Carta Ue, strani parallelismi tra silenzi e parole

Privatismo religioso, perché di sinistra?

Giuseppe Cacciami

Il riconoscimento infine negato al cristianesimo dalla Costituente europea, non è un astratto problema di palazzo.
Piuttosto è un esemplare problema culturale che, se affrontato nella sua identità, tocca da vicino la vita della gente, di ogni paese, di ogni borgo, di ogni città d'Europa. Guardiamoci intorno: senza il riferimento al cristianesimo, non solo dal punto di vista dei cardini essenziali della comunità civile ma anche sotto il profilo esclusivamente storico, artistico e sociale, ogni zolla di terra in cui viviamo diventa culturalmente indecifrabile.
È per questo che Goethe e Kant definivano senza remore il cristianesimo come la "lingua materna" dell'Europa e della sua civiltà. E così, sempre per star fuori dalla sacrestia, basta farsi ripetere le stesse cose da Nietzsche o da Voltaire.
Ma non è questo il punto. Vorremmo invece, senza pretese cattedratiche, chiederci il perché di alcune strane sintonie, di alcuni inattesi parallelismi riscontrati nell'area allergica al citato inserimento costituzionale. Poniamolo chiaramente l'interrogativo: come mai laicisti di 24 carati, inossidabili da sempre ad ogni voluta d'incenso, si sono trovati d'accordo con talune reticenze cattoliche?
Oh, beninteso: la materia non è di fede o di dogma. Ma se la scelta pratica della Chiesa cattolica è quella che più volte, nel suo insegnamento quotidiano, Giovanni Paolo II ha enunciato, l'interrogativo è d'obbligo.
Quanto alla risposta ci sembra di trovare un indizio "prezioso" nella formulazione penultima della Bozza. E seppur il riferimento alla stagione dei Lumi non ha trovato poi la conferma finale, non pare smentita l'impostazione che la suggeriva. Quella dell'illuminismo, del trionfo messianico della Ragione, collocata poi sull'altare di Notre Dame in effigie femminea dagli sbrigativi giacobini.
Uno dei dogmi fondamentali di quella rivoluzione era proprio l'inutilità pratica, il superamento storico e concettuale del fenomeno religioso cristiano, come detrito del pass ato, inutile per la nuova "ascesa di civiltà".
Secondo la tesi, al fatto religioso cristiano può al massimo essere riservato l'intimo spazio d'opinione della coscienza o tra le quattro pareti di una sacrestia insonorizzata.
Leggendo attentamente, qua e là, le riflessioni di alcuni cattolici che ritengono inutile insistere sul riferimento religioso nella Costituzione, ritroviamo con malinconia la stessa interpretazione miope e riduttiva del senso evangelico di quella testimonianza che chiede ai cristiani non solo pie aspirazioni interiori ma un impegno concreto nella storia.
A questi cattolici immemori già Rosmini ricordava il cristianesimo come quel "grande mediatore" che ha raccolto, nella sintesi alta "di un umanesimo civile, i valori dello spirito greco, dello spirito romano, dello spirito germanico".
Negli anni dell'ultima cosiddetta rivoluzione culturale ('60-'70) un'idea fissa di certi barricadieri catto-illuministi del tempo era proprio la preoccupazione di spogliare la Chiesa di ogni visibilità storica e sociale per impedirle di diventare un "ostacolo al Regno". Testualmente.
A questi paladini del silenzio sulle radici d'Europa va omaggiato il supercitato apologo di Kierkegaard. «Quello della nave finita in mano al cuoco di bordo che dall'ufficio del comandante non trasmette la rotta ma ciò che mangeremo domani». Troppo poco.

Avvenire, 15 Giugno 2003