I liguri sono molto permalosi e non sopportano che i foresti facciano battute sul loro conto.
Ma quando si trovano tra gente fidata sono i primi a scherzare sui propri difetti, tanto è vero che le migliori barzellette sulla tirchieria si raccontano proprio in Liguria.
Per esempio quella delle due tombe affiancate al cimitero di Staglieno: sulla prima lapide c'è scritto "Qui giace Giobatta Parodi, che perì in una mischia nel tentativo di raccogliere una moneta da 50 lire". E sulla seconda: "Qui riposa Pinin Pittaluga, stroncato dal dolore per non avere partecipato alla mischia".

La Liguria? Non esiste


La grande maggioranza dei turisti che arriva in Liguria lo fa scendendo da Nord, dopo avere affrontato chilometri di nebbia in inverno o di code in estate. Nonostante lo , il visitatore ha il cuore sereno, allegro, pronto a godersi mare, sole e uno splendido paesaggio. Poche emozioni valgono quella di lasciarsi alle spalle l'ultima galleria dell'autostrada e trovarsi davanti, improvvisamente, il mare di Liguria inondato di luce. Verrebbe quasi automatico pensare che in questa regione meravigliosa abiti un popolo vivace, solare, portato a godersi la vita giorno per giorno.
Niente di più sbagliato: al turista basteranno pochi giorni, anzi poche ore, per capire di non essere arrivato in un posto di spensierata vacanza, ma in un santuario che i suoi abitanti difendono con orgoglio e dove nessuno gli regalerà nulla, neppure un cenno di saluto.
In realtà bisogna stare attenti a parlare di Liguria e di liguri: come accade in altre regioni d'Italia, le rivalità municipali sono molto forti e ogni città, ogni paese, è un mondo a parte dove tutti si sentono speciali e odiano i "cugini": i savonesi non sopportano i genovesi, che a loro volta parlano male dei chiavaresi che non vedono di buon occhio gli spezzini e così via. Tanto per darvi un'idea, in nessun dialetto della regione esiste un termine per dire "Liguria".

Odio il mare


Questo non vuol dire che i liguri non esistano: a Ponente come a Levante, a Genova come alla Spezia il visitatore saprà riconoscere nella gente lo stesso tipo di accoglienza (fredda), la stessa socievolezza (nulla), la stessa tirchieria (forte); insomma una lunga serie di difetti, e qualche pregio, che dovrà imparare a sopportare, e se possibile a volgere in suo favore.
Dovunque vi troviate, evitate di cadere subito nell'errore tipico del principiante foresto: quello di esaltare il mare, la spiaggia, e dire al vostro interlocutore: “Beato lei che può andarsene in giro in barca...”. I veri liguri amano l'acqua più o meno come i gatti: hanno navigato sempre e solo per necessità, aspettando con ansia il momento di tornare alla loro casetta di campagna per coltivare l'orto. Sono legatissimi alla terra, hanno il carattere duro e chiuso tipico dei montanari, e non a caso la Liguria è territorio fertile per il reclutamento degli alpini. Il mare, motivo principale che vi ha spinto in Liguria, per gli indigeni resta un nemico o perlomeno un avversario da temere e rispettare, e da cui non ci si può aspettare niente di buono: “Miga pe ninte u ciaman mâ”, dice il proverbio. E in dialetto la parola "mâ" significa sia "mare" sia "male".

Il futuro


Il futuro è una delle cose che i liguri odiano di più. Lo odiano perché porterà, ne sono certi, solo lutti e disgrazie. Il ligure non ha fiducia nei progetti, nelle invenzioni, nelle scoperte scientifiche. Ogni volta che esce qualcosa di nuovo, il ligure dirà che nuovo non è, perché ricorda perfettamente che già suo nonno aveva qualcosa di simile (ma funzionava meglio); oppure dirà che sì, è nuovo, ma non serve a niente. Insomma si stava sempre meglio prima, e comunque l'oggi non è poi così male, se pensiamo a quello che ci aspetta domani.

