S. Alfonso Maria de Liguori
* Istruzione al popolo


PARTE I. De' precetti del decalogo.
* CAP. VI. Del sesto precetto.
* RIMEDI CONTRA LE TENTAZIONI DISONESTE

RIMEDI CONTRA LE TENTAZIONI DISONESTE

12. A coloro che non sanno contenersi in questo vizio, o pure stanno in
gran pericolo di cadervi, Iddio ha dato il rimedio, cioè il prendere lo
stato del matrimonio, come dice san Paolo: Quod si non se continent,
nubant. Melius est enim nubere quam uri1. Ma madre, dirà taluno, è un gran
peso il matrimonio. Chi te lo nega? Ma non hai inteso, come dice
l'apostolo? è meglio maritarsi e sopportar questo gran peso che andar a
bruciar nell'inferno. Del resto non pensare che per quelle persone che non
vogliono o non possono maritarsi, non ci sia altro rimedio per osservar la
castità che il matrimonio; colla grazia di Dio, e col raccomandarsi a Dio
ben si possono superare tutte le tentazioni dell'inferno. E con quali
rimedi? eccoli.





13. Il primo rimedio è umiliarsi sempre avanti a Dio. Il Signore castiga la
superbia di alcuni con permettere che cadano in qualche peccato contro la
castità. Bisogna dunque esser umile ed affatto diffidare delle proprie
forze. Davide confessava che per non essere stato umile, ed aver troppo
forse confidato in sé stesso era caduto in peccato. Priusquam humiliarer,
ego deliqui2. Bisogna dunque sempre tremare di noi stessi e confidare in
Dio che ci liberi da questo peccato.





14. Il secondo rimedio è di subito ricorrere a Dio per aiuto, senza
mettersi a discorrere colla tentazione. Quando si affaccia alla mente
qualche specie impura, subito allora bisogna procurar di rivolgere il
pensiero a Dio, o a qualche altro affare indifferente. Ma il meglio è
subito allora nominare Gesù e Maria, e seguire a nominarli, sin tanto che
la tentazione non si parte, o almeno che non si raffredda. E quando la
tentazione è forte giova allora rinnovare il proposito: Dio mio, voglio prima
morire che offenderti. E subito poi cercate aiuto: Gesù mio aiutami, Maria
aiutami. I nomi di Gesù e di Maria hanno una forza speciale di scacciare
le tentazioni del demonio.





15. Il terzo rimedio è di frequentare i sacramenti della confessione e
della comunione. E nella confessione giova molto scovrire le tentazioni
disoneste al confessore. Dice s. Filippo Neri: La tentazione scoverta è
mezza vinta. E quando per disgrazia alcuno cadesse in qualche peccato di
questa materia, subito vada a confessarsi. Così s. Filippo Neri liberò un
giovine da questo vizio, ordinandogli che cadendo, subito fosse andato a
confessarsene. La comunione poi molto vale a dar forza di resistere a tali
tentazioni. Il Ss. Sacramento si chiama Vinum germinans virgines3. Vinum,
s'intende il vino convertito poi colla consagrazione in sangue di Gesù
Cristo. Il vino terreno è contrario alla castità, ma il vino celeste la
conserva.





