Il "Financial Times" anticipa i contenuti del piano e conferma la denuncia della Fiom.
Restyling della Stilo e di Multipla, di Lybra nel marchio Lancia, di tutti i modelli Alfa Romeo. Nuove produzioni di Gingo e Idea, e della New Large ancora per Lancia nella versione 194 sotto il marchio Fiat. Basterà? Non basta. E allora vai coi tagli di 10mila dipendenti; sfrondando questa volta all'estero e tra i "colletti bianchi", fino ai massimi livelli. Che tra le tute blu non c'è più niente da tagliare senza che collassino i cicli produttivi e quel che resta in piedi degli stabilimenti. E poi: outsourcing a tutto spiano, anche per funzioni rilevanti, nell'ambito della struttura del Lingotto; ottimizzando e accorpando ruoli tra società, gruppo, finanziarie. Accorciando, come si dice, la catena di controllo, ma anche la moltiplicazione degli sprechi che si sono portati via l'azienda, quasi. Non basterà ancora, scriveva ieri il Financial Times, con un titolo a sei colonne sulla grande malata di Torino. Secondo il quotidiano finanziario della City «le riduzioni di personale riguarderanno soprattutto la Case New Holland», la controllata statunitense che produce macchine agricole e di movimento terra. Il Ft ricorda che «la Fiat ha già tagliato oltre 7mila posti di lavoro e chiuso 17 impianti. E il nuovo piano dovrebbe accelerare di un anno i tagli previsti nel 2005».
Ma l'imperativo categorico, per Umberto Agnelli e per il nuovo amministratore delegato Giuseppe Morchio, è tamponare la ferita finanziaria, fermare l'emorragia di cassa, trovare le risorse per quell'accumulo di rosso nei conti "correnti" e, soprattutto, per quel sovraccarico di debito verso banche, creditori, finanziamenti del mercato, obbligazioni in scadenza. Per cifre (8.325 milioni di euro nel 2003, 17 miliardi dal 2004 al 2007), secondo i documenti e le proiezioni del sindacato, che fanno tremare le vene e i polsi, benché smentite dall'azienda che accusa Gianni Rinaldini e Sergio Cusani di aver fatto previsioni "catastrofiche", su dati del 2000, non corretti dagli interventi effettuati e dalle dismissioni intercorse.
Secondo uno studio di Credit Suiss First Boston: «Le perdite dell'auto e il deterioramento di altri settori potrebbero "bruciare" le ingenti risorse ottenute con le dismissioni». Il debito netto, infatti, che alla fine del 2002 era di 3,78 miliardi di euro, a marzo pesava per oltre 5 miliardi, con un'ipotesi, secondo Cssb, di "consumo di cassa" di 1,1 miliardi nel corso dell'anno.
In ogni caso, dopo la denuncia della Fiom, è come se tutto il processo abbia subito un'accelerazione. Il piano, nelle grandi linee, in bozze riservatissime, è già nelle mani delle banche, ed è stato illustrato dall'amministratore delegato al Presidente del Consiglio nel faccia a faccia di mercoledì. Prima di presentarlo nella versione ufficiale al Consiglio di amministrazione, Morchio volerà nel fine settimana negli States, per ridiscuterlo con i vertici della General Motors.
«Morchio sta vedendo tutti i soggetti interessati all'operazione - sostiene Reuters - ed è molto probabile che lo illustri preventivamente a Gm, che con le sue decisioni sull'aumento di capitale può condizionare l'operato della Fiat». Secondo il giornale britannico, con la vendita di Fiat Avio sarebbero definiti tutti gli aspetti industriali del piano, concentrati sul settore automotoristico (auto, veicoli industriali, camion, trattori e macchine per l'edilizia), ma con ulteriori interventi di "razionalizzazione" della capacità produttiva estera e, per quanto riguarda l'Italia, con un "aggiustamento" di un migliaio di unità sparse tra Comau, Teksid e Iveco.
Dalle notizie che arrivano dall'America, però, anche la major statunitense non se la passa troppo bene. Gm, ieri, ha annunciato ai mercati finanziari un piano per raccogliere 10 miliardi di dollari attraverso il collocamento di obbligazioni e di titoli convertibili «al fine di migliorare la propria situazione patrimoniale». L'agenzia internazionale di rating Fitch ha deciso di mantenere su Gm una valutazione negativa, e ieri ha abbassato il rating da 3B+ ad A-. Lo avevano già fatto Standard & Poors e Moodys, nonostante l'ottimismo sparso a piene mani da Rick Wagoner sul futuro dell'auto.