....di Berlusconi?
Contrordine maquisards! L’autorevole Le Monde, la più prestigiosa tra le testate progressiste che hanno guidato la campagna di resistenza contro la guerra per abbattere Saddam, si allinea, giustifica a posteriori l’intervento, ricuce. Mentre la stampa progressista mondiale parla solo dello “scandalo” della patacca del Niger sull’uranio, il quotidiano parigino tratta quel tema con toni bassi e pubblica a pagina 3, in tutta evidenza, una valutazione autorevole che annulla ogni polemica postuma sull’esistenza o meno delle armi di distruzione di massa, che legittima l’intervento.
Con finesse tutta mitterrandiana, la svolta è affidata a un’intervista a Sergio Vieira de Mello, rappresentante speciale dell’Onu per l’Iraq.
Accanto a un titolo a tutta pagina in cui si dà la notizia “L’Irak est désormais gouverné par un Conseil de gouvernement”, che lascia intendere che cessa ogni strale parigino contro le “forze d’invasione anglo-americane” e che inizia un’altra storia, appare l’intervista all’unico dirigente Onu titolato formalmente a esprimere valutazioni sull’Iraq.
De Mello non usa mezze parole: “Gli ambasciatori Paul Bremer e John Sawers (il rappresentante britannico per l’Iraq) nelle ultime settimane ci hanno progressivamente coinvolti nella ricerca di una formula che sia accettabile per i responsabili iracheni.
E hanno accettato praticamente la totalità delle nostre raccomandazioni quanto alle procedure di formazione del nuovo Consiglio Consiglio iracheno.
E’ dunque la prova che Usa e Gran Bretagna non si rapportano all’Onu unicamente come a un partner umanitario”.
De Mello non si limita a questo ma si incarica anche di smentire chi accusa gli Usa di intronare a Baghdad dei “burattini” e stigmatizza: “Non penso assolutamente che un uomo come Abdel Aziz Al Hakim, fratello dell’ayatollah Mohammed Bagher Al Hakim, leader del Consiglio supremo della Rivoluzione islamica (Sciri), partito sostenuto dall’Iran, possa essere considerato una marionetta americana… In questa fase di transizione nessuna istituzione può godere di piena legittimità formale; ma in queste circostanze credo che questo Consiglio sia largamente rappresentativo e includa tutte le formazioni politiche e spirituali che hanno resistito al regime di Saddam”.
Lo stesso Al Hakim, dopo mesi di dure polemiche, riconosce all’uomo di Bush a Baghdad la più piena correttezza nel formare il primo governo iracheno libero e dice, sempre a Le Monde: “I nostri poteri sono limitati, ma pienamente conformi alla risoluzione 1483 dell’Onu”. L’intera operazione è dunque formalmente rientrata nei parametri politici di un’Onu che riconosce, grata, che Stati Uniti e Gran Bretagna, potenze occupanti, “hanno accettato praticamente la totalità delle sue indicazioni”.
Un omaggio (a denti stretti) anche da Ivanov
Il fatto è che Bremer e Sawers hanno compiuto quello che le tante cassandre progressiste del mondo ritenevano impossibile: sono riusciti a convincere forze irachene assolutamente
eterogenee a stringere un patto di collaborazione che le impegna nel governo dell’immediato (e che non a caso parte con la fondazione di un tribunale per i crimini del regime) e che soprattutto gestirà uno sbocco costituzionale.
Nel Consiglio, che vede la presenza di tre donne, siedono tutte le nazionalità (arabi, curdi, turcomanni e assiri), tutte le fedi (sunniti, sciiti e cristiani) e tutte le forze politiche irachene,
comprese quelle impregnate di viscerale antiamericanismo come lo Sciri (eterodiretto dall’ayatollah Khamenei, guida della Rivoluzione a Teheran) e il Da’wa, che raduna diverse fazioni filoiraniane o collegate con i Fratelli musulmani.
Sarà questo Consiglio la vera cabina di regia che traccerà il percorso di definizione di una Carta che, annuncia Bremer “sarà una Costituzione irachena elaborata dagli iracheni e per gli iracheni”, che verrà infine sottoposta a referendum”. Proprio la definizione della sede politica responsabile della definizione della Costituzione, è stato uno dei temi più spinosi durante le trattative con gli sciiti filoiraniani che temono le ingerenze laiciste e non nascondono di voler giocare la carta della Repubblica islamica quale modello ispiratore del nuovo assetto istituzionale.
Bremer ha comunque scelto la strada della duttilità e questa è stata subito pagante.
Il tutto avviene nel tempo record di poco più di due mesi dalla fine della guerra, tanto che il ministro degli Esteri russo, Igor Ivanov, tra i più acerrimi avversari della strategia mesopotamica di Bush è costretto a rendergli omaggio, definendo il nuovo Consiglio iracheno “una cosa salutare”.
Carlo Panella
Su il Foglio di oggi
saluti