16. Il quarto rimedio è la divozione alla madre di Dio Maria che si chiama
Vergine delle Vergini, sancta Virgo virginum. Quanti giovani colla
divozione della Madonna si sono mantenuti casti e puri come angeli! Narra
il padre Segneri, che andò a confessarsi un giorno ad un padre gesuita un
certo giovane talmente infangato nel vizio disonesto, che il confessore non
poté assolverlo, onde lo licenziò, e gli disse che ogni mattina avesse
dette tre Ave Maria alla purità della b. Vergine acciocché l'avesse
liberato da questo peccato. Ritornò quel giovine, ma passati più anni, e
dopo la confessione appena di qualche peccato veniale, disse al confessore:
Padre, non mi conoscete? io sono quello che anni sono non mi poteste
assolvere per lo peccato d'impurità; ma con dire ogni mattina quelle tre
Ave Maria, per grazia di Dio me ne sono liberato. E diè licenza al
confessore che questo fatto l'avesse predicato così in generale. L'intese
un certo soldato che tenea una mala pratica con una donna; cominciò a dire
le tre Ave Maria, e se ne liberò. Un giorno il demonio lo tentò di
ritornare a casa di quella donna, ma con buon fine di convertirla. Ma che
avvenne? quando fu per entrare in quella casa, sentì darsi una forte
spinta, che lo trasportò molto lontano. Allora egli conobbe maggiormente la
protezione di Maria Vergine, perché se fosse entrato in quella casa
coll'occasione vicina, facilmente sarebbe tornato a cadere. Ognuno pratichi
questa breve divozione di dire ogni mattina tre Ave Maria alla Madonna, con
aggiungere dopo ogni Ave Maria: per la tua pura ed immacolata concezione, o
Maria, fa puro e santo il corpo e l'anima mia.





17. Il quinto rimedio, ed il più necessario in questa materia, è fuggire
l'occasione. Generalmente parlando, fra tutti i mezzi per mantenersi sempre
casto, il primo è fuggir le male occasioni. I mezzi sono frequentare i
sacramenti: ricorrere a Dio nelle tentazioni: esser divoto della Madonna:
Ma di tutti i mezzi il primo è fuggir l'occasione. Dice la scrittura: Et
erit fortitudo vestra quasi favilla stuppae... et non erit qui extinguat4.
La fortezza nostra è come la fortezza della stoppa posta sovra del fuoco,
che subito arde e si perde. Se uno buttasse la stoppa sovra del fuoco, e
quella non bruciasse, non sarebbe un miracolo? e così miracolo sarebbe
mettersi nell'occasione, e non peccare. Scrisse s. Bernardino da Siena:
Maius miraculum est in occasione non peccare, quam mortuum resuscitare. S.
Filippo Neri dicea che in questa guerra del senso vincono i poltroni, cioè
quelli che fuggono l'occasione. Tu dici: Spero che Dio mi aiuti! Ma Dio
dice: Qui amat periculum, in illo peribit5. Dio non soccorre chi
volontariamente senza necessità si mette nell'occasione. E bisogna
intendere che chi si mette nell'occasione prossima di peccare, già sta in
peccato, benché non avesse intenzione di commettere il peccato principale.





18. Coll'occasione vicina son caduti anche i santi. E si son perduti anche
i moribondi, che stavano prossimi a spirare. Narra il p. Segneri nel suo
Cristiano istruito6, che una donna avendo avuta mala pratica con un
giovine, stando per morire, fe' chiamarsi un confessore, e con lagrime si
confessò di tutta la sua mala vita. Poi si fece chiamare l'amico con buon fine,
acciocché quegli a suo esempio si desse a Dio. Ma che avvenne? udite quanto
opera la mala occasione! Venuto il giovine, ella cominciò a guardarlo, e
poi spinta dalla passione gli disse: Caro mio, io sempre ti ho amato, ed
ora ti amo più che mai. Già vedo, che per causa tua me ne vado all'inferno,
ma per l'amore tuo non mi curo che mi danno. E così dicendo spirò.





