Il valore supremo dell’esempio
29 settembre 2009
di Florian
Grazie ad Angela Merkel il sottoscritto si è riavvicinato, dopo alcuni anni, alla politica tedesca. Come ho scritto in precedenza, questa rinnovata “voglia di Germania” è volontà di tornare all’antico dopo che la sbornia “nuovista” è passata senza essere riuscita a risolvere i problemi di ieri e anzi avendone aggiunti degli altri. In tempi di crisi, morale e materiale, è consuetudine affidarsi sempre all’usato sicuro. E la Germania è sempre lì a porsi come riferimento in virtù del suo rigore, della sua serietà, della sua continuità. Magari non affascina, è grigia e “noiosa” come i suoi dibatti elettorali, ma di sicuro non ti frega. E che te nei fai di questi tempi del fascino? In primo luogo vale la concretezza. Dunque, Angela Merkel.
Di questi tempi Angela Merkel potrebbe dirsi l’anti-Obama. Mentre quest’ultimo incarna infatti da capo a piedi la sensibilità postmoderna e scalda le folle mondiali come una rockstar in virtù del suo appeal, Angela fai addirittura fatica a ricordarla tanto il suo aspetto e il suo stile sono convenzionali e nient’affatto appariscenti. La Merkel è una donna, ma non una donna-copertina. Non è trendy come Michelle. Prima che diventasse cancelliera il suo look era anzi decisamente sciatto e su Internet circolano ancora sue foto orribili che comunque non le hanno impedito di arrivare ad essere, secondo Forbes, la “donna più potente del mondo”. Mentre Obama si è affermato per la sua immagine accattivante (e quell’”abbronzatura” che in America acquista un peso specifico per la rimozione di un passato storico che continua a bruciare), la Merkel vi è riuscita a dispetto di questa. Onore al popolo tedesco, che ha dimostrato ancora una volta di non farsi ingannare dall’esteriorità e di valutare le donne non come veline. Da noi, che abbiamo mandato in Parlamento Cicciolina, purtroppo si sprecano volgarità su Rosy Bindi. Oltre che idioti, pure cafoni.
Ad ogni modo, una volta diventata cancelliera, Angela Merkel ha rivisto adeguatamente il proprio aspetto, risultando più gradevole e istituzionale. Segno che all’esteriorità c’è sempre rimedio, alla qualità della persona purtroppo no.
Angela Merkel ha tutte le caratteristiche che dovrebbero riguardare un politico. Serietà, onestà, competenza, misura, affabilità. Ciò le è valsa la stima anche dell’avversario, le cui critiche hanno sempre avuto un fondamento politico e mai hanno intaccato la persona. Questo perché la credibilità e l’esempio sono fondamentali in un politico e sono addirittura essenziali se ci si rivolge in primo luogo ad un elettorato tradizionalista e conservatore quale è quello della CDU ed in generale quello tedesco. In un’epoca in cui i valori della libertà e della democrazia sono considerati irrinunciabili, le politiche, anche quelle etiche, devono necessariamente permettere al cittadino di scegliere secondo coscienza. Un politico conservatore deve adoperarsi affinché i valori si impongano sui disvalori, che la vita abbia la meglio sulla morte e la virtù sul vizio, ma senza imporre autoritariamente la propria scala di valori. Non può farlo non solo perché in un sistema liberale ciò non sarebbe permesso, ma anche perché i risultati sarebbero controproducenti alle intenzioni. Si alimenterebbe infatti ancor di più il gusto della trasgressione. In realtà, al giorno d’oggi, il politico conservatore ha una sola possibilità per far valere ciò che reputa giusto: fornire in prima persona il buon esempio. Dando testimonianza, innanzitutto con il proprio comportamento, del valore delle proprie parole. Del resto, un venditore deve essere sempre credibile e se si ha un’immagine e una condotta contraria ai principi espressi si spiazza l’acquirente. In politica, questo atteggiamento contraddittorio offre oltretutto il destro all’avversario che ha la possibilità di colpirti innanzitutto per quello che sei prima ancora che per quello che dici.
Ogni paese ha i suoi scandali e ogni politico, anche il più onesto, può incorrere in errore. In Germania è accaduto che Helmut Kohl, colui che ha unificato le Germanie, dopo sedici anni di governo, mentre era ancora l’incontrastato leader dei cristiano-democratici, è incappato in una spiacevole storia di fondi illeciti. In una società ligia alle regole quale quella tedesca anche un mito nazionale se sbaglia è costretto a pagare, ed è stata proprio la sua protetta, Angela Merkel, ad assumersi il doveroso compito di accompagnarlo gentilmente fuori dalla scena politica. Nell’occasione si è dovuta privilegiare la verità alla lealtà e si è salvaguardato così l’integrità morale e il futuro della CDU. Questo discorso ci porta inevitabilmente e dolorosamente a fare un raffronto con quanto accade costantemente in casa nostra.
