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Discussione: I fuochi fatui

  1. #1
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  2. #2
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    I fuochi fatui sono tenui luminosità, simili a deboli fiammelle, osservate molto raramente di notte, in campo aperto, vicino ad acquitrini o a cimiteri.
    Conosciuti in tutto il mondo da almeno duecento anni, sono considerati un fenomeno naturale dovuto ai gas prodotti dalla decomposizione di masteriale biologico. Per questo sono spesso associati a cimiteri e paludi, ma loro reale composizione è ancora ignota. Una teoria suggerisce che essi siano generati dal metano, uno dei gas prodotti dalla putrefazione, mescolato a tracce di fosfina, un composto che si autoincendia a contatto con l'aria, incendiando a sua volta il metano. Con questa ipotesi, però, contrastano le poche testimonianze dirette di persone che li hanno avvicinati fino a toccarli e che parlano di qualcosa di simile a un vapore luminoso freddo. Potrebbe allora trattarsi non di combustione, ma di chemiluminescenza (o fosforescenza) della fosfina. Purtroppo, però, nessuno ha mai catturato, analizzato o riprodotto in laboratorio il fuoco fatuo.

    Fonte: Focus

  3. #3
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    L’ARIA INFIAMMABILE NATIVA DELLE PALUDI

    Il 3 novembre 1776 Alessandro Volta, ospite di amici sul Lago Maggiore, ad Angera, godeva un pò di vacanza. Costí, presso la riva del lago, in un canneto dal basso fondale melmoso, scopre l’"Aria Infiammabile Nativa delle Paludi", così denominata dallo stesso Volta. É un’aria che arde lentamente con una piccola fiamma azzurra solo se si accosta ad essa del fuoco, e solo a contatto con l’aria atmosferica. Egli, che ha già ottenuto “arie infiammabili” facendo reagire acidi su metalli, pensa che anche quell’aria del canneto possa essere infiammabile: la "raccoglie" e scopre così il gas metano.

    Volta intuisce che quest’aria infiammabile pullulante attraverso acque pantanose, possa essere prodotta da tutte le paludi. Raccoglie quell’aria nel sopra citato canneto, entro laghi, negli stagni e in qualsivoglia luogo dove giacciono rimasugli di vegetali e di animali putrefatti. Non mai arriva ad ottenerne dalle terre, e molto meno dalle acque limpide. Arriva a sospettare che tale aria derivi da sostanze vegetali ed animali in decomposizione. Il suo sospetto è realtà: i chimici che conoscevano l’aria infiammabile delle miniere di carbone (grisou), di zolfo e di salgemma la ritenevano di origine minerale, mentre invece è di origine organica, come sostenuto da Volta.

    Il vedere il nuovo gas sgorgare soprattutto dai luoghi dove ci sono sostanze organiche in decomposizione, fa sorgere a Volta l’idea che i fuochi fatui, che sogliono di notte spaventare il vile volgo, siano fiamme di aria nativa delle paludi. Ma come spiegheremo il loro accendersi - si domanda Volta – poichè altro mezzo non conosciamo d'allumare l'aria infiammabile che quello di accostarvi una fiamma? Gli viene in mente allora che le scariche elettriche naturali possono fare altrettanto; ed eccolo subito a tentare di accendere, mediante le scintille, l’aria infiammabile metallica (l’idrogeno) e quella delle paludi.
    Riuscita la prova, egli abbandona però immediatamente il problema naturalistico, e si riduce a studiare quello strettamente fisico-chimico della possibile accensione elettrica delle arie infiammabili.
    Scrive a Padre Campi: "Io sostengo che gli olii più puri nè lo spirito del vino purissimo pareggiano nella potenza e facilità d’avvampare la nostra aria infiammabile". Nello stesso anno sostituisce il metano all’olio delle lucerne. L’aria infiammabile viene immessa, mediante un rubinetto che apre e chiude il passaggio, in una cannuccia alla bocca della quale si accende per mezzo di una scintilla che scocca (fra due punte metalliche) quando si solleva lo scudo di un elettroforo. Nasce così la “Lampada di Volta”.

    Da www.corrierecomo.it


  4. #4
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    I fuochi di Sant'Elmo
    Sono detti fuochi fatui o, quando compaiono sulle navi, fuochi di Sant'Elmo. Si tratta di fiammelle vaganti di origine ignota fino a tempi vicini a noi, che diedero origine alle più svariate e contrastanti superstizioni

    Secondo alcuni, i fuochi fatui sarebbero stati anime dannate che avrebbero attirato i viandanti verso cimiteri, infide paludi, terre senza ritorno; secondo altri spiriti benigni, i quali avrebbero condotto i coraggiosi che avrebbero osato seguirli nella notte di Santa Walpurga (quella del 1° maggio, quando nel folklore tedesco ha luogo il sabba) in luoghi dove erano sepolti fantastici tesori.