19. Bisogna dunque fuggir l'occasione se vogliamo salvarci; e per primo
bisogna guardarci dal mirare quelle persone che ci possono tentare a far
mali pensieri. Scrive s. Bernardo: Per oculos intrat in mentem sagitta
impuri amoris. Per gli occhi entrano quelle saette nell'anima, che poi
l'uccidono. E lo Spirito santo dice: Averte faciem tuam a muliere comta7.
Come? è peccato guardare le donne? sì signore, quando son donne giovani, il
guardarle almeno è peccato veniale; e quando si replicando gli sguardi, vi
è pericolo anche del peccato mortale. Dice s. Francesco di Sales, che fa
danno il guardare, ma più danno poi fa il riguardare. Un certo filosofo
antico per liberarsi dalle suggestioni impudiche si accecò volontariamente.
A noi cristiani non è lecito accecarci fisicamente, ma dobbiamo accecarci
moralmente con voltare gli occhi da oggetti che possono tentarci. S. Luigi
Gonzaga non guardava mai donne; anche parlando con sua madre, tenea gli
occhi bassi per guardar la terra. Lo stesso pericolo poi vi è nelle donne
nel guardare i giovani.





20. Bisogna per secondo fuggire i mali compagni, e tutte quelle conversazioni,
dove, come suol dirsi, si parla allegro fra uomini e donne: Cum sancto
sanctus eris, cum perverso perverteris8. Te la fai co' buoni, sarai buono:
te la fai co' disonesti, sarai disonesto tu ancora. Dice s. Tommaso
d'Aquino, che l'uomo sarà tale, quali sono i compagni con cui se la fa:
Talis erit, qualis est conversatio, qua utitur. E quando mai ti trovi in
qualche conversazione, dalla quale non puoi appartarti, dice lo Spirito
santo, Sepi aures tuas spinis9. Metti una siepe di spine alle tue orecchie,
acciocché non vi entrino quelle parole oscene che gli altri dicono. S.
Bernardino da Siena, quando era giovinetto, e sentiva una parola di queste,
si copriva di rossore; onde i compagni poi si guardavano di dire alcuna
parola sconcia, quando s. Bernardino era presente. S. Stanislao Kostka
quando sentiva una parola disonesta, era tanto l'orrore che n'avea, che
sveniva, e perdeva i sensi. Zitella, quando senti alcuno che parla così,
volta le spalle e fuggì. Così facea s. Edmondo, come si legge nella sua
vita, ed un giorno avendo lasciati i suoi compagni che parlavano sboccato,
incontrò per la via un bellissimo giovinetto, che gli disse: Dio ti salvi,
diletto mio. Il santo dimandò chi fosse. Gli rispose: Guardami in fronte, e
vi leggerai il mio nome. Alzò gli occhi, e lesse: Gesù Nazareno re de'
giudei. Scomparì poi Gesù Cristo, ma lo lasciò pieno di gioia. Almeno
quando ti trovi in qualche conversazione di giovani che parlano così, e non
puoi andartene, almeno non ci dare udienza, volta la faccia, e dimostra,
che ti dispiacciono quelle parole.





21. Ma qui voglio riferire il castigo che ebbero due sboccati che parlavano
disonesto. Narra il Turlot, che un giorno s. Valerico, ritornando al suo
monastero in tempo d'inverno, ma non potendo giungervi prima della notte,
andò a ricoverarsi in casa d'un uomo. Entrato che fu, intese, che quegli
parlava oscenamente con un altro; il santo li riprese, ma quelli
seguitavano l'indegno discorso. S. Valerico, non ostante il gran freddo che
faceva in quella sera, se ne fuggì da quella casa. Partito che fu il santo,
il padrone in un tratto restò cieco, e 'l compagno fu assalito da una
schifosa infermità. Onde corsero dietro al santo, acciocché ritornasse; ma
il santo non volle più ritornarvi, e 'l padrone già rimase cieco, e l'altro
morì consumato da quel male. Oh che danno fa il parlar disonesto! Una
parola disonesta può esser causa di far perdere tutti coloro che la
sentono. Si scusano poi, che dicono queste parole per burla. Per burla? e
frattanto tu dicendole ci hai compiacenza? e lo scandalo che dai agli
altri? Queste burle, povero te, ti faranno piangere per tutta l'eternità
all'inferno.





