DIRITTI UMANI
Sofri, il peccato della Corte di Strasburgo
Dichiarato «non ricevibile» il ricorso presentato contro l'Italia. Ora non resta che la grazia
Verso la grazia. Chiesto un incontro «ufficiale» a Berlusconi per favorire un atto di clemenza. Le resistenze di An. Prosegue il digiuno

MANUELA CARTOSIO

«Peccato», dice Adriano Sofri nel carcere di Pisa. «Peccato», ripete l'avvocato Sandro Gamberini nel suo studio di Bologna. Ci speravano entrambi nel ricorso alla Corte europea per i diritti umani anche se con l'allungarsi dell'attesa la fiducia in un responso positivo si era assottigliata. Si è azzerata l'altro ieri quando la Corte di Strasburgo ha dichiarato «non ricevibile» il ricorso contro l'Italia presentato dai tre condannati per il delitto Calabresi. Per deciderlo i sette giudici hanno impiegato tre mesi abbondanti, invece delle annunciate due settimane, e si sono contati. La bocciatura, infatti, è stata decisa a maggioranza. La trasferta a Strasburgo del «caso Sofri» è chiusa, i giudici non entreranno nel merito, non pronunceranno un verdetto di condanna o di assoluzione dell'Italia perché il ricorso non ha superato lo stadio preliminare dell'ammissibilità. Un'eventuale sanzione della Stato italiano non avrebbe automaticamente tirato Sofri fuori dal carcere. La bocciatura, paradossalmente, toglie qualsiasi alibi alla non concessione della grazia. La Corte di Strasburgo ha bocciato tutti gli argomenti contenuti nel ricorso e illustrati lo scorso 4 marzo dai difensori dei tre ex di Lotta continua. Ha definito «mal fondati», «tardivi», «presentati senza aver esaurito le vie di ricorso interne» i cinque punti che secondo la difesa costituivano altrettante violazioni del diritto degli imputati a un processo equo sancito dalla Convenzione europea dei diritti umani.

Neppure la sentenza suicida, quella stilata apposta dal giudice Pincioni per ribaltare l'assoluzione del 1993, ha smosso la Corte europea. Per i giudici di Strasburgo non ci sono elementi che permettano «di mettere in dubbio l'imparzialità» di Pincioni, «nulla prova che sia stato un giudice dissidente». Non ci sono elementi nel dossier per ritenere «arbitrario» il comportamento del giudice Della Torre. Se gli imputati erano convinti del contrario avrebbe dovuto ricusarlo a tempo debito, nel corso del processo. Sommersi dalla carte e da una storia processuale complicatissima, ai giudici di Strasburgo forse è sfuggito che gli imputati il giudice Della Torre non l'hanno ricusato in corso d'opera perchè hanno saputo a babbo morto come si era comportato in camera di consiglio. A quel punto hanno presentato un esposto, archiviato con un qualche imbarazzo dalla procura di Brescia.

I giudici di revisione, secondo la Corte, consentendo ad Antonia Bistolfi (compagna e «riscontro» dell'accusatore Leonardo Marino) di non deporre, non hanno intaccato i diritti della difesa «a tal punto» da violare la Convenzione. Strasburgo non trova nulla di strano nelle circostanze piuttosto misteriche del «pentimento» di Marino, neppure nei diciotti giorni di colloqui non verbalizzati tra lui e i carabinieri. «Molto spiacevole», ma niente di più, che elementi di prova - come l'auto del delitto - siano stati distrutti «poco tempo dopo» l'arresto dei ricorrenti. La spiacevolezza non ha svantaggiato la difesa rispetto all'accusa, quindi l'equità del processo è salva. Fine della storia.

«La Corte di Strasburgo non ha voluto e saputo affrontare il cuore del problema, quello di un processo inquisitorio, privo di quegli elementi del giusto processo successivamente affermato dalla nostra Costituzione», commentano Franco Corleone e Silvio di Francia, promotori del digiuno contro l'oblio che sabato prossimo arriverà al cinquecentesimo giorno. «Peccato per Strasburgo, ma proprio per questo non ci rassegnamo». Il digiuno a staffetta, a cui hanno aderito finora 1.620 persone, proseguirà «con ostinazione» per sollecitare «un atto di decenza e di umanità» che metta fine a una detenzione "inutile e crudele".

La grazia, dunque. D'ufficio per Sofri che non la chiederà mai e con procedura normale per Bompressi, in detenzione domiciliare perché - l'ha riconosciuto poche settimane il Tribunale di sorveglianza di Genova - in carcere richia di morire. Corleone e Di Francia annunciano d'aver chiesto un incontro «ufficiale» al presidente del consiglio perché abbiano un seguito le «parole chiare e sincere» che ha scritto a favore di un atto di clemenza. Il messaggio per Berlusconi è ovattato ma comprensibile: la maggioranza vinca le ultime resistenze di una parte di An e imponga al ministro Castelli di trasmettere al Quirinale la domanda di grazia per Bompressi e d'istruire la pratica per la grazia d'ufficio a Sofri. La resa dei conti nel centro destra dopo la sconfitta elettorale non è il momento più propizio per mettere sul tavolo della «verifica» la grazia a Sofri. Ma di questo passo il momento propizio non arriverà mai.

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