...filtri.

A mia memoria, mai un presidente di turno dell’Unione europea era stato circondato di attenzioni paragonabili a quelle che si appuntano in questi giorni sulla presidenza italiana. Lo status di osservato speciale è tipico della politica, che si nutre di critiche e diffidenze come di attese e di speranze, e che si alimenta dei morsi della libera stampa anche quando essa cede, di tanto in tanto, al gusto capriccioso del processo alle intenzioni. Sarebbe strano se la presidenza italiana non fosse giudicata dai fatti, ma non è scandaloso che al suo debutto sia accolta da un fuoco di fila di opinioni, anche con qualche morbosità e perfino con qualche rara insolenza.

La democrazia liberale è un gioco difficile, un continuo equilibrio che si rompe e si ristabilisce con un metodo condiviso e nel rispetto dell’avversario, e chi scrive conosce bene le sue regole.
Il Times di Londra prevede una presidenza politica, non burocratica. E ha perfettamente ragione. In questa fase l’Unione non può permettersi il lusso di una presidenza semplicemente rappresentativa. Sia per il delicato momento istituzionale e costituzionale che sarà oggetto dei lavori della
Conferenza intergovernativa, e dell’intesa che condurrà alla firma del nuovo Patto di Roma, sia per lo stato della sua economia, che ha bisogno di un forte rilancio senza compromettere la disciplina dei conti pubblici, sia per la sua situazione politica nei rapporti interni e sulla scena globale.
La nostra agenda non è e non può essere ordinaria amministrazione.
Non è ordinaria amministrazione la lotta al terrorismo internazionale e lo sforzo congiunto euro-atlantico, in collaborazione con la Russia e in un clima di serena dialettica con le altre grandi potenze, per offrire una prospettiva di pace stabile al Medio Oriente allargato.
Non è ordinaria amministrazione firmare una nuova carta di orientamento costituzionale, impegnativa per un concerto di Stati-nazione che si accresce di dieci nuovi membri, facendo in modo che i governi si assumano le loro responsabilità senza disfare le maglie del buon lavoro svolto dalla Convenzione presieduta da Valéry Giscard d’Estaing e tenendo conto degli orientamenti dei Parlamenti nazionali e del Parlamento europeo.
Non è ordinaria amministrazione la discussione intorno ai diversi statuti e regimi pensionistici o fiscali, o le decisioni da prendere per il piano di investimenti in infrastrutture civili destinate a servire i cittadini europei per i prossimi decenni, in un quadro di rilancio di un’economia forte, robusta, ma che deve trovare il giusto stimolo alla crescita delle imprese in un clima d’intesa con il mondo del lavoro.
Parliamoci chiaro, senza autoindulgenze. Una certa idea dell’Europa è stata sottoposta negli ultimi tempi a severe tensioni, come tutti sanno, e alla nostra presidenza tocca il compito di riprendere il filo della continuità europeista senza ignorare gli elementi di cambiamento e di innovazione che sono l’unica cura possibile delle recenti ferite. La rispettabilità non è un nostro problema, perché ne abbondiamo e, detto con cortesia, nessuno è in grado di dare lezioni di moralità al governo eletto
degli italiani. La dignità e la piena rappresentatività del governo italiano nella sua funzione europea è fuori discussione per tutte le persone serie e imparziali nel loro giudizio, cioè per la maggioranza degli osservatori e degli attori della politica europea.

La vera sfida che cercheremo di affrontare con l’umiltà dei tessitori di buona politica e con l’orgoglio di essere tra i paesi fondatori del grande progetto sopranazionale è quella di trasformare le differenze in pulsioni positive, di reintrodurre quell’entusiasmo per il progetto europeo e
quell’ottimismo verso l’avvenire che sono stati tradizionalmente un ingrediente decisivo della politica estera italiana.
Il mondo è cambiato in misura inimmaginabile prima dell’11 settembre del 2001. Nel vertice di Salonicco, coronamento dell’impeccabile presidenza greca dell’Unione, abbiamo cominciato a prendere atto, anche con il documento proposto da Javier Solana e condiviso dai membri dell’Unione, delle nuove responsabilità geo- politiche che incombono, del nuovo sforzo di coordinamento e di mutuo sostegno che è necessario nei campi della difesa e della politica estera comune. Senza un clima di pace e di rispetto reciproco tra le civiltà; senza un laico riconoscimento
del posto che nel mondo hanno i credo religiosi, e per l’Europa le radici cristiane; senza una chiara ridefinizione dei grandi valori di libertà e di separazione tra Stato e Chiesa che hanno illuminato il cammino delle nostre comunità anche negli anni duri della lotta contro i totalitarismi; senza un salto di qualità nell’analisi del presente come storia; senza capire i problemi posti dalla globalizzazione economica e senza saper sanare le nuove diseguaglianze, curando in modo radicale le vecchie povertà e accogliendo con disciplina e ordine le nuove correnti migratorie: senza tutto questo la missione immaginata per l’Europa dai padri del Trattato di Roma, e consolidata nel tempo da classi dirigenti di ogni orientamento, resterebbe incompiuta, mutilata.

Ecco perché dovremo sforzarci di lavorare con grande spirito di mediazione, ma con l’obiettivo di varare tutte quelle decisioni, anche difficili, che ci possano mettere in grado di funzionare come Unione in un contesto spesso offuscato da elementi di divisione e di incomprensione che sono il lascito della lunga stagione della Guerra fredda e insieme l’emergenza improvvisa di problemi
nuovi e inaspettati.
L’Italia è in buona posizione per assolvere al suo ruolo nei sei mesi della sua presidenza. Il successo non è garantito, ma le condizioni di un lavoro serio e fattivo ci sono tutte. Governi, Parlamenti, Amministrazioni possono andare lontano, se ispirati da una volontà e da un’intelligenza comuni, ma è giusto sollecitare un impegno straordinario della società civile, che è il vero tessuto connettivo di ogni organismo politico. Sarà importante la collaborazione degli intellettuali, degli uomini delle professioni, dei sindacati, degli imprenditori e manager, degli uomini di chiesa, e di tutti coloro che hanno interesse a mantenere l’Europa nel suo rango, a impedire che si chiuda in una posizione puramente difensiva, a stimolarla a essere sempre meno un coacervo di timori e di ansie e sempre di più un insieme di speranze, perfino di utopie, illuminate dalla ragione, madrina della nostra storia.

Silvio Berlusconi
Scritto per il Foglio e altri giornali europei


saluti