I nonni


La Liguria è la regione più vecchia d'Italia. Orde di pensionati provenienti dal Nord vengono a svernare sulle sue passeggiate a mare, spesso fermandosi per sempre. Nelle più belle giornate d'inverno, quando il sole è tiepido e quasi primaverile, i vecchietti spuntano dai loro ripari, strisciano rapidi come lucertole fino alla panchina preferita e restano lì a ricaricarsi, per ore, come batterie solari. I paesi di Liguria assumono allora il caratteristico, ìlare aspetto di un immenso ospizio all'aperto, con i rari passanti under 70 imbarazzati come parenti in visita.
Molto più viva e attiva, rispetto al pensionato da Riviera, è la vecchietta di Genova, cresciuta alla dura scuola della città tentacolare: è temibile soprattutto in occasione dell'arrivo dell'autobus, che scatena in lei il timore atavico di essere spinta, calpestata e infine esclusa dai posti a sedere. Già alla fermata, la vecchietta comincia a studiare con sguardi obliqui gli avversari potenzialmente più indifesi: non le altre vecchiette, con cui c'è un tacito patto di non belligeranza, ma le casalinghe con le sporte e gli studenti distratti.
Non appena l'autobus arriva e apre le porte, la pacifica vecchietta che non avevate neppure notato si trasforma in una belva sanguinaria: una gomitata nel costato dello studente, un calcio alla sporta della casalinga, un'ombrellata al basso ventre del cassintegrato, ed eccola balzare sulla seggiola più vicina, dove passerà il resto del viaggio a brontolare perché il posto più comodo, quello rivolto nella direzione di marcia del bus, se l'è aggiudicato una signora più giovane di lei, così maleducata che non le ha ancora offerto di fare cambio.
Se viaggia con altre coetanee, la vecchietta da autobus rinuncerà alle lamentazioni in cambio della sola cosa che le dà ancora più soddisfazione: la conta dei morti e delle malattie. Racconterà sicuramente che sta andando in ospedale a trovare un'amica, o che c'è appena stata, il tutto scuotendo la testa e dicendo “non c'è più niente da fare”, anche se si tratta di un esame delle urine.
E ricorderà il caso di un'amica che aveva gli stessi identici sintomi ed è morta dopo tre giorni, o della nipote di quell'altra amica che aveva solo vent'anni, poveretta, e se n'è andata da un giorno all'altro, e nessuno ha capito perché. In pochi secondi, quasi per solidarietà con il cassintegrato che ha ricevuto l'ombrellata, tutti i passeggeri maschi avranno la mano in tasca, a strofinare le parti intime.

Il mugugno


Il ligure-tipo è una persona che si alza dal letto e dice “Che freidu”, va in bagno e dice “Vedrai che si ghiacciano i tubi”, si fa il caffè e dice “Certo che l'acqua del bronzino (il rubinetto) non è più quella di una volta”, va alla fermata e l'autobus “non arriva mai”, entra in ufficio e il riscaldamento è troppo alto, va in mensa e la pasta è scotta, e così via. Insomma, vede il bicchiere quasi sempre mezzo vuoto, e quando è mezzo pieno il vino fa schifo.
Il mugugno è fortemente radicato nello spirito degli abitanti fin dal Medioevo: la tradizione vuole che in Liguria il padrone di un peschereccio offra a chi si imbarca la scelta tra il diritto di lamentarsi (mugugnà) e un supplemento di paga. Scelta lacerante per un ligure, e dalla quale per una volta perfino la tirchieria usciva sconfitta; come dice il proverbio: “Sensa vin se navega, sensa mugugni no”.

