Come testimoniano la guerra afghana e l'invasione dell'Iraq, la politica estera degli Stati uniti è mossa dalla logica di colpire un paese per dare un segnale a tutto il mondo: non si può disobbedire agli ordini di Washington. Un'anticipazione del nuovo libro di Noam Chomsky «Dopo l'11 settembre», pubblicato da Marco Tropea editore e che sarà in libreria a partire dal 1 luglio
NOAM CHOMSKY

La formula «Asse del male», coniata dagli autori dei discorsi di Bush, è efficace perché si deve parlare di «male» quando si vuole spaventare la gente, mentre «asse» riporta alla memoria i nazisti. Nella realtà non si tratta certamente di un asse. L'Iran e l'Iraq si sono combattuti per vent'anni. La Corea del Nord ha a che fare con entrambi meno di quanto non ne abbia la Francia. Perciò non si tratta di un asse. La Corea del Nord è stata sbattuta nell'elenco per la probabile ragione che è un obiettivo facile: se la si vuole bombardare, non importerà a nessuno. E poi non è musulmana e quindi, in qualche modo, allontana l'idea che si stiano perseguitando i musulmani. Che dire dell'Iran? Guardiamo la storia. Negli ultimi cinquant'anni l'Iran è stato qualche volta «cattivo» e qualche volta «buono». (...) Nel 1953 l'Iran era cattivo, l'incarnazione stessa del male: perché? Perché aveva eletto un governo conservatore e nazionalista, impegnato nel tentativo di assumere il controllo delle proprie risorse che, fino a quel momento, erano state controllate dalla Gran Bretagna. Fu necessario rovesciare quel governo con un colpo di stato militare compiuto da Stati Uniti e Gran Bretagna, che riportarono al potere lo scià.
Nei ventisei anni successivi l'Iran fu buono. Lo scià si macchiò delle peggiori violazioni sistematiche dei diritti umani: se si leggono i documenti di Amnesty International, lo si trova ai primissimi posti. Però serviva gli interessi statunitensi. Si impadronì di isole appartenenti all'Arabia Saudita, contribuendo al controllo della regione e sostenendo gli Stati Uniti in tutte le situazioni. Era buono. (...) Il presidente Carter aveva un'ammirazione speciale per lo scià: solo due mesi prima che quest'ultimo fosse rovesciato, disse di essere rimasto veramente impressionato dal «governo progressista» dello scià.
Nel 1979 l'Iran diventò di nuovo cattivo. Era fuoriuscito dal sistema imperialista e, da allora, è rimasto cattivo. Non ha più ubbidito agli ordini. In realtà si tratta di una situazione interessante: una lobby potentissima, la lobby petrolifera statunitense (le aziende energetiche), vuole riportare l'Iran all'interno del sistema mondiale, mentre il governo non intende consentirlo. Il governo vuole l'Iran come nemico.
Tra le altre cose, questa faccenda dell'Asse del male è riuscita a ostacolare gli elementi riformisti iraniani, che hanno con sé la maggioranza della popolazione, e a incoraggiare gli elementi clericali più reazionari. Ma tutto questo è considerato positivo e dovremmo chiederci il perché.
Io sospetto (si tratta di un'ipotesi, perché non abbiamo documenti che lo provino) che la ragione sia ancora una volta legata alla cosiddetta «affermazione della credibilità». Un boss mafioso potrebbe spiegarlo molto chiaramente: se qualcuno esce dal coro va punito perché gli altri devono capire che non è un comportamento tollerabile. Questa è stata la principale ragione ufficiale dei bombardamenti sulla Serbia e sul Kosovo: affermare la credibilità della Nato. Non dovete sgarrare: ubbidite agli ordini, altrimenti... Suppongo sia questa la motivazione principale della politica attuale. Non credo che gli Stati Uniti attaccheranno l'Iran, perché sarebbe troppo pericoloso e costoso; ma se gli elementi clericali più reazionari dovessero restare al potere, l'Iran non potrebbe reinserirsi nel sistema internazionale.
Ci sarà presumibilmente un attacco contro l'Iraq, che è un'operazione molto difficile da pianificare. Le ragioni dell'invasione dell'Iraq, siatene assolutamente certi, non avranno nulla a che fare con le affermazioni ufficiali: non c'è neppure da dubitarne. Le motivazioni ufficiali rappresenteranno un ennesimo servizio reso dalle classi colte, che si daranno da fare per mantenere la calma. Naturalmente tutti lo sanno.
Se ascoltate George Bush, Tony Blair, Bill Clinton e tutti gli altri, sentirete dire: «Dobbiamo attaccare Saddam Hussein, un mostro talmente malvagio che è giunto a usare le armi chimiche contro il suo stesso popolo. Come possiamo permettere la sopravvivenza di un simile individuo?».
E' vero. Saddam ha usato le armi chimiche contro il suo stesso popolo; ma manca un elemento: «con l'aiuto e il sostegno di Bush padre», che la riteneva un'ottima cosa. Bush continuò a fornire aiuto e sostegno al mostro, così come fece la Gran Bretagna. Molto tempo dopo le peggiori atrocità compiute da Saddam, compreso l'impiego dei gas contro i curdi, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna continuavano a fornire lietamente il loro sostegno, compresi gli aiuti che permisero di produrre armi di distruzione di massa, come i due paesi sapevano benissimo.