22. Ma ritorniamo al punto di fuggire le occasioni. Bisogna di più
astenersi dal guardare pitture poco oneste.

S. Carlo Borromeo proibiva a tutti i padri di famiglia di tenere in casa
tali pitture. Bisogna di più guardarsi dal leggere libri cattivi: e non
solo quelli che parlano positivamente di cose oscene, ma anche quelli che
parlano di amori profani, come sono certi poeti, l'Ariosto, il Pastor fido,
e simili. E voi padri proibite a' vostri figli di leggere i romanzi; questi
talvolta fanno più danno che i libri osceni: infondono ne' poveri giovani
certe affezioni maligne, che tolgono loro la divozione, e poi gli spingono
a rilasciarsi ne' peccati. Vana lectio (dice s. Bonaventura) vanas generat
cogitationes, et extinguit devotionem. Fate leggere a' vostri figli libri
spirituali, le istorie ecclesiastiche, le vite de' santi. E qui, replico,
proibite alle vostre figlie che si facciano insegnare a leggere da uomini,
ancorché sia s. Paolo, e s. Francesco d'Assisi. I santi che si stiano in
paradiso.





23. Così ancora impedite a' vostri figli che recitino nelle commedie, ed
ancora che vadano a sentire le commedie immodeste. Scrive s. Cipriano: Quae
pudica ad spectaculum processerat, revertitur impudica. Anderà quella
zitella, o quel giovine in grazia di Dio, e se ne tornerà alla casa in
disgrazia di Dio. Così anche proibite a' vostri figli che vadano a certe
feste, che sono feste del demonio, ove vi sono balli, amoreggiamenti, canti
poco onesti, burle, e divertimenti di peccati. Dicea s. Efrem: Ubi
tripudia, ibi diaboli festum celebratur. Dicono: Ma si burla, che male ci
è? Che male ci è? Non sunt haec ludicra, sed crimina, dice s. Pier
Grisologo: queste non sono burle, sono offese gravi di Dio. Un certo
compagno del servo di Dio il p. Giambattista Vitellio volle contro la
volontà di esso padre andare ad una festa di tal fatta in Norcia; ivi prima
perdé la grazia di Dio, poi si abbandonò a fare una mala vita, e finalmente
morì ucciso per mano d'un suo fratello.





24. Finalmente parlando di questa materia mi dimanderà taluno, se è peccato
mortale il fare all'amore. Che voglio dire? ordinariamente parlando, dico,
che questi tali difficilmente stan fuori dell'occasione prossima di peccar
mortalmente. La sperienza fa vedere, che di essi rari son quelli che si
trovano esenti da colpe gravi. Se non le commettono a principio
dell'amicizia presa, in progresso di tempo facilmente vi cadranno, perché a
principio parlano insieme per genio, quindi il genio diventa passione, e
quando poi la passione ha pigliato piede, accieca la mente, e fa
precipitare in mille peccati di mali pensieri, di parole immodeste, ed in
fine anche di fatti. Il cardinal Pico della Mirandola vescovo di Albano
ordinò a' suoi confessori, che non assolvessero questi amoreggianti, se
dopo essere stati corretti non vogliono lasciare di conversar tra di loro,
specialmente se discorrono insieme da solo a solo, o per lungo tempo, o di
nascosto, o di notte. Ma, padre, io non ci ho mal fine, neppure ci ho mali
pensieri. Fuggite, giovani, zitelle, questi discorsi di amore con persone
di altro sesso. Così fa il demonio; a principio non ti mette mali pensieri,
ma quando poi l'affetto si è radicato, non ti fa vedere più quello che fai,
e ti troverai senza quasi saper come perduta l'anima, Dio, ed anche
l'onore. Oh quante povere giovani guadagna il demonio per questa via!







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1 1. Cor. 7. 9.
2 Psal. 108. 67.
3 Zach. 9. 17.
4 Is. 1. 31.
5 Eccli. 3. 27.
6 Par. 1. rag. 24.
7 Eccli. 9. 8.
8 Ps. 17. 27.
9 Eccli. 28. 28.