolarismo, mentre i fautori della società in quello dell’universalismo. Il singolarismo è una variante del nominalismo, dottrina che nega l’esistenza di qualsiasi entità esterna all’uomo, intesa come concetti, essenze o universalia. Per il singolarismo la società non esiste, esistono solo singoli individui che si accordano o collidono. L’universalismo per contro è una variante sociologica del realismo logico-ontologico, dottrina che afferma che in ogni classe di oggetti singoli vi è sempre, aldilà delle differenze individuali, una qualche essenza o elemento comune che ne costituisce l’universale. Per fare qualche esempio, le dottrine stoiche, scettiche, epicuree, nonchè il contrattualismo moderno, contengono molti elementi singolaristici. AI contrario, le grandi dottrine aristoteliche. platoniche e tomistiche possono essere definite universaliste. Ora, lo spirito che anima la collana, e quello degli autori da lei ricordati, può sicuramente essere ricondotto nell’alveo dell’universalismo. Affermare che la società precede l’individuo, significa asserire al di là degli effettivi contenuti sociali e storici, che il comportamento dell’uomo è condizionato (ma non completamente determinato, ovviamente) da valori, norme e credenze che gli preesistono e che sono da lui interiorizzate. Del resto se ciò fosse falso non si potrebbe parlare di uomo egiziano, romano, medievale, antico, tribale, tradizionale, moderno, ecc., come invece normalmente avviene. Si tratta perciò di un fondamentale principio ontologico ed epistemologico, sociologicamente e storicamente ben fondato, che consente, di fare due ulteriori osservazioni, assai importanti per le tesi che qui sostengo. In primo luogo, l’homo oeconomicus non rispecchia alcuna condizione naturale dell’uomo, ma come lei ha ben sottolineato, è solo una rappresentazione dell’ideologia illuminista -liberale. In secondo luogo, se l’uomo è un essere socialmente condizionato (ma non determinato. ripeto, può venire plasmato, ma, cosa che qui interessa particolarmente, anche riplasmarlo dal punto di vista socioculturale. Ciò implica la possibilità del cambiamento. Ovvero la possibilità di modificare, preferibilmente per gradi (ma ciò dipende dalle circostanze storiche) la struttura socioculturale in cui siamo “immersi’ (vista come insieme di valori e istituzioni sociali) privilegiando quei principi in grado di rappresentare l’uomo, come ho già detto, nella sua integralità. O comunque di limitare le pretese di quello che gli economisti e i moralisti liberali chiamano eufemisticamente individuo massimizzante: l’odierno uomo anomico che vive all’insegna del carpe diem.

3)Non Le sembra che la teoria individualista di Adamo Smith (“la parte prima del tutto”), cui Othmar Spann oppone quella universalista (“l’individuo è sin da principio organicamente contenuto nella società”), nell’era della globalizzazione si sia trasformata nel suo contrario, integrando, o meglio dissolvendo, l’individuo come entità a se stante nello sviluppo collettivo dell’umanità nei processi economici mondialisti, da cui si generano il villaggio globale e la società multietnica?

Ha perfettamente ragione. Del resto come insegna il sociologo Pitirim A. Sorokin esiste una forma di “singolarismo sociologico collettivistico” che pur affermando il predominio dell’individuo, asserisce che i suoi interessi vanno subordinati al benessere della collettività. Si tratta di una combinazione particolare di singolarismo ontologico e inquadramento etico dell’individuo (nella classe proletaria, nel partito al potere, o come accade oggi, nel mercato mondiale). Chi si oppone è eliminato o imprigionato (come nei sistemi totalitari) o ridotto di fatto al silenzio, staccando semplicemente la spina (come accade oggi). Il mercato mondiale, l’entità “morale” cui tutti ora devono obbedire non è in realtà che un aggregato di individui interagenti (al di là della loro opportunistica e momentanea appartenenza a un’unità economica), privo di qualsiasi autorevolezza che non sia quella derivata dal culto degli spiriti animali capitalistici, e dalla paura, sempre viva nei governanti, del big stick statunitense e dei crac finanziari. Del resto l’insistenza da parte dei media europei, largamente tributari di quelli americani, sui concetti di globalizzazione e società multietnica, se per un verso rispecchia effettivi processi sociali ed economici, per l’altro cerca di addomesticarli, presentandoli come ineluttabili ma positivi. A riflettervi, siamo dinanzi all’ennesima riprova della bontà dell’approccio universalista, peraltro già evidenziata. Infatti, anche una società individualista come la nostra, posta dinanzi a problemi epocali, non può non ricorrere a strategie universaliste, volte a influenzare gli individui. Tutta la melassa umanitarista che ci viene quotidianamente ammannita non è che il frutto dolciastro di una sistematica opera di condizionamento socioculturale che si abbatte sull’individuo-consumatore, allo scopo di integrarlo nella società capitalistica mondiale, in cui l’unico principio che conta è quello dell’ ubi bene ibi patria.

