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  1. #1
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    Predefinito Un sito che si è fatto da solo

    Alle 15 e 50 lo avevano visitato più di 13.000 persone. Alle 16 e 08 erano già 14.700 e il server cominciava a perdere i colpi. Tanto per smentire il luogo comune che agli italiani le faccende giudiziarie non interessano: avere in una mattinata più accessi di un sito hard con Pamela Anderson è una faccenda di tutto rispetto. Comunque, andateci anche voi: il sito di Cesare Previti (www.previti.it) si chiama La verità (la pravda?) ed è costruito per spiegare al colto e all'inclita cosa significhi essere schiacciati dalla macchina della giustizia pur essendo innocenti. Bel sito. Comincia, come quasi tutte le pagine web personali, con una descrizione: «Sono Cesare Previti, non un bambino viziato». E giù complimenti a se medesimo per dire che le rughe sono mediterranee, roba da grinta, non da capricci. E poi viene dalla Calabria, che la gente la forgia, mica la vizia. E poi è uomo di sport e quella - scusate - mica è gente che paga l'arbitro: «Un uomo di sport e di legge a queste magagne nemmeno ci pensa». Bella prosa. Comunque, conclude l'ouverture, ora che c'è un sito che illustra la sua Odissea giudiziaria, chissà quanti italiani «avranno un processo di identificazione con questa o quella soperchieria da me subita». Non fate quella faccia: è un modo elegante per dire che tutti siamo un po' Previti. E infatti gli italiani accorrono, quei soperchiati: alle 16 e 09 gli accessi al sito sono già 15.452 e le pagine si aprono a fatica. Sezioni del sito: Il pozzo dei misteri, Fumus persecutionis, La genesi del teste Omega e via via tra documenti, ricostruzioni, fino a La non-cultura della prova e La cultura delle manette. Tutte cose molto interessanti e ricostruite (come il sito si dice da solo) «in maniera analitica, precisa e puntuale». Poi, fremente di pluralismo e oggettività, c'è la rassegna stampa, nel caso uno volesse farsi un'idea (naturalmente «analitica, precisa e puntuale») di quel che è stato scritto in questi anni sulla triste Odissea giudiziaria dell'avvocato. Contiene il testo di una conferenza di Previti, la famosa lettera di Berlusconi al Foglio e sette articoli: sei sono di Paolo Guzzanti (il Giornale) e uno di Ferdinando Adornato (il Giornale). Così l'utente ha le idee più chiare. Purtroppo la sezione «dite la vostra» (menu: «posta dei lettori») è ancora vuota. Quanto alla statistica (menu: «sondaggio») è muta pure quella: «Quest'area è in fase di ultimazione». Intanto si sono fatte le 16.23 e gli accessi al sito sono già 16.785, una roba che pure la Microsoft se la sogna. Occhieggia dalla barra degli strumenti anche il menu «novità», ancora tristemente vuoto. Però ci sono i links consigliati: quasi tutti i giornali di destra più Governo, Camera e Senato, Mediaset, Rai e Forza Italia. Anche qui, pluralismo a piene mani. Insomma non c'è niente. Se non, nei documenti, l'accorata arringa difensiva dell'imputato, che già abbiamo letto in lungo e in largo sui giornali della famiglia del suo coimputato, poi stralciato, Silvio Berlusconi. Alle 16.30 gli accessi al sito La verità sono già 17.504, segno che gli italiani sono ormai addicted, non riescono a stare senza, si passano la voce, si telefonano eccitati. Ultima esplorazione: il motore di ricerca nel menu «Documenti». Digito compìto come uno scolaretto: «Cirami». Risposta disarmante: «La ricerca non ha prodotto alcun risultato». Ci riprovo digitando: «Legge Cirami». Stessa risposta: «La ricerca non ha prodotto alcun risultato». Visto? La Cirami non era una legge ad personam. Forse è per questo che «personam» si è fatto il sito.

    Alessandro Robecchi

    _

  2. #2
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    Ho speso su questo sito 10 minuti da brividi. Avessi trovato una sola cosa che non hanno già pubblicato tutti i giornale da 5 anni a questa parte.

    Non fatevi ingannare dal contatore, un centinaio di visite sono le mie. E' da ieri pomeriggio che aspetto che aprano la posta dei lettori, ma ormai sto perdendo le speranze....
    Cum Feris Ferus

  3. #3
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    In origine postato da Dario
    E' da ieri pomeriggio che aspetto che aprano la posta dei lettori, ma ormai sto perdendo le speranze....
    Credo sia quello che aspettano tutti..