All'epoca Saddam era molto più pericoloso di quanto non sia adesso: l'Iraq era allora uno stato ben più potente, eppure non destava alcun allarme. Anzi, all'inizio del 1990 - un paio di mesi prima dell'invasione del Kuwait - il presidente Bush inviò in Iraq un'autorevole delegazione del Senato capeggiata da Bob Dole, in seguito candidato repubblicano alle elezioni presidenziali, perché portasse il suo saluto all'amico Saddam Hussein. I senatori dissero a Saddam quanto Bush avesse apprezzato il suo grande contributo, e gli consigliarono di non curarsi dei commenti critici apparsi di quando in quando sulla stampa americana.
Qui abbiamo questa mania della stampa libera, e ogni tanto qualcuno esce dal seminato; forse uno dei cinquemila corrispondenti aveva espresso qualche riserva sui metodi adottati da Saddam Hussein per compiere i suoi crimini, ma i senatori dissero a Sadam di non farci caso. Gli dissero anche che un commentatore di Voice of America, critico nei suoi confronti, sarebbe stato licenziato, per evitare al leader iracheno la spiacevole esperienza di ascoltare osservazioni sulle brutte cose che stava facendo. Questo solo un paio di mesi prima che Saddam diventasse «la bestia di Baghdad», l'uomo che voleva conquistare il mondo e altre amenità del genere. Sappiamo che non sono i suoi crimini la ragione della prossima invasione, come non lo è lo sviluppo delle armi di distruzione di massa.
Se i motivi non sono questi, allora quali sono? Sono assolutamente ovvi: l'Iraq possiede le riserve di petrolio più grandi del mondo dopo l'Arabia Saudita. E' sempre stato evidente che, in un modo o nell'altro, gli Stati Uniti avrebbero fatto qualcosa per riprendere il controllo di quelle immense risorse, molto superiori alle riserve che si trovano sotto il vicino Mar Caspio. Di sicuro gli Stati Uniti negheranno quelle risorse ai propri avversari. Oggi sono la Francia e la Russia ad avere una posizione di vantaggio, perciò il nostro paese sta cercando di impadronirsene.
Il problema è come. L'operazione è molto difficile, ci sono tanti problemi tecnici da risolvere, di cui si sta discutendo. Si tratta comunque di problemi secondari. La questione centrale è che va imposto un nuovo regime, e questo nuovo regime deve essere totalmente antidemocratico.
C'è un motivo ben preciso: se nel nuovo regime fosse presente qualche elemento di democrazia, la popolazione avrebbe voce in capitolo. Questo è il significato di democrazia. La popolazione potrebbe avere magari una piccolissima influenza, ma il problema è che la maggioranza della popolazione è sciita, quindi spingerà per stringere relazioni con l'Iran, e questa è l'ultima cosa che il governo statunitense si augura. Potremmo approfondire le ragioni di tale rifiuto, ma è ovvio che gli Stati Uniti non vogliono un esito del genere. I curdi dell'Iraq settentrionale, poi, che rappresentano un'altra grande parte della popolazione, cercano una qualche forma di autonomia, cosa che farebbe infuriare la Turchia, così come gli Stati Uniti.
Serve pertanto un cambiamento di regime che porti al potere un personaggio identico a Saddam Hussein, un regime militare a base sunnita che sia in grado di tenere sotto controllo la popolazione. Si tratta per di più di un programma esplicito. (...) Nel marzo 1991, subito dopo la guerra del Golfo, gli Stati Uniti detenevano il controllo completo dell'area. Ci fu una ribellione sciita nel Sud, una grande ribellione cui aderirono alcuni generali iracheni. I ribelli non chiesero aiuto agli Stati uniti, ma solo di essere autorizzati a utilizzare le armi irachene catturate. Ma George Bush primo era di un'altra idea: autorizzò il suo amico Saddam Hussein a far ricorso all'aviazione per schiacciare la resistenza sciita.
In seguito il generale Norman Schwarzkopf disse che, quando autorizzò Saddam a usare l'aviazione, era stato ingannato dagli iracheni: non si era reso conto che avrebbero davvero utilizzato gli aerei militari, se li avesse autorizzati a farlo. E questo dimostra quanto sia infido Saddam Hussein, sempre pronto a ingannare. Così Saddam utilizzò l'aviazione militare per distruggere gli sciiti e i curdi del Nord.
Proprio in quel periodo Thomas Friedman, allora corrispondente diplomatico del New York Times - che significa portavoce del dipartimento di Stato presso il New York Times, cioè colui che esprime la linea del dipartimento di Stato - fu molto franco al riguardo: per gli Stati Uniti la soluzione migliore in assoluto sarebbe stata una «giunta militare dal pugno di ferro», capace di governare l'Iraq esattamente come Saddam Hussein ma con un altro nome, perché a quel punto Saddam Hussein era diventato piuttosto impresentabile. Se fosse stato impossibile adottare una soluzione del genere, se ne sarebbe dovuta cercare una di ripiego; ma la soluzione ideale sarebbe stata indubbiamente quella. Ed è un programma del genere che stiamo attualmente cercando di mettere in pratica. Ecco perché la Cia e il dipartimento di Stato stanno organizzando riunioni con i generali iracheni che hanno disertato negli anni Novanta. Non sarà una soluzione semplice, ma forse è proprio quella che si prepara per il futuro.