All’epoca di Mani Pulite, quando i nostri partiti di governo furono colpiti dagli scandali, invece di darsi una doverosa e salutare ripulita si puntò l’indice sui cosiddetti “moralizzatori", ovvero la Magistratura, la stampa di sinistra, etc., colpevoli di aver promosso in Italia una sorta di golpe. Il machiavellismo nazionale ha permesso che i politici colpevoli di reato venissero assolti in virtù delle loro qualità politiche, grazie oltretutto all’idea perniciosa che un crimine quando viene commesso da tutti o quasi non si rivela più tale. Rubavano… ma rubavano tutti! In pochi, sinceramente, hanno ammesso le proprie colpe, che sono state invece riversate all’avversario. La perdita di credibilità della Prima Repubblica ha permesso così all’antipolitica di prenderne il posto. Quando Berlusconi entrò “in campo” aveva dietro di sé i fedelissimi di Publitalia e i residui delle classi dirigenti scampate alle inchieste giudiziarie. Pur combattendo strenuamente le sinistre, Berlusconi non intendeva porsi a rappresentante del ceto conservatore e cattolico, tendendo al contrario verso un liberalismo interclassista e fondamentalmente laico. Era un liberalismo di massa (populismo) e non un rinnovato conservatorismo il suo manifesto obiettivo politico. E fin quando i suoi megafoni in tv erano Sgarbi e Liguori l’azione non peccava certo di incoerenza. Col tempo, però, Berlusconi si è accorto che se voleva vincere il composito blocco ulivista doveva avere dalla sua l’elettorato cattolico, specie quello più confessionale. A motivo di ciò il Cavaliere cambiò parzialmente immagine e politiche, diventando più rassicurante e accogliendo nell’agenda di partito le tematiche etiche a cuore presso le gerarchie vaticane.
Per qualche anno l’immagine costruita a tavolino del Berlusconi cattolico e moralizzatore ha retto dinanzi all’opinione pubblica (nonostante la sua attività imprenditoriale andasse in tutt’altra direzione, come i palinsesti di Mediaset potevano facilmente dimostrare). Quest’anno invece, grazie ad un’abile, scaltra, discutibile ma politicamente efficace, azione di Repubblica, gli altarini sono saltati per aria e Berlusconi si è trovato invischiato in storie non criminose ma discutibili sul piano morale, sia per il ruolo istituzionale esercitato che per la fisionomia politica che si era artatamente costruito. E’ inutile ripercorrere le varie tappe che hanno portato ad un progressivo sgretolamento dell’immagine del nostro premier all’estero, non solo tra i socialisti ma anche tra i conservatori stessi. I berlusconiani per difendere il loro leader dalle accuse rivoltegli si affannano nello sbandierare il famoso slogan libertario “vicious are not crimes” (i vizi non sono crimini), dimenticando così che un politico vizioso un elettorato conservatore non lo vota facilmente. Non a caso i cattolici italiani sono rimasti disorientati da un uomo politico che privatamente è il contrario di quello che in pubblico vorrebbe rappresentare. Non si tratta qui di debolezze passeggere, ma di uno stile di vita di cui il premier non intende scusarsi e di cui si pavoneggia pure in pubblico. Atteggiamenti oggettivamente volgari, poco consoni ad un Capo di Stato, che sono stati adeguatamente censurati dalla stampa estera. Solo perché ha un consistente seguito di elettori fidelizzati e perché ha dinanzi a sé un’opposizione inconsistente incapace di darsi una credibile linea politica, il Cavaliere è riuscito a non farsi sommergere dall’ondata di fango che lo ha investito in questi mesi. Tuttavia la sua immagine rimarrà intaccata per sempre e i suoi errori verranno probabilmente pagati dai suoi eredi politici, se ci saranno mai.
Inutile dire che in Germania (ma non solo) i politici, i partiti e le Istituzioni si sarebbero comportati diversamente. Purtroppo nel nostro Paese la lealtà ha sempre avuto la meglio sulla verità. E’ accaduto prima con Mussolini, poi con Craxi e infine con Berlusconi. Non con Andreotti, bisogna dargliene atto, che ha vissuto sulla propria pelle fino in fondo gli attacchi giudiziari rivoltigli uscendone alla fine indenne. Allo stesso modo, se nessun italiano ha mai giurato sulla santità della classe politica democristiana, bisogna ammettere che mai la DC ha giocato tanto ipocritamente la carta del cattolicesimo politico. Forse questa è la ragione per cui un ceto democristiano, sopravvissuto alla burrasca, riesce ancor oggi ad intercettare i delusi del berlusconismo e a porsi quale punto di coagulo per quell’area moderata che un giorno o l’altro dovrà forzatamente ricomporsi, in quale forma non si sa ancora. Se questo accade è perché nei momenti di crisi bisogna fare sfoggio di sincerità, umiltà e concretezza. Berlusconi è riuscito ad essere concreto, ma non è stato né sincero né umile e ha preferito saldare i rapporti politici sulla lealtà. Invece l’Italia ha un forte deficit di verità, di politici che fondino le loro leggi sull’esempio affinché siano credibili. In caso contrario chi verrà dopo non avrà alcuna difficoltà a cambiarle con altre di segno opposto. Ogni reale ipotesi di costruzione ha bisogno di basarsi sul consenso e a volte anche sul compromesso. Per tutto ciò, anche in Italia, avremmo bisogno di una Merkel.