  4. #4
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    In origine postato da Paolo82
    Credo sia quello che aspettano tutti..
    Hackers permettendo...

  5. #5
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    In origine postato da antonio
    ha avuto un enorme successo ..e non ha retto...
    tanti neodevoti di questo martire francescano dalla parcelle miliardarie che apriva conti alle Bahamas intestadoli a persone inesistenti......
    poverello...
    Vedo che Lei si sofferma solo su quello che Le fa più comodo. Che il sito sia stato temporaneamente bloccato dall'esterno non Le interessa.

    Continui così...

  6. #6
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    IL MANIFESTO 2 marzo 2003

    CONTRORDINE
    NON CANTARE, SPARA
    di ALESSANDRO ROBECCHI

    Siete pregati di non parlare e dimostrarvi neutrali. Grazie. Più o meno questo si è sentito dire qualche cantante alla cerimonia di consegna dei Grammy Awards, massimo appuntamento del music-business americano, e quindi planetario. Scenario, il Madison Square Garden di New York, diretta della Cbs, i nomi più celebrati della scena pop mondiale e un invito esplicito: non parlare di guerra durante le performance o i discorsetti di ringraziamento alla consegna dei premi.

    Come dicevano quelle scritte grottesco-minacciose del ventennio, «qui non si parla di politica». Di guerra, poi, figurarsi.

    Ma qualcuno ha parlato lo stesso. Sheryl Crow, cantante, ha dichiarato di aver subito pressioni (si è limitata a scrivere «no war» sulla tracolla della chitarra) e alcuni tecnici hanno raccontato che la diretta aveva il filtro (una differita di pochi secondi, abbastanza per mettere mano alle forbici in caso di disubbidienza) e che comunque, in casi estremi, si era pronti a «togliere la spina». Ci scusiamo con i telespettatori: la libertà di parola riprenderà appena possibile.
    E oplà: anche il rock'n'roll, uno dei simboli della grande democrazia americana formato esportazione, gran colonizzatore d'inconscio, musica per le orecchie dell'impero, è sistemato. Venda i suoi dischi e la sua way of life in tutto il mondo, ci mancherebbe, ma alla festa finale e autocelebrativa si dia una regolata: qui non si parla di politica. Figurarsi di guerra. E' solo un piccolo aneddoto, un minuscolo passaggio nel grande film mondiale dei buoni contro i cattivi. Tanto piccolo che la notizia non si è vista troppo in giro, taciuta, passata sottotraccia come una cosa di poco conto. Un po' come quando, meno di un mese fa, durante un dibattito all'Onu sulla guerra, si coprì con un pudico telo la grande riproduzione di Guernica che sta nel palazzo di vetro. Anche lì, la notizia passò quasi

    come una curiosità, uno «strano ma vero» gettato nella mischia con soave leggerezza, una «spigolatura» da Settimana Enigmistica.

    Eppure non sono dettagli: quello della «più grande democrazia del mondo» è l'argomento principe, l'asso nella manica di chiunque voglia sostenere e giustificare le scelte di guerra del clan Bush. Però quando la più grande democrazia del mondo si mette a zittire i cantanti o a coprire i quadri di Picasso, si sorvola facilmente, si fa finta di niente. Senza contare che questa dei veli è una mania, una fissazione. Cominciò il ministro della Giustizia John Ashcroft a coprire le vergogne, e visto che parlava sempre sullo sfondo del palazzo di giustizia di Washington, abbellito da una statua della giustizia in topless, si adoperò per metterle un mantello. Risultato: la statua sta lì dal 1935, e siamo dovuti arrivare al 2003 per vederla finalmente vestita come si conviene, con una pudica stoffa che le copre il seno.

    L'impero è sempre l'impero, dio bòno, ma le tette (in bronzo) al vento non le sopporta. Per essere un impero solido e invincibile, sembra abbastanza nervoso. E intanto gli esperti del pentagono e della cia si mischiano agli sceneggiatori di Hollywood, perché la macchina dello spettacolo, primo motore dell'esportazione emozionale degli Stati Uniti giri nel senso che piace a loro. Consulenti alla sceneggiatura, lettori di copioni, consiglieri per le trame: pare proprio che alla cia abbiano cambiato mestiere, il che - visto come gli è andata negli ultimi tempi - non sarebbe forse nemmeno un male. Ma resta il fatto: il giro di vite è cominciato. La più grande democrazia del mondo va comprando in contanti consensi (in Africa, nell'est Europa) e corridoi strategici (in Turchia), il che fa pensare che troverà alleati finché potrà pagare i camerieri, mentre per saldare il conto finale il petrolio irakeno pare fatto apposta. Intanto, sul fronte interno, troncare e sopire. Non parlarne, tacere, mettere la sordina pure ai cantanti, emarginare le voci contrarie, coprire Guernica con un telo, indirizzare il cinema verso il sano patriottismo che tiene alto il morale e perpetua la saga dei «buoni invincibili».

