Pierluigi Battista

La fine dell'innocenza
recensione di Andrea Cacciuttolo - 4/5/2001

Il mito più potente e diffuso per spiegare la cacciata dal paradiso terrestre è quello che fa coincidere la perdita dell'innocenza con l'irruzione della proprietà privata e di questo mito l'utopia comunista moderna si è deliberatamente autonominata erede e portabandiera. Sin dalla metà degli anni settanta in Italia si avvallò la separazione tra utopia comunista e realtà, che se da una parte permetteva il distacco dal comunismo storico, consentiva anche e soprattutto l'assoluzione dei comunisti in carne e ossa, vessilliferi di una giusta utopia. Il formidabile e capioso argomento utopistico ha arbitrariamente troncato ogni rapporto di causa ed effetto tra le promesse paradisiache del perfettismo e l'inferno della sua effettiva realizzazione storica. Si è invece provveduto ad allargare il divario tra la speranza e la verità, tra l'idea e la realtà, tra l'utopia e la storia. Si capisce allora che tra i comunisti la possibilità di rifugiarsi nell'età dell'innocenza e tirarsi fuori dal crollo del comunismo reale sia suonata come un'insperata opportunità di non mettersi in gioco fino in fondo.In Italia il crollo del comunismo non ha trascinato lungo la strada della rovina gli eredi di quello che fu il più grande partito d'Occidente. Se la condanna del comunismo storico disintegrandosi nel disonore non ha compromesso o inquinato l'onore dei comunisti genericamente intesi, salvati invece come interpreti, attraverso l'utopia, di una sete non placata di giustizia, una assoluzione ha gratificato infatti quella peculiare versione di comunisti che sono stati e sono i comunisti italiani. Con la caduta del muro di Berlino gli italocomunisti, mai stati al potere, non avendo materialmente eseguito i delitti di cui pure si sono macchiati i comunisti altrove al potere, sono soggettivamente incolpevoli. Assolti per non aver commesso il fatto. Con straordinaria duttilità, i comunisti italiani sono sopravvissuti alla sconfitta del comunismo storico vestendo insinceramente i panni di utopisti generosi cui la rovinosa disfatta non ha sottratto il monopolio delle domande di giustizia e di eguaglianza. Insistere nell'assegnare all'utopia un valore positivo malgrado le dure e ripetute repliche della storia comporta inevitabilmente la persistenza di un sentimento luttuoso di diminutio emotiva e alimenta la malinconica percezione di un depauperamento simbolico sotteso alla realista accettazione di un orizzonte non utopistico o addirittura antiutopistico nella lotta politica. Il comunismo storico, promessa di giustizia e di eguaglianza, figlio radicale di un'eresia che nasce pur sempre nel cuore della cultura illuministica altro non sarebbe invece che perversione e degenerazione. E dunque, ci sarebbe un rapporto di snaturamento tra la bontà liberatrice del progetto comunista e l'effettuale manifestarsi di pratiche sterminatrici nella realizzazione storica del comunismo.

Il grande buco nero della coscienza post-comunista non sarà definitivamente colmato sino a che verrà accolto con malcelato fastidio o con insofferenza l'argomento della correità di chi non disse nulla di fronte all'orrore o addirittura lo giustificò con ingegnose filosofie della storia. Solo allora la memoria collettiva potrà dire di aver definitivamente elaborato un interminabile lutto.

Andrea Cacciuttolo
cacciuttolo@ragionpolitica.it