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    Predefinito Lobby israeliana negli USA

    Articolo di Urs Gehriger, apparso nel Tages-Anzeiger, il principale quotidiano di Zurigo, il 22 aprile 2002

    AIPAC - la longa manus di Israele tesa verso Washington (AIPAC sta per American Israel Public Affairs Committee = Comitato americano-israeliano per gli affari pubblici )

    L'AIPAC - la lobby ebrea-americana - esercita un'influenza imparagonabile sulla politica estera degli USA, battendosi per ottenere l'appoggio incondizionato degli USA ad Israele.
    Da anni la lobby americana pro-Israele ostacola il processo di pace nel Medio Oriente, scavalcando tranquillamente la maggioranze dei cittadini statunitensi di fede ebraica.
    In questi giorni, la popolazione USA riceverà a casa uno spot pubblicitario di tipo funeste: all'ora di punta, una voce con tono minaccioso mette in guardia dal "terrorista" Yassir Arafat. Israel vuole la pace, spiega la voce sonora con sottofondo di suoni drammatici, ma Arafat continua a non volere Israele. "Arafata chiama Gihad, Gihad, Gihad", continua la voce, per poi vilipendere un intero popolo: "Adesso i palestinesi mettono in mostra perfino il loro appoggio a Saddam Hussein, un dittatore che odia gli USA ed Israele".
    Dietro alla spot pubblicitario anti-Arafat c'è la AIPAC, la più potente lobby che si affira sulla scena della politica estera negli USA. Lo "American Israel Public Affaire Committee" è un'organizzazione ebraica privata che sino dalla sua fondazione, 50 anni fa, sta perseguendo il suo obiettivo fondamentale: impegnare il governo USA ad un sostegno incondizionato per Israele. La lobby pro-Israele sa fare il suo lavoro così bene che da tempo l'AIPAC viene considerato fattore determinante per la politica statunitense verso il Medio Oriente.
    Quando l'AIPAC mette in moto la sua macchina impressionante (60 000 iscritti ed un budget annuale di 19,5 milioni di dollari), il successo è quasi sempre garantito. E' merito dell'AIPAC, ad esempio, che Israele riceve, da oltre 20 anni, tre miliardi di dollari annui dalle casse di Washington - più che ogni altro paese del mondo. Anche nell'ONU e negli altri fori internazionali, l'AIPAC si dà da fare con efficienza. Se gli USA regolarmente boicottano qualsiasi delibera del Consiglio di Sicurezza dell'ONU volta ad arginare la politica israeliana di espandere le colonie ed aumentare la pressione a danno dei palestinesi, ciò è innanzitutto frutto delle iniziative dell'AIPAC.


    Uomo solitario a Washington
    L'impegno ed il potere finanziario della lobby pro-Israele suscitano ammirazione e soggezione a Washington, ma della volte anche paura. E' leggendario il discorso di Bush padre che in settembre 1991 si dichiarò alla stampa, con voce agitata, un "piccolo uomo solitario", cui autorità sarebbe sotto tiro da parte di "forze politiche potenti". "Le forze", alle quale si era riferito Bush, erano costituite da 1 300 professori, giuristi, assistenti sociali, uomini d'affari e rabbini ebrei, confluiti a Washington da ogni parte degli USA per manifestare contro la politica del Presidente. Il motivo per la protesta era l'intenzione dell'allora Presidente Bush, di bloccare un credito di 10 miliardi di dollari destinati all'insediamento di ebrei sovietici in Israele; Bush padre intendeva congelare questo credito a causa della politica dell'espansione delle colonie perpetrata da Israele che, a suo avviso, ostacolava il processo di pace. E' vero che alla fine Bush padre si fece valere procurando alla lobby una delle sue sconfitte più brucianti. Ma la vittoria del Presidente ben presto si rivelerà una vittoria da Pirro. Molti americani ebrei interpretarono le parole di Bush quali esternazioni anti-semite. Alcuni si spinsero perfino ad intravedere "il più grande tradimento nella storia degli ebrei in America". La fattura gli fu presentata l'anno dopo: alle elezioni presidenziali del 1992, Bush otterrà dagli ebrei solo il 12% dei voti, anziché il 35%, come nell'anno 1988.
    Questo esempio dimostra che nessun Presidente degli USA può permettersi di andare in rotta di collisione con la lobby ebrea. Rispetto alla loro percentuale di soli 3% della popolazione USA, i 6,1 milioni di ebrei americani hanno un'importanza politica sproporzionata. Non costituiscono soltanto un elettorato impegnato e propenso a spendere, ma vivono per lo più ripartiti su alcuni pochi, grandi Stati Federali i quali controllano più della metà di tutti i voti federali. Così, alle elezioni federali, gli elettori ebrei spesso diventano il fattore decisivo per il risultato delle elezioni stesse, rendendo i loro voti un bene prezioso, molto ambito e corteggiato da tutti i concorrenti.