    Ma è sempre più difficile convincere il mondo che si è invincibili perché buoni e non, come sembra, buoni perché invincibili, forti, capaci di colpire prima. La guerra preventiva, fuori. E la censura preventiva in casa: qui non si parla di politica. Su, da bravi, cantate le vostre canzoni, prendete il premio e finiamola lì.
    Saluti Liberali
    Giorgio

  7. #7
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    IL MANIFESTO 5 gennaio 2003


    CONTRORDINE
    L'immenso tsunami
    ALESSANDRO ROBECCHI


    Quella che viene da Stromboli è una metafora perfetta: prima c'è il crollo e poi arriva l'onda anomala. Esattamente quello che succede ogni giorno nella vita politica italiana: prima esce la notizia (quando esce) e poi siamo sommersi da uno tsunami di cazzate. Il caso recente dei calcoli sull'inflazione è da manuale: un istituto (privato) mostra le sue cifre e in men che non si dica il ministro Marzano scatena i suoi sottosegretari, esperti, giannizzeri e portavoce per inondare i mass media con toni scandalizzati e inviperiti. Tutto regolare. Testacoda compreso, perché fino a ieri il privato era sacro e tutto il pubblico era un «carrozzone». Ora, invece, il governo tifa Istat per il semplice motivo che lo fa sembrare un po' meno ladro, e di colpo l'istituto di ricerca pubblico è credibile, mentre quello privato (colpo di scena) «ha un vertice da prima repubblica». Funziona così, perché stupirsi? Se chi governa comanda anche la stragrande maggioranza dei media, la coerenza è un optional a cui si può rinunciare: si può dire tutto e domani il contrario di tutto, si può cambiare idea a seconda delle convenienze ogni venti minuti. Anzi: se non cambi idea dopo venticinque minuti sei «un conservatore», dopo mezz'ora un «nostalgico» e dopo un'ora un «comunista accecato dall'ideologia». Come insegna il saggio Dell'Utri bisogna essere concavi con i convessi e convessi con i concavi, operazione che riesce più facile, capirete, se i telegiornali del regno ti tengono il sacco e se hai uno Schifani da mandare in onda.

    Ma conviene prepararsi: lo tsunami delle cazzate si farà poderoso e irresistibile tra breve, quando si aprirà in tutto il Paese il grande gioco di società delle riforme istituzionali.

    Già ora, nel decidere le posizioni di partenza del grande gioco, la confusione è immensa. Partiti dal presidenzialismo, i fascisti virano al premierato, pronti a cambiare idea se mai dovesse convenirgli. Silvio si ritrova presidenzialista (con se stesso presidente), ma potrebbe convenire sulla praticabilità di un cancellierato (con se stesso cancelliere) o addirittura di un premierato (con se stesso premier). Quanto ai raffinati statisti della Lega, tenteranno di far combaciare la loro devolution con quello che passerà il convento, avvitandosi su se stessi ad ogni edizione di telegiornale. Poveretti, come s'offrono. Inutile dire che ogni giravolta verrà presentata dai famosi media controllati da Silvio come uno «straordinario segnale di disponibilità» e che nessuno farà notare le entusiasmanti giravolte della compagine governativa. Dal canto suo l'Ulivo promette di presentarsi compatto all'appuntamento, mentre già si delineano al suo interno una decina di posizioni diverse: chi vuole farlo alla francese e chi vuole farlo alla tedesca, con il giornaletto dalemiano che, per non sbagliare, dà del cretino a Folena, una specie di attacco preventivo cui ne seguiranno molti altri.

    Ora, è lecito chiedersi come questa eruzione di intelligenze verrà spiegata al popolo dai sublimi notisti politici delle tivù di proprietà di Silvio, dalle tivù pubbliche controllate da Silvio, dai settimanali di Silvio, dai quotidiani del fratello di Silvio, dai foglietti snobbettini della moglie di Silvio o da tutti gli altri giornali tenuti per le palle dalla raccolta pubblicitaria gestita dai complici di Silvio. Lo tsunami delle cazzate sarà davvero immenso. Se qualcuno dirà a gran voce che non si può andare a riscrivere le regole dello Stato insieme al detentore del conflitto d'interessi più grande del pianeta, verrà confinato come minimo nelle edizioni notturne, oppure silenziato senza pietà, oppure gli si darà qualche spazio quando i giornaletti dalemiani gli diranno che è un fesso.