4) Il liberismo estremista di Hayek, in cui il mercato, guidato da regole generali e impersonali, è il fondamento della vita sociale, non realizza implicitamente la prospettiva filosofica di Marx, il quale non confuta l’individualismo liberale di Smith, ma semmai ne contesta le conseguenze, quali l’alienazione dell’uomo nella società delle classi? Lo sviluppo del mercato, che secondo Hayek non è nè giusto né ingiusto, ma rappresenta l’ideologia del progresso mediante la sua evoluzione spontanea, non integra la stessa prospettiva social-darwinista che presiede alla filosofia marxiana incentrata sulla concezione materialistica della storia, in cui lo sviluppo immanente del divenire storico scaturisce dai rapporti di produzione con la conseguente contrapposizione delle classi sociali?

Si, le due prospettive si integrano. Anche perché sia in Hayek che in Marx la natura della razionalità economica appare evidente di per sé, come qualcosa che discende dalla necessità naturale, insita nell’uomo, di produrre. In entrambi i pensatori il lavoro (inteso come produzione) è rivolto in senso materialistico ed evolutivo (quale motore della società) all’esclusivo soddisfacimento dei bisogni umani. Inoltre come ha osservato un antropologo non conformista, Marshall Sahlins, la visione marxiana, specialmente nei Manoscritti economico-filosofici, rinvia a una “mentalità di mercato spiritualizzata” in cui sono mescolati bisogni umani, scarsità naturale e progressiva liberazione dell’uomo mediante l’appropriazione e lo scambio. Del resto si tratta di un aspetto sui cui si è soffermato anche Louis Dumont. Secondo il quale, in Marx ritroviamo la stessa valorizzazione dell’uomo come puro individuo che è alla radice della teoria economicista del valore-lavoro smithiana-ricardiana. Quanto alla prospettiva storica di Hayek e Marx, si può senz’altro asserire che entrambi si muovono all’interno di una visione laicizzata della provvidenza cristiana. In Hayek (come in Smith e Bastiat), questo ruolo salvifico è giocato dalla mano invisibile del mercato. In Marx la stessa funzione è svolta dal materialismo storico, i cui meccanismi, secondo Karl Löwith, esprimono nel linguaggio dell’economia la storia della salvezza.

5)I principi dell’economia liberale, vengono tuttora considerati nello studio dei fenomeni economici quali postulati essenziali di carattere scientifico. Ugo Spirito, nel suo saggio dedicato a Pareto, confuta tali principi evidenziandone il carattere politico ed ideologico. Infatti, per il liberismo “l’unico valore è l’individuo atomisticamente considerato”, un dogma cioè estraneo ad ogni criterio scientifico. Ma, ci domandiamo, il progresso scientifico è riuscito a produrre nuove teorie che su base scientifica smentiscano il pregiudizio ideologico liberista?

Su questo aspetto va letto Il punto dl svolta di Fritjof Capra, fisico viennese, attivo anche negli Stati Uniti. Un bel saggio in cui l’autore critica dal punto di vista universalista (o meglio olista), il meccanicismo e l’individualismo che animano il sapere scientifico moderno. Certo non tutto del suo libro è accettabile. Tuttavia, esso rappresenta ancora oggi (l’edizione inglese risale al 1982) un valido antidoto epistemologico a quello che lei ha definito “il pregiudizio ideologico liberista”. Secondo Capra l’universo fisico, non è una specie di grande macchina o orologio come insegna il canone cartesiano-newtoniano ma è un organismo indivisibile e dinamico, le cui singole parti, come provano la teoria quantistica e le moderne ricerche in campo fisico, acquistano senso e significato solo alla luce della totalità cui appartengono. Ad esempio, come mostra la teoria del bootstrap (letteralmente tirante dello stivale) che studia i fenomeni di diffusione delle particelle subatomiche nel quadro della teoria della matrice S, le proprietà delle particelle subatomiche e le loro interazioni possono essere derivate solo da un principio di coerenza. Detto in altri termini: in base al modo in cui le si osserva. Ciò implica secondo Capra che le strutture di base del mondo materiale sono determinate, in ultima istanza, dalla mente umana. Questo fatto comporta almeno due conseguenze, assai importanti per le tesi che qui sostengo. In primo luogo, se le strutture osservate della materia sono riflessi di strutture mentali, l’uomo in quanto essere spirituale, e non pura e semplice aggregazione di particelle tra miliardi di altre particelle, torna al centro dell’universo socioculturale. In secondo luogo, il principio di coerenza, o di ordine, evidenziato da Capra, implica che anche i fenomeni socioculturali non possono essere studiati partendo dall’homo consumans o oeconomicus nudo e crudo, teorizzato dai liberali, bensì dal tutto sociale che penetra e incorpora spiritualmente l’individuo. Detto in breve: l’uomo è ciò in cui crede, e non ciò che compra. Questa è la lezione “sociologica” che si può ricavare dalla teoria quantistica.