    Le teorie della cospirazione
    Il successo della lobby pro-Israele negli USA ha indotti molti, soprattutto nei paesi arabi, a concepire teorie di cospirazione e dietrologie fanatiche. Dal Cairo a Baghdad, circolano volantini anti-semite che denunciano la politica USA verso il Medio Oriente quale prodotta sotto dettatura di agitatori ebrei. Con toni più pacati, questa interpretazione ha trovato terreno fertile anche negli uffici governativi di paesi europei, innanzitutto dinanzi alla posizione pro- sraele mantenuta dagli USA sino dallo scoppio dell'Intifada. Intanto, anche i critici più prudenti della lobby ebrea americana, di solito dimenticano Due cose: prima, il lavoro delle lobby negli USA non ha nulla di scandaloso, ma, a differenza di ciò che succede nella maggior parte dei paesi, fa parte della vita politica normale. Inoltre, c'è da considerare che la lobby pro-Israele negli USA sarebbe impotente, se Washingto non avesse un interesse molto manifesto a mantenere in vita quel piccolo stato degli ebrei. Sia i democratici che i repubblicani vedono in Israele un'isola meritevole di protezione, un'isola della libertà e della democrazia circondato dal mare delle dittature arabe. A Washingto Israele è considerato il più affidabile alleato politico e la più importante testa di ponte nel Medio Oriente. Questo atteggiamento si era venuto a creare durante la Guerra Fredda, quando l'universo arabo si orientava sempre di più verso l'Unione Sovietica ed dopo gli attacchi del 11 settembre ha acquistato sempre più importanza. Ma l'amicizia americana-israeliana non dà carta bianca alla lobby pro-Israele. Il maggiore concorrente dell'AIPAC sulla scena americana, è il secondo gigante tra i gruppi d'interesse statunitensi, la lobby del petrolio, i cui interessi sono collocati, innanzitutto nei paesi arabi. Nella dura lotta per aumentare la propria presa, la lobby ebrea spesso calpesta anche le posizioni del governo di Israele. Ufficialmente, l'AIPAC dichiara di non volersi intromettere nella politica del governo di Israele, ma in realtà è proprio ciò che avviene.

    I falchi determinano le scelte
    Dalla fine degli anni 60, la lobby pro-Israele negli USA è nelle mani di esponenti della corrente ortodossa e di sionisti radicali. Questa elite ultraconservatrice si è ripetutamente ribellata con grinta contro la politica ufficiale di Israele e degli USA. L'esempio più importante sono le trattative di pace con i palestinesi. Sino dall'inizio, l'AIPAC era contrario agli accordi di Oslo siglati nell'anno 1993 tra Yitzak Rabi e Yassir Arafat. Quando la costruzione dell'Autorità Palestinese era ormai in corso, la lobby pro-Israele negli USA propose un argomento molto discutibile per bloccare le trattative.
    Con una campagna propagandistica di grande respiro l'AIPAC chiese pubblicamente il trasferimento dell'Ambasciate statunitense in Israele da Tel Aviv a Gerusalemme, nonostante Gerusalemme, a causa dell'occupazione illegale di Gerusalemme est dal 1967, non fosse riconosciuta, sul piano internazionale, quale capitale di Israele. Il Trattato di Oslo aveva previsto di rimandare la definizione dello status finale di Gerusalemme all'anno 1996. Ma l'AIPAC non voleva aspettare ed incominciò a farsi sentire al Congresso. Con successo. Nel giro di poco tempo 93 su 100 Senatori firmarono una petizione a favore del trasferimento dell'Ambasciata a Gerusalemme. La faccenda suscitò indignazione nel mondo arabo, oltre ad intralciare il processo di Oslo e danneggiare l'immagine degli USA quale mediatore di pace. L'ostinata resistenza della lobby pro-Israele al processo di pace desta sconcerto se si considera che essa non rispecchia per nulla lo stato d'animo degli ebrei in America. Perfino dopo l'11 settembre, secondo un sondaggio condotto dal settimanale Jewish Week di New York, l'85% degli ebrei statunitensi erano del parere che gli USA dovrebbero esercitare più pressioni sia su Israele che sui palestinesi per riportarli al tavolo delle trattative. Questo stato d'animo viene semplicemente calpestato dall'AIPAC. "Non conta ciò che 6 milioni di ebrei americani pensino, ma conta ciò che le maggiori organizzazioni ebree ritengono giusto", spiega il giornalista Jonathan J. Goldberg riferendosi allo scostamento tra l'opinione effettiva ed l'articolazione dell'opinione nella società ebrea-americana nel suo libro "Jewish Power" del 1996.