    Il fuoco di Sant'Elmo, protettore dei marinai (si tratta in verità di San Pedro Gonzales, confuso con Sant'Erasmo, vescovo siriano), ha ugualmente, nelle credenze popolari, due significati: stando ai navigatori che ebbero alla sua vista esperienze confortanti, esso porterebbe le imbarcazioni alla salvezza, secondo altri le faville elettriche che durante le tempeste coronano le alberature delle navi rappresenterebbero un cattivo presagio.

    C'è chi fa nascere il fuoco di Sant'Elmo dai 'velieri fantasma'. Non dimentichiamo che quest'ultima leggenda è molto posteriore, ma proponiamo ai lettori la storia, a titolo di curiosità.

    Nell'autunno del 1752 un vecchio tre alberi, il Palatine, lasciò l'Olanda alla volta del 'nuovo mondo', carico di emigranti. La destinazione doveva essere Filadelfia, dove però non giunse mai, a causa dell'ubriachezza cronica del capitano, del malcontento degli ufficiali e dell'indisciplina dell'equipaggio. Neik pressi delle coste della Nuova Inghilterra scoppiò un feroce alterco, il comandante venne buttato a mare e i suoi uomini, dopo aver fatto man bassa del denaro dei passeggeri, fuggirono sulle due uniche scialuppe di salvataggio. E il Palatine, in una notte tra Natale e Capodanno, si arenò sulla costa dell'isoletta di Block, a circa 18 chilometri da Long Island.

    I pescatori di quel misero lembo di terra accolsero i passeggeri, saccheggiarono il tre alberi e lo incendiarono, risospingendolo in alto mare, dove sarebbe affondato.

    Una donna rimasta a bordo, però (sempre secondo la leggenda), si sarebbe aggrappata al parapetto, chiedendo disperatamente aiuto, purtroppo non più in tempo per essere salvata.


    Immagine tratta dal sito http://www.wikimedia.org

    Ebbene, ancora oggi c'è chi afferma di vedere, nella settimana di Natale, la sagoma di una nave in fiamme. E dalla cima dei suoi pennoni si sprigionerebbero strani bagliori.

    Un altro racconto è dovuto al proprietario di un peschereccio di Long Island, che lo pubblicò sul periodico Scientific American, nel 1882, proponendo una spiegazione abbastanza plausibile del fenomeno.

    "Durante un'uscita a pesca", egli riferì, "un mio uomo disse: 'Speriamo di non abbandonare il Capo!', riferendosi a Montank. Gli chiesi perché avesse pronunciato quella frase ed egli, dopo aver tergiversato, finì per rispondermi di aver visto al largo un veliero che navigava in silenzio nel pieno della notte.

    Il marinaio venne deriso e il peschereccio gettò l'ancora nella Baia del Giardiniere, poche miglia a ovest dell'isola di Block. Ebbene, quella notte il capitano venne bruscamente svegliato dal suo secondo, che lo condusse sul ponte.

    Scorsero un natante piuttosto grosso, una goletta che avanzava puntando direttamente verso noi. Io mi accostai ai due, gridando: ' Ohi, della goletta! Virate di bordo!', ma in un attimo le vele bianche furono su noi. Stavo per buttarmi in mare, quando, d'improvviso, il vascello sparì e il timoniere ci venne a chiedere se per caso non avevamo le traveggole.

    Ebbene, giurerei di aver visto l'Olandese Volante!".

    Una settimana dopo, l'episodio si ripetè e, con una decisione improvvisa, il capitano ordinò di seguire il 'fantasma' e dichiarò in seguito: "Così come sono certo di essere vivo, vi assicuro che non avere mai fatto una pesca tanto abbondante. E penso che la luminscenza bianca fosse data in realtà non dalle vele di un'imbarcazione, ma dalla fosforescenza di un immenso banco di pesci che, muovendosi in una massa compatta, possono certo produrre tale effetto".

    Il professor W. E. Ganong condusse un'inchiesta sul caso, e i risultati furono pubblicati sul periodico della Società storica nazionale del New Brunswick. Dopo avere attentamente esaminato i fatti e interrogato parecchi attendibili testimoni, lo studioso pervenne a queste conclusioni:
    1) Vengono sovente avvistate sul mare luci che sembrano misteriose, ma sono in realtà di natura fisica.
    2) Esse si mostrano in ogni stagione, ma soprattutto in inverno e in estate.
    3) Tali appariznioni, in genere, precedono le tempeste.
    4) La maggior parte di esse ha forma grossolanamente emisferica, con la parte piatta quasi poggiata sull'acqua. Talvolta brillano semplicemente, senza cambiare aspetto, talvolta si sollevano in leggere colonne che ai marinai possono sembrare vele spiegate.


    (Continua)

  5. #5
    sacher.tonino
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    fonte: http://www.ufos-aliens.co.uk/

  6. #6
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    Il professor Ganong, pur non escludendo altre ipotesi, propende per la teoria che possa trattarsi di fuochi di Sant'Elmo.

