Su Il Domenicale in edicola fino a domani, Lottieri mette il dito nella piaga.
E come sempre ha ragione da vendere.
Le contraddizioni della Sinistra tra embargo e globalizzazione
di Carlo Lottieri
Prima fu la volta dell’Irak, evocata come vittima dell’embargo statunitense. In queste settimane, più di frequente, ci si riferisce invece a Cuba, “strangolata” dalle barriere che ostacolano il libero commercio con l’economia nordamericana. La storia però è sempre la stessa: è l’embargo USA a rovinare questo o quel Paese, ed è quindi il capitalismo occidentale la causa prima della povertà di Baghdad e di L’Avana.
La realtà, ovviamente, è molto più complicata e non solo perché sono le politiche illiberali del “socialismo nazionale” irakeno o caraibico ad aver distrutto quei popoli. D’altra parte, in questo come in molti altri Paesi del Terzo Mondo (si pensi al caso più tragico, la Corea del Nord), lo statalismo si è imposto proprio perché si è dimostrato lo strumento più utile a politici cinici e senza scrupoli.
L’embargo statunitense, naturalmente, non è una bella cosa, soprattutto perché lede i diritti fondamentali dei singoli. Ogni barriera al libero scambio, del resto, ostacola la crescita economica, la circolazione della cultura, le interrelazioni volontarie. Nel caso specifico di Cuba, poi, a causa di questa proibizione di vendere e di comperare, alcuni nordamericani si vedono quotidianamente negare l’opportunità di concludere affari con i cittadini dell’isola e soprattutto questi ultimi smarriscono una fondamentale chance per contrastare la miseria in cui si trovano.
Di fronte alla propaganda degl’intellettuali di tradizione socialista, che usano l’embargo per condannare il mercato e le società liberali, la considerazione fondamentale da farsi è però questa. È del tutto ridicolo che queste accuse provengano proprio da chi accusa a ogni piè sospinto la globalizzazione di essere all’origine di tutte le ingiustizie umane. Qualora gli araldi del messaggio no global avessero ragione (se fossero vere, cioè, le tesi di Vivianne Forrester e Riccardo Petrella, George Soros e José Bové), i cubani avrebbero tutto da guadagnare dall’embargo USA. Se ogni scambio volontario tra un uomo ricco e uno povero peggiorasse le condizioni di quest’ultimo (che in realtà partecipa a tale relazione proprio perché ritiene di ottenere un beneficio), non vi sarebbe ragione di condannare le barriere commerciali erette tra Stati Uniti e Cuba.
Ma gl’intellettuali à la page sono così: di tutto si preoccupano meno che della coerenza. Al mattino accusano le multinazionali di sfruttare le popolazioni dei Paesi in via di sviluppo, la sera biasimano Washington perché impedisce a quelle medesime imprese di avviare attività pure a L’Avana.
L’embargo deciso dal governo statunitense è certamente sbagliato: moralmente illegittimo, politicamente controproducente ed economicamente dannoso. Però quest’accusa può essere formulata solo da chi apprezza la proprietà privata e la libertà di mercato, e non da quegli “statalisti selvaggi” che continuano a vedere nel capitalismo il male assoluto da combattere e la negazione di ogni possibile giustizia.