    Bush figlio sarà il miglior amico di Israele

    Dopo le elezioni di Gorge W. Bush e di Ariel Sharon, l'AIPAC è tornato in prima linea per combattere. Sopratutto dal 11 settembre, sta mettendo Washington sotto pressione affinché Arafat venga scardinato come interlocutore politico. Gli sforzi dell'AIPAC, fino adesso, hanno avuto un successo solo parziale, visto che non è riuscito ad impedire l'invio di Anthony Zinni in Medio Oriente, quale intermediario. Anche i suoi tentativi di fare dichiarare Arafat ufficialmente un "terrorista" non hanno sortito il risultato auspicato, cioè, l'interruzione dei rapporti con l'esponente palestinese. Ciònonostante, lasciando ad Israele mano libera nella sua "guerra contro il terrorismo palestinese", George W. Bush sta accontentando la lobby pro-Israele negli USA in una delle sue richieste più importanti. "Bush è il miglior amico che Israele abbia mai avuto nella Casa Bianca", giudica Mortimer Zuckermann, un esponente di spicco della lobby pro-Israele negli USA.
    Uno dei motivi per il buon rapporto del governo Bush figlio con le organizzazioni degli ebrei negli USA sta nella composizione della nuova classe governativa portata a Washington da Bush: una quota significativa di questo nuovo "organico" è composto da politici di spicco ebrei, ad esempio il vice-Ministro alla Difesa, Paul Wolfowitz e dal consigliere del Pentagono, Richrad Perle.
    Per una politica radicale in direzione pro-Israele si battono, inoltre, i cristiani protestanti legati al partito Repubblicano, i quali giustificano
    l'espansione delle colonie ebraiche nei Territori Occupati con la Bibbia. Ad esempio, il Senatore James Imhofe di Oklahoma aveva dichiaratao recentement, che Israele sarebbe obbligata a mantenere la presa sui Territori Occupati perchè "gli ebrei vivono lì perchè Dio l'ha voluto, leggetelo nella Bibbia."