6)Nell’ultimo capitolo del suo saggio dedicato a Rawls, Lei si richiama ad una visione universalista della società che presuppone mutamenti strutturali che conducano alla integrazione dell’individuo nella comunità, in cui altri valori, di contenuto etico e spirituale prevalgano sull’egoismo del singolo. La politica deve dunque imporsi all’economia. Ma, poiché l’attuale società è dominata dall’economicismo, dopo il fallimento del socialismo reale, occorre creare una diversa struttura economica della società che prevalga sul liberismo proprio nel suo specifico campo: l’economia. Può illustrarne le idee fondamentali?

La ringrazio per aver ricordato il Rawls, che insieme al saggio di de Benoist su Hayek, consente a “Contra” di offrire ai lettori una piccola panoramica sul pensiero liberale contemporaneo nelle sue componenti, rispettivamente, progressiste e conservatrici. Quanto alla sua domanda devo ammettere che non è ancora possibile scorgere e quindi indicare l’ipotetica struttura economica di una società postliberale e postcomunista. Insomma una rivoluzione economica universalista nel metodo e idealistica nei valori (nel senso di riuscire a conciliare gli aspetti spirituali, razionali e materiali della realtà umana), non è cosa che si possa attuare in tempi brevi. Penso specialmente a certe mie proposte come la riduzione dei consunti derivati (o inutili), il maximum dei guadagni, lo smembramento dei grandi monopoli economici, la lotta alle multinazionali extraeuropee, lo sviluppo della democrazia economica, il rafforzamento dell’autosufficienza europea (sul piano economico, politico, scientifico, culturale). Sono idee e progetti che richiedono referenti politici coraggiosi in grado di attuarli, “complicità” dei mezzi di comunicazione sociale, e soprattutto, cosa che chiede ancora più tempo, quella stessa stanchezza per il vecchio frammista a brama per il nuovo che spinse le anomiche masse del tardo Impero romano nelle braccia del cristianesimo.

Del resto non è così semplice: non basta che la politica, quale puro e semplice momento decisionale -costrittivo riesca a imporsi all’economia. Come ho già detto, l’uomo è un essere socialmente condizionabile e può sempre interiorizzare nuovi valori e liberarsi dei vecchi. Perciò il momento politico deve essere sempre preceduto da quello sociologico (e pedagogico) dell’interiorizzazione (o socializzazione) dei nuovi valori. Se l’ipotetica società, di cui lei mi chiede, deve fondarsi su valori idealistici come la sobrietà, il senso della misura, la solidarietà, l’altruismo allora questi valori devono essere da subito insegnati ai giovani. Ad esempio si è generosi nella misura in cui si è appreso ad esserlo. È ovvio che in una società come la nostra in cui si predica l’egoismo sarà difficile trovare altruisti puri. Di qui la necessità di instaurare dal basso, operando soprattutto con bambini e giovani, valori altruistici e di responsabilità sociale. Studi e ricerche mostrano che se i bambini vedono un’altra persona comportarsi generosamente loro stessi tendono a comportarsi in modo tale. Altre ricerche l’hanno mostrato come questi effetti di “modellamento” tendono a persistere nel tempo e a generalizzarsi. Ovviamente con gli adulti l’attività di condizionamento è molto più difficile. Tuttavia il volontariato che i liberali vorrebbero ridurre a stampella caritativa dello stato minimo, può invece essere un’ottima palestra morale per formare veri e propri “soldati” sociali, animati da un’autentica mistica del dono: una specie di combattiva avanguardia della società che verrà.

Del resto senza un profondo mutamento di mentalità culturale non si va da nessuna parte, o ancora peggio, si corre il rischio di ricadute totalitarie. Certo, si tratta di un lavoro oscuro, impopolare, che riguarda famiglie, scuola, università, intellettuali liberi e mezzi di comunicazione sociale. Ma necessario. I tempi sono ovviamente lunghi, e vanno probabilmente oltre le nostre vite, se è vero, come ha osservato Sorokin, sulla base di studi storico-comparativi, che la nostra crisi apertasi nel 1914, non potrà aver termine che tra la fine del XXI e l’inizio del XXII secolo. Pertanto anche una piccola collana come “Contra” non è che una goccia nel mare della gigantesca transizione epocale che ci attende, benché la storia insegni che goccia dopo goccia, anche la roccia più resistente finisce per essere erosa...