La tirchieria


Che i genovesi siano tirchi non è un mistero, anche se nessuno di loro lo ammetterà mai. Il fatto è che il denaro, come i sentimenti, non va sprecato se non si è più che sicuri che ne valga la pena. Ma se trovano la persona o la cosa che davvero li interessa, i liguri sono disposti a spendere, eccome.
La tirchieria tipica consiste nell'andare a piedi per risparmiare le millecinquecento lire del bus, per poi spendere senza batter ciglio decine di milioni per case, mobili, gioielli (gli investimenti "sicuri"). In questo caso, la prospettiva del guadagno futuro riesce per un momento a obnubilare la mente del ligure quanto basta per lasciarsi andare e firmare un assegno.

I nemici


Agli abitanti delle Riviere chiedete qualsiasi cosa, ma non di scendere a patti con i loro avversari storici, i milanesi. Alcune caratteristiche tipiche dei lumbard fanno letteralmente a pugni con quelle dei rivieraschi: il ligure è tirchio, il milanese spendaccione; il ligure è introverso e silenzioso, il milanese estroverso e rumoroso; ancora, il ligure è modesto, almeno apparentemente, mentre il milanese "è tutto lui". E soprattutto, il milanese “viene a fare il padrone” in casa degli altri, si è comperato mezza Camogli e tutta Portofino, e inquina il mare con i suoi yacht da ventidue metri.
Una cosa che i liguri non perdonano ai foresti è di non spendere mai abbastanza quando sono in Riviera. Stanchi di essere considerati, da secoli, il popolo più taccagno d'Italia, ribaltano le accuse sostenendo che i veri tirchi sono gli altri, milanesi e soprattutto piemontesi: quelli che per non farsi spennare nei negozi locali arrivano con l'auto carica di provviste, olio, sugo, perfino pasta e acqua minerale.

La casa


Le cento lire che il ligure risparmia quotidianamente andando a prendere il caffè nel bar meno caro; le millecinque che raschia leggendo il giornale nel suddetto bar; le altre millecinque del bus che mette in saccoccia scarpinando a piedi fino all'ufficio; le trecento dei sacchetti di plastica che si ricorda di portare da casa ogni volta che va a fare la spesa: tutte queste piccole economie finiscono nella bisciueta (il salvadanaio) in previsione dell'unica, vera grande spesa che un ligure riesce a fare senza cader preda dei sensi di colpa: la casa di proprietà.
Al di là di tutte le tasse, l'ICI, le spese di amministrazione eccetera, il "mattone" resta per i liguri l'unico investimento sicuro, il cui valore cresce nel tempo, e di conseguenza l'unico moralmente autorizzato.
Tra l'altro, la casa di proprietà è di fondamentale importanza perché consente di stiparci dentro, e accumulare generazione dopo generazione, tonnellate di cose vecchie e inutili, i cosiddetti ravatti. Se cercherete di provocarli su questo punto, i liguri vi diranno che non possono disfarsi di quella roba perché sono dei gran sentimentali; e una volta alla settimana salgono in soffitta a impolverarsi e sospirare; in realtà sognano che il cappotto con la martingala torni di moda per la terza volta, o che la collezione di pacchetti di sigarette usati attiri l'attenzione di un eccentrico miliardario americano disposto a pagarla una fortuna.
Dopo aver chiuso a chiave in cantina o nel solaio la loro cattiva coscienza, nella parte visibile della casa i liguri metteranno in mostra le cose più belle. O meglio: le tireranno fuori dai cassetti quelle due o tre volte all'anno in cui arrivano ospiti. Se alla fine avrete ottenuto quel famoso invito a cena (“Una cosina semplice, tra amici”), facilmente troverete in sala da pranzo tovaglie di Fiandra, posate d'argento, bicchieri di cristallo e preziosi centrotavola.
Ma se volete togliervi una soddisfazione, trovate una scusa e fate un blitz di nascosto in cucina: nel primo cassetto della credenza ci saranno le posate d'acciaio, tutte scompagnate perché raccolte da eredità o rubate in alberghi e aerei. Nel secondo cassetto ci sarà la cerata di plastica, o al massimo la tovaglia in puro cotone vinta con le raccolte-punti. E sullo scolapiatti i bicchieri di tutti i giorni, vale a dire i barattoli vuoti della nutella con le righe rosse o il profilo di un orsetto.

