Il piu' importante quotidiano Britannico, il Times ha scritto un'articolo molto interessante sull'Italia difendendo apertamente il nostro Primo Ministro.
IL ''TIMES'' - DOVREMMO CANTARE FORZA ITALIA E FORZA BRITANNIA (3/7/2003)
Silvio Berlusconi non è soltanto il primo ministro dell’Italia e, da questa settimana, l’uomo al timone dell’Unione Europea.
Sarà idoneo quest’uomo a guidare l’Europa nel periodo estremamente cruciale che ci attende? Sarà in grado di dar vita a una nuova Costituzione che dovrà coinvolgere i cittadini dell’Europa? Di accogliere dieci nuovi Paesi membri che, dall’oscura vallata delle dittature e del culto della personalità, dovranno entrare negli altipiani luminosi di una comunità democratica contrassegnata dalle regole della legge? La risposta di Tony Blair e del governo britannico a tutte queste domande dovrebbe essere un enfatico e inequivocabile «sì».
L’idea di accogliere calorosamente la presidenza italiana del l’Unione Europea e il ruolo politico di Berlusconi è contraria alla propensione dell’establishment politico britannico e del Foreign Office, per non parlare dei sostenitori della lotta di classe che si stanno riaffermando all’interno del Partito laburista.
Fare domande ai politici, ai diplomatici e agli opinionisti di Bruxelles, Parigi e Berlino, sulla «idoneità» di Berlusconi equivale già ad una risposta scontata. Il vivace miscuglio di inquietudine, di insinuazioni e di sufficienza che si avverte negli ambienti diplomatici questa settimana è stato mirabilmente di stillato in poche frasi corrosive nel Financial Times di martedì: «Nel momento in cui l’Italia assume oggi la presidenza del l’Unione Europea, campanelli d’allarme risuonano sul continente. La preoccupazione è dovuta al fatto che Silvio Berlusconi sta assumendo la presidenza dell’Ue. Osservatori esperti dubitano della sua obbiettività. Essi mettono in discussione la coerenza del suo governo. Sono preoccupati per il fatto che il miliardario mediatico venga distolto da priorità personali nel momento in cui dovrebbe concentrarsi sugli affari internazionali. Temono il peggio».
Perché, allora, l’Inghilterra dovrebbe dare il benvenuto alla presidenza italiana e incoraggiare Berlusconi a mantenere un controllo personale sulla politica europea, che egli ha combattuto nell’ambito dell’establishment diplomatico italiano, quando si autonominò ministro degli Esteri circa due anni fa?
Perché Berlusconi, malgrado tutti i suoi personali difetti, rappresenta esattamente quella visione politica che per decenni la Gran Bretagna ha cercato di promuovere in Europa. I governi di Blair e Berlusconi hanno molto in comune nel loro approccio ai problemi cruciali che l’Europa deve affrontare oggi. Questi problemi spaziano dalla libertà di scambio e dalla globalizzazione alla regolamentazione del lavoro, alle tasse, alla politica sociale, alle pensioni e anche alla necessità di una riforma radicale per i più importanti progetti economici in Europa: la politica agricola comune (dal momento che nessuno dei due Paesi è un grande produttore di eccedenze agricole); l’adozione dell’euro (dal momento che, con l’eccezione della Germania, l’Italia ha sofferto più di ogni altro Stato europeo per la perdita di controllo sulle questioni monetarie e fiscali).
Ma le ragioni per cui l’Italia e l’Inghilterra dovrebbero considerarsi degli alleati naturali in Europa sono molto più profonde delle filosofie economiche dei loro governi. Entrambi i Paesi hanno ora una visione comune sulla maggior parte dei problemi europei, più di quanto non ne abbiano con la Germania e con la Francia. Anche se questa convergenza appare oggi su temi di politica estera ed economica, in effetti deriva da una ragione più profonda: né la Gran Bretagna né l’Italia potranno mai sentirsi dei partner uguali a pieno titolo in un’Unione Europea dominata dal rapporto tra Francia e Germania.
Ma se l’inghilterra e l'Italia saranno capaci di collaborare fra loro e attirare altri alleati, in modo particolare in Scandinavia, nella penisola iberica e nell’Europa centrale, esse potranno guidare l’Europa nella direzione da loro scelta come hanno già fatto (bene o male che sia) per l’Irak.
Prima di spiegare le conseguenze di questa affermazione controversa, mi sia consentito di sottolineare che non si tratta di un’opinione dettata dalla disperazione.
La ragione per cui Inghilterra e Italia non potranno mai sen tirsi uguali nell’attuale Europa franco-tedesca non è perché Germania e Francia sono più potenti, più brillanti o più ricche dell’Italia o dell’Inghilterra. Non lo sono. La Germania è un po' più densamente popolata, ma su quasi tutte le altre statistiche, i quattro più grandi Paesi d’Europa sono sostanzialmente a un punto morto. In termini di standard del tenore di vita, di produzione economica e perfino di potenziale potenza militare, i «quattro grandi» d’Europa sono più vicini l’uno all’altro di quanto ciascuno di loro non sia vicino alle vere superpotenze globali come l’America, il Giappone e la Cina da una parte, o ai Paesi di media potenza come il Canada e la Spagna.