    AIPAC – una macchina perfetta per girare donazioni
    Con professionalità e casse sempre piene la lobby pro-Israele negli USA è riuscita a schierare il 80% dei Parlamentari (Membri del Congresso) attorno agli interessi di Israele
    Alla base del successo dell’AIPAC (American Israel Public Affaire Committee = Comitato americano-israeliano per gli affari pubblici) c’è la fanteria, ossia la massa delle reclute. La lobby fa leva su 60 000 iscritti negli USA che possono essere messi in moto in qualsiasi momento, quando si tratta di convincere un Membro del Congresso della validità degli interessi di Israele. Il segreto del successo dell’AIPAC sono i soldi. “La lobby pro-Israele è una macchina dispensatrice di soldi”, scrive Michael Lind in una sua analisi per la rivista inglese “Prospect”, spiegando che la macchina dispensatrice investe con grande professionalità soldi per finanziare su tutto il territorio campagne “volte ad influenzare i Membri del Congresso perfino nelle circoscrizioni elettorali con scarsa o nessuna popolazione ebrea.”
    Un esempio perfetto del lavoro della macchina messa in moto da questo gruppo di pressione, l’AIPAC, è l’attuale Presidente di Senato, Tom Daschle. Quando Daschle, un membro del partito Democratico, si candidò per la prima volta per un seggio nel Senato, nel 1986, il suo atteggiamento verso Israele era di indifferenza. AIPAC decise di “dargli una cultura”, per usare le parole della lobby. La lobby si assunse il finanziamento della campagna elettorale di Daschle per un quarto delle spese che complessivamente erano di due milioni di dollari. Nelle sue campagne elettorali successive, Daschle ottenne una somma analoga dall’AIPAC, a titolo di contributo. I notevoli investimenti sostenuti rendono bene. Daschle ha fatto carriera – da semplice candidato ad un seggio nel Congresso è diventato Presidente del Congresso – trasformandosi in un affidabile e strenuo avvocato dello stato di Israele.
    Allo stesso modo, negli ultimi decenni centinaia di parlamentari appartenenti ad ambo i grandi partiti politici, sono stati trasformati a suon’ di contributi finanziari, in sostenitori degli interessi di Israele. Per avere un’idea della distribuzione dei contributi elettorali, vedi il sito della Federal Election Commission www.fec.doc.
    Il lavoro dell’esercito di reclute dell’AIPAC viene coordinato nella Capitale, dalla Centrale AIPAC, dove lavorono 130 specialisti altamente motivati. Qualora nel Congresso venisse messo sull’ordine del giorno un argomento che fosse di rilevanza per Israele, l’AIPAC fa partire immediatamente a tutti i membri del Congresso una sua circolare di routine, il cosiddetto Talking Point Report, per illustrare brevemente gli interessi specifici di Israele per questo particolare ordine del giorno. Per controllare il comportamento dei parlamentari, l’AIPAC gestisce un registro dettagliato dei voti dati da ogni singolo membro di Congresso alle varie delibere. Nell’imminenza di una votazione particolare, i parlamentari poco decisi vengono sottoposti ad un “trattamento speciale”, di soliti ad un colloquio diretto per illustrare loro quali siano gli interessi di Israele. L’efficienza di questo gruppo di pressione pro-Israele è stata commentata da William Quando, un Membro del Consiglio Nazionale di Sicurezza sotto i Presidenti Nixon e Carter: “Il 70% - 80% dei membri di Congresso si comportano, nelle delibere su argomenti ritenuti rilevanti da Israele, secondo le disposizioni date loro dall’AIPAC.”
    Il lavoro dell’AIPAC viene appoggiato da un'altra grande lobby pro-Israele, la cosiddetta Conferenza dei Presidenti, cioè, la Conference of Presidents of major American Jewish Organizations = Conferenza dei Presidenti delle Maggiori Organizzazioni Ebree., una lega di 51 organizzazioni ebree. I due gruppi di pressione – AIPAC e Conferenza dei Presidenti – si dividono il lavoro: mentre l’AIPAC è focalizzato sul lavoro di lobbying nel Congresso statunitense, la Conferenza dei Presidenti si è assunta il compito di “lavorare” il governo.
    Le iniziative della Conferenza dei Presidenti sono dettate dal suo capo, Malcolm Hoenlein. Hoenlein, rampollo di una famiglia ebrea-ortodossa di Philadelphia, è stato definito dal giornale Forward quale l’americano ebreo più influente della nazione. Un diplomatico statunitense di alto rango lo descrisse perfino quale la persona privata con la maggiore influenza sulla politica estera degli USA. Grazie alle sue maniere spigliate e le sue conoscenze approfondite del Medio Oriente, gli si sono aperte le porte di tutti gli uffici governativi negli USA. Ogni giorno Hoenlein parla con il Ministero degli Esteri, con un consigliere del Presidente od un Ambasciatore, per mantenere la politica estera degli USA sulla linea tracciata da Israele.
    Come l’AIPAC, anche la Conferenza dei Presidente svolge una politica decisamente conservatrice. Ufficialmente Hoenlein si dichiara un moderato, dedicato ad Israele prescindendo dalla composizione del relativo governo. Ma la sua grande simpatia per Ariel Sharon e per il partito del Likud non sono un segreto a Washington. Hoenlein non ha mai nascosto la sua opposizione a qualsiasi concessione israeliana verso i palestinesi. Per molti anni Hoenlein aveva rastrellato finanziamenti per Bet El, una delle colonie più problematiche nei Territori Occupati. Hoenlein giustifica il suo impegno per i coloni così “Gli ebrei hanno il diritto di vivere in Giudea e Samaria, la patria ancestrale degli ebrei, giusto come hanno il diritto di vivere a Parigi o a Washington”.
    "Sarà qualcun'altro a ballare, ma sono io che ho scritto la musica. Io avrò influenzato la storia del XXI secolo più di qualunque altro europeo".

    Der Wehrwolf

  2. #2
    Totila
    Ospite

    Predefinito

    Originally posted by Gringo
    Sarebbe interessante in merito analizzare anche i movimenti di popolazione ebraica negli ultimi 12 anni: quasi 2 milioni di ebrei sono emigrati da ex Urss, Europa, Sudamerica e Sudafrica verso Usa ed Israele, dove oggi vivono rispettivamente due comunità di 6 e 5 milioni di ebrei, contro i soli 2 milioni del resto del mondo. Con il grande aiuto della Lobby ebraica questi migranti sono andati a riempire il calo demografico degli ebrei statunitensi e israeliani. E sembra che la politica continui in questo senso, quasi che ci sia un disegno preciso che spinga tutti gli ebrei della terra a concentrarsi verso questi due poli. Approfittando delle crisi politiche nella Russia postsovietica, nel Sudafrica post apartheid, nell'Argentina del crack economico (in tutti questi stati vivevano imponenti comunità ebraiche) e infine delle nuove ondate antisemite nell'Europa "islamizzata" (vedi Francia, dove anche qui vive un'importante comunità ebrea), la popolazione ebraica si sta concentrando in questi soli 2 stati. Da qui si possono capire molte cose....
    Che gli USA siano la Terra Promessa?

 

 

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