Genoa e Samp


I liguri sono persone generalmente ragionevoli e ricche di buon senso. Apparentemente saggi e rotti a tutte le esperienze, difficilmente perdono la calma e smettono la maschera di scetticismo. L’unica cosa che li trasforma completamente è il calcio, e in particolare una squadra: il Genoa.
Qualsiasi tifoso genoano nasconde dentro di sé una doppia personalità, un mister Hyde incontrollabile che sconvolge tutti i capisaldi della sua personalità. Per il Genoa si spendono i soldi del biglietto (e questo, direte voi, è normale; in realtà veder giocare il Genoa non vale quasi mai il prezzo del biglietto). Per il glorioso "Grifone", il ligure cinico e sferzante cala la maschera e si accalora, litiga, sbraita, rotea gli occhi e diventa paonazzo; se si parla di Genoa, il zeneize perde immediatamente il senso dell'autoironia. Va bene scherzare sulla moglie, sulla mamma, sui figli, sulla morte; ma non sulle cose davvero importanti.
Per il Genoa, ancora, il tifoso perde (almeno in parte) la sua sfiducia nel futuro, pronto com'è a credere ogni estate alle promesse di acquisti mirabolanti e obiettivi di classifica mostruosi. Il Genoa lo delude, in media, nove anni su dieci ma il tifoso non demorde, e continua ad avere incrollabile fiducia nei colori rossoblù. Forse perché la squadra, fornendogli continue delusioni, gli permette di lamentarsi continuamente, di mugugnare, di soffrire: insomma di coltivare il suo innato masochismo.
Completamente diverso, ma non meno preoccupante, il caso del tifoso della Sampdoria: dopo decenni di campionati vissuti sul filo del rasoio, sempre a rischio di precipitare in serie B, negli anni della presidenza di Paolo Mantovani (1979-1993) ha abituato i suoi spettatori a vedere bel gioco e tante vittorie importanti, compreso uno scudetto. Il ligure sampdoriano non si è montato la testa, anzi ha fatto ricorso al lato "inglese" del suo carattere: durante i trionfi ha mantenuto aplomb e distacco, e dopo le sconfitte ha finto autocontrollo e serenità. Oggi, finiti i giorni di gloria e conosciuta nuovamente l'onta della serie B, il sampdoriano va allo stadio soltanto se la squadra offre spettacolo e gol, perché a soffrire non è più abituato. Il genoano invece ci va in ogni caso: se la squadra vince potrà permettersi un giorno di gioia sfrenata (o quasi, perché già si manifesta l’apprensione per la prossima partita); se perde scaricherà la rabbia repressa assediando gli spogliatoi e sputando veleno su arbitri, presidente, allenatore e giocatori.