    Del resto, Silvio dixit, il conflitto d'interessi importa soltanto al sette per cento degli italiani, e dunque non c'è fretta: la Cirami era più urgente e le riforme istituzionali, capirete, urgentissime. Dunque, si parte: il pasticciaccio brutto delle riforme fa un po' schifo, d'accordo, ma non c'è merda che non possa essere impacchettata come un cioccolatino, e alla fine c'è il rischio che al famoso «popolo» piaccia pure. Dopo tutto, se si riesce a convincere la gente che compra le zucchine che le zucchine non sono aumentate, si può fare di tutto. E infatti si fa: avanti con le riforme.
    Saluti Liberali
    Giorgio

  8. #8
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    IL MANIFESTO 2 febbraio 2003

    CONTRORDINE
    I «suoi pari»
    di ALESSANDRO ROBECCHI


    In una democrazia liberale, amici, ne succedono di tutti i colori. In una democrazia liberale potete sintonizzare la tivù su un canale del presidente del consiglio e sentire il presidente del consiglio dire che il presidente del consiglio non può essere processato. Questo avviene anche sulle tivù pubbliche, controllate dal presidente del consiglio. Sempre nella stessa democrazia liberale i concetti e le idee sembrano assumere speciali traiettorie a boomerang, elicoidali e sghembe. Per cui fino a tre giorni fa la sinistra era accusata di giacobinismo e di orribile giustizialismo. Ora invece - invocando le elezioni come fossero un'amnistia privata - il giacobinismo passa dall'altra parte, chez Silvio.

    La volontà popolare cancella tutto, specie la fedina penale e certi fastidiosi processi in corso. Quanto al giustizialismo, in questa destra non c'è che da scegliere, ma il più equilibrato pare il leghista Calderoli, che certi giudici li manderebbe «ai lavori forzati». In una democrazia liberale, del resto, pare che quanto a libertà di coscienza si è massi maluccio. Certi fascistoni incravattati che si scagliarono all'arma bianca contro l'iniqua immunità parlamentare, oggi la invocano e cercano di reintrodurla, sempre per slavare il presidente del consiglio senza il quale non esisterebbero. Aggrappati a Silvio e al suo potere mediatico che praticamente garantisce la vittoria alle elezioni (insieme alla folle inanità degli avversari), alleati devoluzionisti, centristi moderati e postfascisti diventano un sol uomo, compatti come granito a difendere «il primato della politica», cioè gli affarucci del capo: il privato della politica.In una democrazia liberale il capo del governo chiede di essere giudicato dai suoi pari. Ma qui sorge un interessante problema costituzionale. Chi sono i suoi pari? Altri capi di governo? Altri presidenti di squadre di calcio? Altri monopolisti televisivi? Altri costruttori edili? Altri editori? La faccenda dei «suoi pari» si complica se uno pretende di essere unico: chi è pari a Silvio? Nessuno. Bene, niente giudizio, allora. E' una specie di autoassoluzione per assenza di giudici all'altezza dell'imputato, un ego me absolvo dove l'ego, appunto, conta un bel po'. Del resto è sempre in una democrazia liberale che il ministro della Giustizia Castelli apre un'indagine su un giudice. E proprio su quel giudice che aveva indagato su Bossi e la Lega, e che già era stato avvertito: «a quello lì raddrizzeremo la schiena». Ogni promessa è debito, la raddrizzata arriva dal ministero sottoforma di ispezione. In una democrazia liberale c'è da chiedersi quanto manca all'olio di ricino. In una democrazia liberale, però, è ozioso chiedersi quando tornerà il manganello, perché lo si è visto in azione di recente, a Genova, a Napoli, proprio mentre le democrazie liberali del continente si accordavano per sospendere i trattati sulle frontiere. Va bene liberali, ma non esageriamo. In una democrazia liberale, ce n'è abbastanza per chiedersi se questa benedetta democrazia liberale non sia per caso un pacco, una sòla in piena regola, una specie di truffa in commercio, roba da chiamare il codacons (e pure i nas, se serve). E le faccende giudiziarie sono solo un aspetto della questione. In una democrazia liberale, per esempio, si possono concedere le basi agli amici americani senza che il parlamento ne sia informato. Si può entrare in guerra praticamente senza un voto delle camere, come più o meno si fece con governo precedente, che chiamò al voto sulla guerra con i bombardieri già in volo. Altri tempi, altri uomini al comando. In una democrazia liberale, beninteso.
    Saluti Liberali
    Giorgio

