Lunedi 30 Giugno 2003 - 11:01 Paolo Emiliani

I colpi di calore della politica italiana.
Il caldo terribile di questi giorni ha influito in modo significativo sulla vita politica italiana.
I colpi di calore che hanno sicuramente afflitto i politicanti nostrani sono certamente responsabili del clima di esasperato buonismo che sembra aver contagiato Casa delle Libertà e opposizione.
Rese dei conti che si trasformano in ostentati pubblici abbracci, minacce di scissioni che si riducono ad accorati appelli all’unità: insomma, da una parte e dall’altra, si respira un clima da libro Cuore.
Certo, esiste anche un’altra ipotesi, legata non al gran caldo, ma ai deludenti risultati elettorali di tutti. Sì, di tutti, perché anche la sinistra, che ha festeggiato le amministrative come una grande vittoria, è afflitta da problemi di fondo che potrebbero presto rivelarsi devastanti.
Ma andiamo con ordine.
Il Polo è uscito a pezzi dalle elezioni amministrative, non tanto perché ha perso una piazza importante come la provincia di Roma, ma perché ovunque ha arrancato, al massimo mantenendo i consensi delle vecchie amministrative, ma con una perdita secca sulle ultime politiche.
Un passo indietro, inoltre, che non ha coinvolto tutti i partiti della coalizione nello stesso modo e questo, come solitamente avviene, rende necessarie profonde verifiche di maggioranza.
Se, infatti, Forza Italia ha salvato il salvabile, così non è stato altrettanto per Alleanza Nazionale, che certamente ha pagato l’eccessiva deriva liberista e l’appiattimento sulle posizioni del Cavaliere.
La voce grossa che si è levata immediatamente dai colonnelli di Fini faceva pensare ad un rinnovato spirito battagliero dalle parti di via della Scrofa, ma così non è stato.
L’ex delfino di Almirante ormai studia da premier e, pur di arrivare a questo obiettivo, sarebbe disposto a trascinare il partito anche al 2%. Il fatto è che se An precipita, le ambizioni di Finì potrebbero essere ridimensionate, magari a vantaggio di qualche rampante post diccì che vede invece in crescita la nuova “balenottera bianca”.
Berlusconi ha così giocato fino, alimentando le ambizioni del presidente di An e magari concedendo, ma in un secondo tempo, anche qualcosa ai suoi colonnelli.
D’altra parte, ormai, le correnti in An hanno un peso stile Dc ed ogni caporione ha soprattutto a cuore il destino della sua parte, certamente in modo prevalente rispetto al destino del partito tutto.
Questa è certamente un’analisi cruda e poco generosa, che non lascia spazio per residui ideali all’interno dei post missini, ma pensiamo pure che sia l’unica ragionevole.
Ben altra, altrimenti, sarebbe dovuta essere la reazione all’interno del partito. Non qualche levata di scudi e poi tanti, troppi sorrisi.
Non si può poi ancora parlare di “tradizione sociale” quando ci si siede in un gabinetto turboliberista che ha continuato l’opera di sventramento dello Stato sociale in Italia.
An ha perso perché gli italiani non capiscono più la differenza con Forza Italia e perché il partito di maggioranza relativa è ormai quello dei non votanti, certamente affollato da gente che non ha dimenticato il significato di certe parole e degli ideali sui quali si fondarono esperienze esaltanti.
In questo clima buonista ci ha deluso anche il repentino dietrofront della Lega.
Bossi non può mandare all’attacco Cè e poi abbracciare a Montecitorio Pisanu. Insomma la Lega aveva imboccato la strada giusta, quella dell’intransigenza, almeno per quanto riguarda la vicenda immigrazione selvaggia, ma poi ha fatto finire tutto il mare in un secchio.
La legge Bossi-Fini non è una legge eccezionale, ma è almeno qualcosa, un primo passo per provare a frenare l’invasione. La sistematica mancata applicazione non può certo ridursi ad un fatto casuale: dietro c’è una volontà politica e Pisanu è lo strumento di questa volontà, certamente ispirata da Oltretevere.
Le reazioni scomposte di Avvenire e dell’Osservatore Romano la dicono lunga sul fatto che questa volta era stato toccato un nervo scoperto della lobby clericale dell’accoglienza, un’ industria florida che fonda la sua ricchezza sul nuovo mercato degli schiavi. Un mercato nel quale la chiesa cattolica ha sempre detenuto la fetta più ricca della torta.