I negozianti di Genova


Sembrerà strano, per un popolo di antiche tradizioni commerciali, ma i genovesi hanno un modo tutto loro di trattare i clienti: praticamente a pesci in faccia, meglio se congelati. Tanto per cominciare, sono pochissimi i negozi dove si può entrare e curiosare liberamente tra gli scaffali. Appena entrati sentirete un angosciante ding sopra la porta e qualcuno vi verrà incontro dicendo: “Cerca qualcosa?” come se foste entrati in casa sua. A questo punto state molto attenti a non rispondere: “No, volevo solo dare un'occhiata”, perché il proprietario vi guarderà con l'aria da: “Fai pure, ma sappi che non ti perdo di vista, brutto ladro!”; oppure pronuncerà un “Prego, faccia pure” ma con il tono di dire: “E allora perché vieni a rompere?”
Ovviamente, non azzardatevi mai a chiedere uno sconto. In tutte le altre parti del mondo è normale ottenere ribassi del 5-10%. In Liguria, invece, "sconto" è una parolaccia, e quasi tutti i negozi di livello medio-basso esibiscono i soliti terribili cartelli che dicono: "Se chiedete lo sconto datemi prima il tempo di alzare i prezzi", oppure "Lo sconto è morto". Chiedere lo sconto è il modo migliore per farsi guardar male e spingere il proprietario del negozio a lanciarsi in una filippica contro le tasse, la crisi, gli scarsi margini di guadagno. Vi dirà che ha moglie, figli e mamma malata, e con i ticket per le medicine così alti forse dovrà finire per sacrificare quella povera donna...
Non aspettatevi sconti neppure se avete fatto una grossa spesa, acquistando per esempio nello stesso negozio due paia di pantaloni, due maglioni, quattro camicie e un paio di scarpe. Se il totale è seicentotredicimilalire, e voi vi aspettate che vi faccia cinquecentocinquanta, o per lo meno seicento, resterete delusi: il negoziante si guarderà intorno per controllare che nessuno lo veda, tirerà un sospiro ed esalerà un “Seicentodieci”; ma seriamente, come se vi stesse facendo davvero un grosso piacere. Non offendetevi e non protestate: ha già fatto il massimo, quelle tremila lire se l'è davvero strappate dal cuore.

I negozianti delle Riviere


Se i negozianti genovesi lasciano interdetti i forestieri, quelli delle Riviere meritano un capitolo a parte. Si va in vacanza in una qualunque località di Levante o di Ponente, in luglio o agosto, e cosa si trova? Autostrade intasate per ore, auto parcheggiate ovunque, spiagge strapiene, scantinati affittati a quattro milioni al mese. Entrate in un negozio pensando di trovare un proprietario stile zio Paperone, che suona come un registratore di cassa con le pupille a $; e invece, se trova un minuto di tempo per parlarvi, vi guarda mogio mogio, ma veramente contrito, e dice: “Eh, quest'anno c'è poco movimento, proprio poco...”.
Venite travolti da cinquanta ragazzetti in fila per il gelato e dite: “Ma come? È tutto pieno!”.
E lui: “Sì, gente ce n'è, ma gli anni scorsi ce n'era molta di più”.
A quel punto obiettate che siete finiti a dormire in un vespasiano perché i solai e le cantine erano tutti pieni, che una sdraio in sesta fila vi è costata una settimana di stipendio, che parcheggio non ce n'era e avete lasciato l'auto in collina, quattro chilometri più su: “Ma come molta gente di più, e dove la mettevate?”.
“Massì, magari ce n'è tanta uguale, ma quello che conta è che non spende, non spende...”.
Mentre tutto intorno a voi volano biglietti da diecimila, osservate: “E questi?”.
“Sì, ma questi sono ragazzi, spendono qualcosina ma hanno poco, sono le famiglie che dovrebbero spendere e non lo fanno: vengono qui quindici giorni, pagano la casa o l'albergo e la cabina e poi basta: niente cena fuori, niente extra”.
Voi pensate che già per pagare casa e cabina avete dovuto fare un mutuo decennale, poi vi voltate verso il ristorante e vedete dieci persone in coda fuori, che aspettano il loro turno: “E quelli?”.
“Ma cosa vuole che siano dieci persone in coda, ad agosto? Gli altri anni ce n'erano venti o trenta...”.
Sempre più interdetti, allungate lo sguardo verso la passeggiata a mare: i bar sono tutti pieni, c'è gente in piedi che aspetta il suo turno, qualcuno pur di esserci si è portato sedie aggiuntive da casa: “E quelli?”.
“Sì, ma ci faccia caso: hanno quasi tutti birrette e cochecole. Dove sono finiti quei bei paciughi giganti di una volta?”.

Questa piccola antologia raccoglie alcune caratteristiche (e nemmeno le migliori, che l’autore, ligure, si è riservato per il libro in vendita) dei Liguri.
Il volume è giunto (per ora) alla settima edizione e contiene anche (sempre allo stesso prezzo) le vignette dei fratelli Origone.