...il contadino.
Roma. Erano il contadino e la contessa, ma erano soprattutto due eroi del nostro tempo. Avrebbero cambiato il mondo, e quel mondo allora tifava per loro. Lei era elegante, bionda e coraggiosa, e piaceva alle donne perché anche per le donne combatteva, lui era ruvido, rustico e intransigente, e gli uomini lo adoravano. Lui faceva a pezzi quell’ambiente vizioso a cui lei per molto tempo era appartenuta, ma che ora la coscienza le aveva ordinato di denunciare. Erano lui forte e lei fragile, quindi erano invincibili.
Poi gli anni passano inesorabili, e oggi il contadino e la contessa se ne stanno invecchiati e insieme, a Bologna, davanti a un banchetto assolato, a raccattar qualche firma per un referendum contro il lodo Meccanico che quasi nessuno ha intenzione di sottoscrivere.
Oggi il Monde scrive che Di Pietro risponde con paziente gentilezza alle domande di un visitatore di passaggio “perché a Roma ben pochi gli prestano ancora attenzione”, oggi i più insinuano addirittura che Stefania Ariosto non sia per niente contessa, ma solo la figlia arrivista e intrufolante di un impiegato e di una casalinga (lei ribatte alle volgarità con identica volgarità, tirando in ballo ex ballerine da cabaret). Oggi lui viene più o meno scaricato dall’Ulivo, che non è d’accordo sul referendum, e resta solo a tuonare di Italia dei Valori, di nicchie di privilegio, di impunità per i potenti, e di inadeguatezza di Rutelli (che non si cura di rispondergli), salvo poi avere bisogno dell’Ulivo per far fruttare quel suo imbarazzante 1,9 per cento. Oggi lei vien più o meno scaricata dalla procura, che ha ritenuto modeste, quando non contraddittorie, le sue testimonianze, e intanto si mantiene con le denunce per diffamazione. (“Cinquecentomila euro”, ha confidato fiera all’Espresso, “per la campagna lanciata contro di me. Ma sono solo le provvisionali. Poi passerò alle cause civili per i danni morali e materiali”).
E pensare che le chiamavano “la rossa e la bionda”: lei e Ilda Boccassini, che solidarizzavano e si scambiavano gli auguri per la festa della Donna in procura (l’8 marzo 1996), e decidevano che da quel momento gliel’avrebbero fatta vedere loro, a quei maschiacci corrotti.
Erano il leone e la gazzella, come il titolo del libro su cui lei stampò pagine indimenticabili, di verità raccontate e di liberi pensieri (“Se le donne Fininvest rivendicano i diritti fondamentali sanciti dalla nostra Costituzione sono private di tutto, di oro, amore, dignità. (…) Tutti noi vogliamo conquistare Fidel (Castro, ndr)! La sua voce suadente, calda, è intrisa di malcelato calcolo.
Riceverò in dono da Fidel un clarino. Un vero trionfo per me! (Giov. 8/8/96)”. Era lei la gazzella braccata dalle belve, da cui fino a quel momento si era lasciata, solo per troppa ingenuità, vezzeggiare in ville, barche e feste di Natale ad Arcore (“Le signore dovevano presentarsi senza gioielli perché sapevano che ne avrebbero trovato uno in regalo”. Ma lei era già una ribelle in pectore e quindi: “qualche gioiello lo mettevo lo stesso”).
Era lui il leone che i cattivi li divorava, e a cui le riviste dedicavano copertine di ringraziamento e adesivi di inneggiamento, con la toga e lo sguardo che sfascia.
Lui aveva l’Italia in mano, lei con il cuore in mano parlava all’Italia.
Ora lei scrive sul sito dei girotondi, anzi su centomovimenti news, e parla di “menzogne aride, ripetitive, intriganti, nefandezze per creare suggestione mediatica nella vana ricerca del consenso demagogico”.
Ora lui si presta, insieme a lei a catene umane a Rimini, sul bagnasciuga, con Dario Fo, Franca Rame e Pancho Pardi, le cui immagini verranno trasmesse oggi da qualche tivù locale.
Il contadino e la contessa cercano in tutti i modi di non farsi seppellire dal limbo delle cronache. Basterà un referendum senza firme a ridar loro l’onore delle copertine?
saluti
da il Foglio