Bossi aveva quanto meno il dovere di difendere con maggior volontà una legge che porta il suo nome. Quello che Fini non ha, invece, nemmeno provato a fare.
La Lega è oggi l’unica formazione politica che può contare su una base popolare realmente partecipe ed il suo radicamento, ancorché limitato solamente al nord Italia, gli concede uno spazio di manovra che altri non hanno.
Questa è una ricchezza che non va sperperata, ma certamente i leghisti devono capire, ora e per sempre, che devono trovare una collocazione politica autonoma rispetto ai due schieramenti, altrimenti saranno destinati al declino. Probabilmente meno repentino di altri, proprio grazie alle organizzazioni di base, ma ineluttabile.
Bossi sa bene che non potrà mai più fare ribaltoni, anche perché il suo elettorato non li gradirebbe, ma deve mettere in bilancio di rimanere fuori dal governo, da qualunque governo.
Se poi il suo partito non fosse capace di sopportare una momentanea assenza di poltrone, questo vorrebbe dire che dietro il fumo ci sarebbe veramente poco arrosto. Ed allora tanto meglio una prematura rapida fine che una lenta agonia politica.
Anche nelle fila dell’Ulivo, specialmente dalle parti di via Nazionale, il buonismo sembra trionfare.
Il riavvicinamento tra Correntone e segreteria Fassino sembra ormai cosa fatta. Lo strumento di questo miracolo, almeno quello ufficiale, sarebbe la gestione unitaria del partito.
Certo, “unità” è una parola magica tra i post comunisti. Quel che dovrebbe essere una condizione è stata trasformata in un “valore”.
Insomma una specie di “unità senza se e senza ma”, ma anche senza contenuti.
L’unità dovrebbe essere come la pace.
La pace o è giusta o semplicemente non è, meglio una guerra di liberazione. Concezione questa, peraltro non estranea un tempo ai comunisti.
L’unità dovrebbe parimenti essere una condizione spontanea, mentre l’unità rabberciata dei post comunisti sembra solo una necessità tattica ( e non strategica) per affrontare gli appuntamenti elettorali.
Fa inorridire poi l’utilizzo della parola unità fatto da Salvi per spiegare l’atteggiamento della Quercia nel referendum per l’estensione dell’articolo 18.
E proprio questo è il sassolino nella scarpa della sinistra.
La vittoria (usiamo con molta generosità questa parola) della sinistra alle amministrative è stata subito ridimensionata dal risultato referendario.
Anche in quel caso Fassino e compagni (si fa per dire) hanno cantato vittoria, ma hanno anche dovuto rendersi conto che un italiano su 4, ovvero il 25%, ovvero una dimensione superiore a quella diessina, ha votato “Sì” al referendum più boicottato della storia italiana.
E quelli non sono sicuramente tutti voti di Rifondazione, che appena una settimana prima non aveva certo fatto scintille.
La Quercia è stata quindi costretta a ritrovare un’unità, almeno di facciata, per affrontare il suo vero nemico, che non è solo Berlusconi come da tempo starnazza, ma, soprattutto, il popolo italiano.
In questo senso c’è una sotterranea alleanza tra Polo e Ulivo perché gli italiani non comprendano mai la verità. Su nulla. Dalla politica interna alle vicende economiche, per non parlare poi della vergognosa politica estera, ormai completamente asservita agli atlantici.
Allora una politica tutta fondata sugli attacchi giudiziari a Berlusconi fa comodo alla sinistra, che non deve confessare le sue abiure ideali, ed anche a Berlusconi stesso, che può farsi difendere dagli avvocati (e dai curatori di immagine) invece che affrontare gli italiani sul terreno politico.
Il grande caldo, almeno speriamo, presto cesserà, ma non passerà la stagione buonista della politica italiana.
Nel nulla politico assoluto di questi tempi, agli italiani non resta che sperare in qualche venticello ristoratore. Certo una bella bufera che spazza via tutto, governo e opposizione, gli italiani l’hanno avuta a disposizione con il referendum, ma l’hanno chiusa in una bottiglia e gettata via.
Ci sarà una prossima occasione. L’autunno sarà caldo, perché gli imprenditori, sempre più aggressivi, minacciano tagli all’occupazione, Fiat in testa.
Sarà quella una nuova prova per il popolo italiano.
Con la consapevolezza che ogni fallimento potrebbe precludere nuovi tentativi.
Il regime, purtroppo, sta stringendo le sue spire. E i risultati si vedono. A Montecitorio da tempo.







Rinascita