Perché allora sono così convinto che sarà impossibile che l’Inghilterra o l’Italia trasformino l’alleanza franco-tedesca in una quadruplice o triplice alleanza?
Nel caso dell’Inghilterra, la risposta è molto semplice: l’Inghilterra non vuole in realtà questo tipo di intimità né con la Francia, né con la Germania, né con qualsiasi altro Paese.
Sebbene gli inglesi siano contenti di collaborare con i loro vicini europei su progetti reciprocamente vantaggiosi, è meno probabile che siano disposti a sottoscrivere un effettivo «matrimonio», una relazione così profonda, così intensa e così duratura, dove i maggiori interessi nazionali verrebbero volentieri calpestati per salvaguardare e rafforzare il legame. È quanto ha fatto la Germania - per esempio - quando aderì all’euro e quanto ha fatto la Francia quando il presidente Mitterrand decise con riluttanza di sostenere la riunificazione della Germania. Questo genere di sacrificio nazionale è proprio quello che Blair ha esplicitamente promesso che non farebbe mai, né per la decisione sul l’euro, né per un patteggiamento sulla nuova Costituzione europea.
Che voi crediate o no al fatto che Blair «combatterà fedelmente per gli interessi dell’Inghilterra», come sempre promette di fare, è irrilevante a questo scopo. Io ritengo semplicemente che anche i più idealisti politici «eurofili» in Inghilterra comprendano perfettamente che gli elettori respingono la retorica del sacrificio nazionale a vantaggio di un più grande obbiettivo europeo.
Il quesito più affascinante oggi in Europa è basato sul dubbio se l’Italia possa muoversi verso una posizione analoga di semi-distacco dall’asse franco-tedesco. Questa possibilità è la vera ragione dello sgomento suscitato a Bruxelles dalla presidenza di Berlusconi. Fino alla comparsa di Berlusconi, nessun politico italiano aveva osato ancora mettere in discussione che l’Italia, in quanto «membro fondatore» dell’Unione Europea, avesse una posizione uguale a Germania e Francia, e che quindi sarebbe sempre andata nella direzione stabilita dal motore franco-tedesco.
Questa era un’invenzione. L’Italia è sempre risultata avere capacità al disotto del suo peso economico e demografico, che è quasi identico a quello della Francia. Questo era in parte dovuto al fatto che i suoi intrighi politici erano considerati con sufficienza dagli altri membri fondatori dell’Unione Europea, ma anche al fatto che l’Italia era (ed è ancora) una specie di appendice artificiale degli altri membri fondatori dell’Unione, tutti in posizione ben compattata sia geograficamente che storicamente intorno all’asse franco-tedesco.
La questione ora è di vedere se Berlusconi, nel decidere di perseguire una politica italiana più indipendente all’interno dell’Ue, voglia semplicemente esibirsi per vanità personale (cosa che succede a tutti, a Bruxelles) oppure se egli voglia attingere ad una vera rinascita del sentimento nazionale e a un desiderio di maggiore autonomia da Bruxelles e dall’asse franco-tedesco.
Non pretendo di essere un esperto di cultura italiana, ma qualche parallelo con l’Inghilterra mi dice che il fenomeno Berlusconi riflette qualcosa del carattere nazionale.
L’Italia, come l’Inghilterra e contrariamente a Germania e Francia, è sempre stata una nazione commerciale proiettata all’esterno, situata geograficamente alla periferia dell’Europa, un crogiuolo culturale ed etnico. Come gli inglesi gli italiani sono gente individualista, sospettosa del governo, resistente alle regole, e maggiormente a proprio agio di fronte ai cambiamenti imprevisti e caotici che non i razionalisti francesi o gli ordinati tedeschi.
Per tali ragioni storiche e culturali, vi è una naturale comunione di interessi fra la visione liberale, decentralizzata, dell’Inghilterra verso l’Europa e gli istinti a ruota libera dell’Italia di Berlusconi. Naturalmente, Berlusconi potrebbe rivelarsi un’aberrazione e l’Italia potrebbe infine adattare la sua cultura nazionale al modello razionalistico-burocratico franco- tedesco.
Ho il sospetto però che Berlusconi possa essere più vicino alla vera cultura italiana di quanto nonio siano tutti i suoi critici, anche nel suo stesso Paese. Come inglese e come europeo, certo lo spero. Un’Europa liberale, decentralizzata, proiettata all’esterno, ispirata dall’apertura culturale e dall’individualismo di Inghilterra, Italia e degli altri Paesi periferici, potrebbe essere veramente un luogo interessante in cui vivere nei prossimi decenni.