  9. #9
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    IL MANIFESTO 12 gennaio 2003

    CONTRORDINE
    DIO LO VUOLE
    di ALESSANDRO ROBECCHI


    E così, un allegro manipolo del Klu Klux Klan veronese è andato a randellare il professore islamico negli studi di una tivù. Lo ha fatto per difendere «l'occidente e la cristianità», rivendicando il gesto e menandone vanto. Al contrario di quel che accade nei film con Gene Hackman, l'Fbi non c'era, e pure la Digos è arrivata in ritardo. Il drappello di camicie brune ha vendicato a suo modo l'atterramento alla prima ripresa del professor Carlo Pelanda, steso qualche giorno fa durante un dibattito con lo stesso professore islamico, dopo che lui stesso aveva cominciato a menare le mani. Pure lui rivendicando il gesto e menandone vanto. E pure lui - e te pareva - a nome dell'occidente. E' quella che si chiama un'escalation: prima un cazzotto, poi una rissa, poi un'aggressione organizzata, una spedizione punitiva e le bastonate. Sempre naturalmente a nome e per conto e in difesa dell'occidente.

    Forse non è il caso di stupirsi, visto che in nome dell'occidente si stanno caricando tonnellate di bombe su navi e aeroplani che poi ci sorvolano armati fino ai denti. Suppongo che sia in nome dell'occidente che il ministro Martino ce lo dice due giorni dopo, quasi en passant. Lo dico da occidentale, sia chiaro: ma l'idea che l'occidente sia difeso dal professor Pelanda, dai nazisti veronesi e dai caccia americani con il permesso di sorvolo del ministro Martino dovrebbe essere notizia inquietante per tutti. E del resto con sempre maggior virulenza (e inarrivabili punte di assurdità) l'intellighenzia fascio-berlusconica insiste e batte su quel tasto.

    Le prediche lisergiche di Baget Bozzo sono un esempio lampante di questa sindrome da crociata, per cui bisogna con una mano difendere l'occidente, con l'altra mano la cristianità, sempre però anche attenti che i comunisti non ti prendano alle spalle e che i no global non ti facciano lo sgambetto.

    Sempre in strenua difesa dell'occidente, Ferrara (su un settimanale del presidente del Consiglio) giura tolleranza zero nei confronti di chi non vuole la santa guerra. Per lo stesso motivo Guarini (sul giornale del fratello del presidente del Consiglio) denuncia il neopacifismo come nemico dell'occidente, in un bizzarro ragionamento che parte da Stalin e finisce su Picasso.

    In questa situazione di cieca propaganda per i valori cristiani e occidentali, Umberto Bossi e i suoi mullah locali buttano la benzina di argomenti come la difesa della razza. E i nazisti di Forza Nuova il peso politico delle squadracce pronte a menare le mani. L'Occidente non pare messo in buone mani. Né qui, se lo difendono Gentilini e i nazi, né dall'altra parte dell'oceano, dove lo difende un gruppo di petrolieri texani e affaristi che ha vinto alla lotteria della Florida un mandato presidenziale

    Forse è troppo dietrologico pensare che i cazzotti menati dal professor Pelanda siano parte dell'ingranaggio propagandistico planetario che vuole acuire lo scontro. Certo che ci si inseriscono alla perfezione, come un costante, progressivo, inesorabile alzare i toni, estremizzare, mostrare i muscoli. E le squadracce fasciste servono invece a far capire che aria tira, che non si scherza.

    Il famoso occidente per cui si polemizza e ci si azzuffa rischia di essere una stanzetta del pentagono, o una faccenda di crocefissi nelle scuole, o di permessi di soggiorno: un concetto sacro a cui appigliarsi nei momenti del bisogno. Chi (nel suo grande) per bombardare l'Iraq; chi (nel suo piccolo) per criminalizzare l'immigrazione.

    E così la stragrande maggioranza degli occidentali deve sentirsi ogni giorno il sermoncino sull'occidente assediato, avvilito e offeso, da difendere con le unghie e coi denti anche se, guardandosi intorno, non ha esattamente questa sensazione. Eppure, sempre di propaganda si tratta: la scazzottata del professore è passata in tivù decine di volte, ghiotto boccone che coniuga le comiche con la santa difesa dei valori occidentali. Poi se arrivano i picchiatori, non c'è da stupirsi.
    Saluti Liberali
    Giorgio

  10. #10
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    Adoro gli agitprop di professione !

    Saluti Liberali
    Giorgio

 

 
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