    Veniamo ora ai fuochi fatui osservati sulla terraferma, che fuono addirittura oggetto, alla fine dello scorso secolo e all'inizio del nostro, di un'inchiesta governativa statunitense.

    La cosa prese avvio dal fatto che, a partire dal 1850, gli abitanti della zona di Ratlesnake, nella Carolina del Nord, avevano osservato luci, ora rosse, ora bianco-giallastre, che comparivano su un altopiano dei monti Appalachi. Cominciarono, naturalmente, a circolare storie su spiiti che avrebbero popolato i vicini rilievi, e la faccenda non si esaurì.

    L'inchiesta promossa da Washington non approdò a nulla, ma le apparizioni continuarono, tanto che nel 1913 alcuni specialisti del Servizio geologico degli Stati Uniti furono inviati sul posto a studiare il fenomeno. Essi constatarono che la zona era costituita da normale granito, che non esistevano paludi nelle vicinanze e che, quindi, non si poteva parlare di fuochi fatui. Gli esperti ne dedussero che i fenomeni dovevano essere attribuiti ai fari delle locomotive, ma i membri del congresso che avevano promosso l'inchiesta non si mostrarono soddisfatti di tale versione e organizzarono un'altra spedizione destinata a operare in una zona più vasta. Essa giunse alla conclusione che le 'luci' erano dovute per il 47 per cento ai fari delle locomotive, per il 33 per cento a quelli delle automobili e per il restante 20 per cento a luci fisse e falò di sterpaglie. Osservò, inoltre, che la zona sita ai piedi della montagna era spesso coperta di nebbia e che l'aria conteneva una cospicua quantità di polvere, per cui l'atmosfera risultava particolarmente rifrangente.

    Un ulteriore rapporto, del 1925, segnalò molti clamorosi errori del precedente. Si fece osservare, tra l'altro, che le 'luci' erano state osservate almeno sessant'anni addietro, cioè parecchi decenni prima che venisse costruita la ferrovia locale e circa mezzo secolo prima che comparissero le automobili. Inoltre, un'inondazione avvenuta nel 1916 aveva causato interruzioni alle strade e alla linea ferrata e, nonostante ciò, le 'luci' erano regolarmente comparse. Un elemento importante è dato dal fatto che esse brillavano dopo periodi di siccità più o meno lunghi: tanto conferma il fatto che l'umidità (data, in questo caso, da un piccolo fiume) contribuisce alla realizzazione del fenomeno.


    Immagine tratta dal sito http://inamidst.com/

    Anche nelle zone in cui si incontrano i confini del Kansas, del Missouri e dell'Oklahoma, gli strani fuochi compaiono spessissimo, tanto che hanno dato luogo a una fiorente industria turistica. Pure qui, tra le città di Columbus, Jopline e Miami (non quella della Florida, naturalmente), scorre un fiume, lo Spring, e la sua presenza, con la foschia che esso determina, potrebbe far pensare a una rifrazione della luce dei fari delle automobili in transito, anche perché alcune luminosità si scorgono a coppie, rosse e bianche, proprio come quelle dei veicoli.

    La soluzione sembrerebbe ovvia, però non lo è affatto, poiché anche in quella zona i fuochi fatui comparvero assai prima dell'uso delle macchine.

    Ma torniamo agli 'spiriti'. La storia inizia nel 1880, in piena epoca della corsa all'oro, quando sorse nel Colorado, nei pressi della cosiddetta 'Montagna Umida', una cittadina di cinquemila abitanti, oggi quasi completamente deserta, Dal cimitero si innalzavano, in corrispondenza delle tombe, luci bianco-azzurre. Sia il quotidiano New York Time che la rivista National Geographic inviarono sul posto i loro cronisti, che non riuscirono però a cavare il proverbiale ragno dal buco, inseguendo invano le fiammelle.

    Pure in questo caso s'ipotizzò che i 'fuochi' non fossero che riflessi delle luci della vicina Westcliffe, ma la teoria cadde alla semplice constatazione che le fiammelle spuntano anche quando, a causa della nebbia, la città è completamente invisibile dagli immediati dintorni. Venne tirata in ballo anche la radioattività, ma gli appositi strumenti non ne rivelarono la minima traccia.

    La scienza è pervenuta ora a svelarci il mistero: i fuochi di Sant'Elmo, che appaiono sui vecchi pennoni, nei cimiteri e, in genere, in terreni umidi e grassi, sono dovuti a esalazione e accensione spontanea d'idrogeno fosforato prodotto dalla fermentazione di sostanze organiche.

    A volte si può anche trattare di scariche elettriche, di meteoriti, di fulmini globulari (un caso raro, quest'ultimo, ma assai impressionante), di effetti di riflessione e rifrazione atmosferica e di altri fenomeni ancora.

    Meno male che, almeno qui, non sono finora stati coinvolti gli onnipresenti 'dischi volanti' con le loro luci abbaglianti e i loro misteriosi abitatori.


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